- 1. Sei mesi prima -
13 settembre
Era iniziato da poco il mese di settembre e la scuola brulicava nuovamente di studenti. I ragazzi del primo anno si preparavano a sentire per la prima volta il discorso di benvenuto del preside. Per Ivy, invece, quella era una noiosa e stupida giornata, uguale a tutte le altre. Mai avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo da lì a pochi mesi.
Nonostante la sala fosse molto affollata, la ragazza non ebbe troppe difficoltà a entrare e a trovare una sedia libera. Appena i suoi compagni la videro si spostarono lasciandola passare, come le acque fecero con Mosè e il suo popolo. Prese posto in ultima fila come aveva sempre fatto, ma non per fuggire dalle occhiate cariche di ribrezzo e dai commenti acidi che sapeva le avrebbero rivolto, ma soltanto per non essere obbligata ad ascoltarli.
Fin da piccola aveva imparato che qualsiasi cosa avesse fatto sarebbe stata criticata. Durante la sua infanzia si era accorta di come i suoi genitori disapprovassero ogni suo singolo comportamento. Se cantava per far felice papà, sua madre si innervosiva perché faceva troppo baccano. Se giocava con gli altri bambini incoraggiata dalla mamma, suo padre la osservava quasi deluso. Se studiava le piante nella serra a sua madre non andava bene, se aiutava in casa suo padre si lamentava. E crescendo le cose erano peggiorate. A scuola accontentare i suoi coetanei risultava ancora più difficile. Parlare la faceva apparire logorroica, tacendo sembrava strana o malata.
Per quanto si impegnasse, per loro non era mai abbastanza. Non aveva mai i vestiti giusti e se li aveva, era per imitare gli altri o per attirare l'attenzione. Non parlava delle cose giuste o non ne parlava nel modo giusto. Si era stancata presto di quella situazione e aveva deciso che avrebbe vissuto come meglio credeva, esagerando solo per farsi criticare, per farsi emarginare. Perché lei con quelle persone non ci voleva avere nulla a che fare. Preferiva essere disprezzata e derisa, purché lo facessero da lontano e senza disturbarla.
I suoi lunghi abiti neri, i tacchi vertiginosi, il trucco pesante e i ciondoli raffiguranti simboli esoterici erano come una specie di armatura, la sua protezione. Voleva sembrare strana, voleva intimorire o almeno essere considerata una sfigata. Le bastava sapere che nessuno si sarebbe avvicinato troppo a lei.Che la chiamassero "Nullità", "Mostro" o addirittura "Strega di Heston" non le importava. Con le leggende e le voci che giravano su di lei nessuno avrebbe mai osato infastidirla.
Eccetto forse, il ragazzo che si era seduto accanto a lei e che non smetteva di fissarla. Inizialmente Ivy fece finta di nulla ma dopo un po' la cosa iniziò a irritarla. Ogni tanto lanciava anche lei qualche occhiata al giovane per capire se si trattasse di un maniaco o semplicemente di un ragazzino curioso e maleducato.
Era alto e magro, vestito come il classico ragazzo della porta accanto, con i capelli talmente impregnati di lacca da sembrare di plastica e la camicia azzurrina da prima comunione. Quando non lo guardava, continuava a fissarsi la punta delle scarpe e a osservare l'orologio che portava al collo, sperando che quell'agonia finisse in fretta. Ma più osservava la lancetta più questa sembrava rallentare.
Dopo qualche minuto di insopportabile imbarazzo, lui si decise a rivolgerle la parola. Ivy non rispose, fingendo di non averlo sentito, ma quando le diede due colpetti sulla spalla, fu costretta a voltarsi.
Lo studiò attentamente. Il suo viso era dolce, da bambino ma comunque gradevole. Aveva occhi piccoli e chiari, mandibola forte, senza nemmeno un accenno di barba. Soltanto il naso, leggermente storto non la convinceva ma nell'insieme poteva considerarlo un bel ragazzo, seppur troppo esile per i suoi gusti.
"Cosa vuoi?" Chiese usando il suo consueto tono duro e freddo, nel tentativo forse di intimorirlo e di fargli capire che non aveva intenzione di fare amicizia. Lui le sorrise ignorando completamente i suoi modi bruschi. "Avrei bisogno di un’informazione." Sussurrò, per non disturbare coloro che fingevano di ascoltare il discorso del preside. Ivy sapeva bene cosa stesse per chiederle. Era uno dei nuovi arrivati e non sapeva ancora orientarsi all'interno di quel edificio labirintico ma lo lasciò comunque parlare.
"Fammi vedere il tuo orario." Rispose, mantenendo comunque un certo distacco. Il ragazzo le porse il piccolo foglio già logoro, con gli angoli spiegazzati, e Ivy lo consultò attentamente. Avevano cinque lezioni in comune: ginnastica, storia, musica, fisica e disegno. Già da quella mattina avrebbero passato tre ore assieme. La ragazza, seppur controvoglia, si offrì di accompagnarlo, dicendogli che in atrio si trovava una piantina della scuola abbastanza chiara.
"Comunque piacere, io sono Albert." Le tese la mano dopo averla ringraziata per la sua gentilezza. Spaesata, si presentò a sua volta e d'istinto si guardò attorno, notando che in molti la stavano osservando e che altri ridevano di lei. Spinta da una sorta di desiderio di rivalsa decise che avrebbe conversato con Albert abbastanza da far pensare a tutti che fossero amici.
"Come mai ti sei trasferito alla Heston?" Domandò avvicinandosi leggermente a lui e sforzandosi di sorridere. Albert sembrò incupirsi e non le diede una risposta chiara, disse che suo padre era stato trasferito lì per lavoro, ma dal suo atteggiamento sembrava molto più una scusa che il vero motivo. Ivy però decise di non indagare. Probabilmente aveva una buona ragione per tenerla all'oscuro. Cambiò argomento, chiedendogli cosa gli piacesse fare e altre cose estremamente banali a cui lui rispose con frasi altrettanto scontate.
Fu Albert a rendere la conversazione più interessante. "Perché ci fissano tutti?" Domandò con aria divertita. "Non farci caso..." Rispose lei spostandosi i capelli corvini che continuavano a ricaderle davanti al viso. "Solo... non sono abituati a vedermi parlare con qualcuno." Concluse soffiando contro il ciuffo che non voleva stare al suo posto.
Il ragazzo le chiese di spiegargli meglio la situazione, non capendo perché dovesse essere così strano che qualcuno provasse a conoscere una persona dolce e disponibile come lei. Nel frattempo, lei prese un elastico dalla borsa e si legò i capelli in una mezza coda alta per evitare ulteriori fastidi.
"Io non sono molto popolare in questa scuola." Albert sorrise nuovamente. Lo aveva capito fin da subito e aveva deciso di sedersi accanto a lei proprio per questo motivo. Il suo modo di vestire, i ciondoli che portava al collo e i libri che affioravano dalla sua borsa lo avevano incuriosito, e aveva dedotto che doveva essere lei la famosa "Strega di Heston" di cui Evan gli aveva parlato nei giorni precedenti.
Evan era il suo nuovo vicino di casa, un ragazzo molto simpatico, sebbene sembrasse piuttosto superficiale. Avevano parlato quasi unicamente della scuola e doveva ancora farsi un'idea precisa su di lui. Entrando nella sala aveva visto che si era seduto tra i membri della squadra di football e le cheerleader, tra i più popolari. I classici prepotenti senza cuore che non perdono occasione per distruggere l'autostima altrui. Ma Evan, almeno a primo impatto, non sembrava affatto come loro. Aveva un bellissimo sorriso e dei modi gentili, era educato e gentile, ma ovviamente non lo conosceva abbastanza da capire se fosse o meno una brava persona.
"Sai, qui pensano tutti che io sia una strega." Continuò Ivy interrompendo il flusso di pensieri del ragazzo. "E la cosa grave è che alcuni ci credono veramente."
Albert rise, stando sempre attento a non fare troppo rumore. "E non è così?" Chiese continuando a scherzare. Ivy per la prima volta gli sorrise spontaneamente e lui riuscì solo in quel momento a rendersi conto di quanto fosse grazioso il volto di quella ragazza. Il trucco pesante ne nascondeva la bellezza semplice ma luminosa.
Gli occhi di Ivy erano di un colore particolare, un grigio chiaro tendente all'azzurro che le conferiva uno sguardo glaciale ma intenso. I lineamenti del viso erano dolci e quasi infantili. Il naso era piccolo e aveva la punta lievemente rivolta verso l'alto, gli zigomi delicati e rotondi la facevano assomigliare ad una bambola di porcellana.
Tutto in lei era grazioso, talmente da distogliere l'attenzione di Albert dalle parole che uscivano da quelle labbra piccole e paffute, incupite dal rossetto nero che portava.
"Purtroppo no..." Disse abbassando leggermente lo sguardo come se fosse realmente rammaricata dalla cosa. "Ho provato a fare qualche incantesimo ma non ho avuto molto successo, anche se c'è chi giura di avermi vista volare, secondo altri avrei compiuto un rito sacrificale nell'aula di chimica..." I due continuarono a ridere parlando dell'opinione che le persone avevano di lei e dell'assurdità delle loro congetture, basate sul suo modo di vestire e su qualche suo strano comportamento.
Ivy era sorpresa da quanto fosse semplice parlare con Albert senza sentirsi costantemente sotto esame. Lui non si aspettava nulla da lei, non la guardava dall'alto in basso e non rideva dei suoi vestiti o dei suoi gusti, anzi, sembrava condividerne molti, come la passione per il teatro e per lo stile vittoriano. Nemmeno il suo interesse per la botanica gli sembrava bizzarro come a tutti gli altri.
Anche Ivy per lui si rivelò una sorpresa. Non riusciva a spiegarsi infatti, come una ragazza tanto simpatica potesse avere una reputazione così negativa da non avere nemmeno un amico in una scuola frequentata da più di quattrocento persone.
Qualche fila più avanti Clarissa, Rebecca e le altre cheerleader Sghignazzavano di gusto mentre Ethel cercava di fare una foto alla "strega" senza che lei la notasse. Evan non sapeva se unirsi a loro o meno. Normalmente avrebbe deriso quella sfigata, ma il fatto che fosse coinvolto anche Albert non gli piaceva. Lo aveva conosciuto poche settimane prima dell'inizio della scuola e i loro genitori li avevano praticamente obbligati a trascorrere del tempo insieme in modo che potesse aiutarlo ad ambientarsi nel migliore dei modi.
Sebbene in quel momento stesse ignorando il primo consiglio che gli aveva dato, sembrava un tipo intelligente e simpatico, un ragazzo buono. Non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca una parola acida o sgradevole. Anche il fatto che stesse parlando con Ivy dimostrava quanto fosse empatico e sensibile.
"Ma quello che ci prova con la pazza non è il tuo nuovo vicino di casa?" Chiese Rebecca ridacchiando con le sue amiche. Evan le fulminò ma rispose con tono pacato. Voleva far capire fin da subito che la sua intenzione era quella di difendere Albert e non la strega. Svio il discorso, riportando l'attenzione generale sulle parole del preside. "Tra poco presenterà i professori nuovi, lasciatemi ascoltare." Disse fingendo che gli importasse realmente.
Tutti i suoi amici tornarono a guardare il podio da cui il vecchio signore pelato ripeteva frasi banali e prevedibili. Solo Francois continuava a fissare Ivy e Albert con quel ghigno che Evan conosceva fin troppo bene. "Che intenzioni hai?" Domandò, sapendo che il ragazzo stava tramando qualcosa per umiliare la ragazza in modo che rimanesse nuovamente sola. "Sai che non è una buona idea disturbarla." Continuò sperando di dissuaderlo.
"Cos'è? Ci credi seriamente anche tu?" Evan non era così stupido da pensare che Ivy avesse realmente dei poteri magici ma sapeva bene che anche senza incantesimi e trucchi avrebbe potuto vendicarsi in modo crudele e indimenticabile. Ricordò a Francois ciò che era successo a Malcom, un ragazzo che l'anno precedente aveva osato sfidare Ivy. Nessuno in quella scuola lo aveva scordato, nemmeno dopo che al malcapitato erano ricresciuti completamente i capelli.
Francois si era toccato d'istinto il capo mentre Evan ne parlava, dando un ultimo saluto alla sua chioma bionda prima di fare qualcosa di estremamente stupido.
Nel frattempo, tutte le ragazze della scuola portarono la loro attenzione a ciò che stava dicendo il dirigente. Aveva appena annunciato che entrambi i nuovi professori erano uomini e tutti e due piuttosto giovani. Si trattava degli insegnanti di educazione fisica e di musica. Li presentò frettolosamente, essendosi reso conto di essere leggermente in ritardo.
Il primo, il professor Helliot era un ragazzo di appena trent'anni ma già calvo e con un fisico da modello. Raccontò di essere stato membro dell'esercito e di aver vinto molte competizioni sportive. Gli occhi di tutta la scuola erano fissi su di lui ed egli si pavoneggiava di conseguenza, apparendo piuttosto viscido a chi, come Albert, notava le occhiate ammiccanti che lanciava alle sue nuove alunne.
Il professor Clive invece era decisamente meno avvenente del suo collega. Aveva otto anni più di lui, ma nonostante vicino a Helliot sfigurasse parecchio, non si poteva dire che fosse un brutto uomo. Aveva un bel fisico, risaltato dalla camicia nera e attillata, occhi grandi e scuri come la notte e una chioma di lunghi capelli neri raccolti in un codino abbastanza ridicolo. Portava un paio di occhiali molto spessi e i suoi modi erano impacciati e goffi.
Guardava attentamente il professor Helliot mentre parlava ai ragazzi dei suoi programmi per l'anno scolastico appena iniziato, sperando che non arrivasse mai il suo turno.
Quando toccò a lui presentarsi, raccontò brevemente la sua storia, balbettando e manifestando appieno il suo imbarazzo. Era stato membro di un'importante orchestra di cui però non fece il nome. A seguito di alcuni problemi personali, che preferì non approfondire, aveva deciso di ritirarsi e cambiare totalmente lavoro, iniziando a trasmettere ai giovani la sua passione per la musica.
Terminato il discorso di rito e le presentazioni, il preside chiese agli alunni di uscire con ordine dall'aula magna, invitandoli a recarsi a lezione senza perdere altro tempo.
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