29
Era arrivato il gran giorno del ritorno di Pablo in campo, la partita contro il Siviglia. Mi svegliai con i pianti di fame di Diego. Mi voltai verso l'altro lato del letto, ma Pablo non c'era. Presi il bambino in braccio e scesi in cucina. Ancora nessuna traccia di lui. Allattai Diego e lo cullai finché non si addormentò di nuovo nella sua culla. Poi, curiosa di sapere dove fosse, iniziai a cercarlo. Lo trovai fuori in giardino, con il pallone tra i piedi, intento ad allenarsi.
«Ay, papi, proprio non vedi l'ora di tornare in campo...» dissi avvicinandomi e cingendolo con le braccia.
Lui si voltò leggermente, con un sorriso sicuro sul viso. «Sono pronto, anzi, prontissimo. Darò il meglio di me.»
Sorrisi, ma con una punta di apprensione. «Ne sono felice. Ma vedi di non infortunarti di nuovo, eh? Non sopporterei di vederti soffrire ancora.» Mi avvicinai per baciarlo, dolcemente.
Poi, con un lampo di malizia, gli rubai il pallone dalle mani e lo lanciai nella piscina.
Pablo mi guardò incredulo per un attimo. «Mi sa che ora dovrai andare tu a riprenderlo.»
Feci un passo indietro, cercando di sembrare innocente. «Te lo scordi!»
Non feci in tempo a scappare che lui si mise a inseguirmi. Le nostre risate riecheggiavano nel giardino, cariche di leggerezza e complicità. Alla fine, mi prese in braccio e, con un sorriso trionfante, mi gettò in piscina.
«Non farmi mai arrabbiare, mami.» mi disse con un tono seducente, tuffandosi subito dopo di me.
Indietreggiai nell'acqua, spogliandomi lentamente. Il sole splendeva, e l'acqua era piacevolmente calda sulla pelle.
«Altrimenti, papi, sono nei guai?» sussurrai con un sorriso provocatorio.
Non gli diedi il tempo di rispondere. Gli schizzai l'acqua in faccia e cercai di scappare nuotando e ridendo. Pablo mi inseguì. Quella mattinata spensierata e leggera era proprio ciò di cui avevamo bisogno. Per lui, per allontanare la tensione della partita. Per noi, per ritrovarci ancora una volta nel nostro piccolo mondo felice.
Vestii nostro figlio con la maglia del Barcellona. Il numero 6 risaltava sul rosso e il blu, e sopra non c'era scritto "Gavi", ma "Diego". Mi strappò un sorriso: il nostro piccolo tifoso era pronto per il suo debutto come mascotte personale di Pablo. Io optai per un look casual: la maglia autentica di Pablo con il suo nome, un paio di jeans chiari e delle semplici Nike Dunk. Pablo era già allo stadio, immerso nei preparativi pre-partita, mentre io, i suoi genitori e Aurora ci avviammo in seguito.
Appena arrivati, l'atmosfera ci travolse. Il boato dei tifosi, i cori incessanti che riempivano l'aria, il mare di bandiere blaugrana che ondeggiavano orgogliose. Mi sentivo elettrizzata e sopraffatta allo stesso tempo. Stringendo Diego tra le braccia, abbassai lo sguardo verso il campo. I ragazzi si stavano riscaldando, e tra loro vidi Pablo. Il suo volto era concentrato, determinato. Non mi vide, ma il solo vederlo lì, in mezzo al campo che tanto amava, mi riempì di orgoglio.
Diego agitava le manine verso il campo, emettendo suoni eccitati. I genitori di Pablo sorridevano emozionati accanto a me, mentre Aurora cercava di catturare qualche scatto con il telefono. «È tutto così incredibile.» disse lei, con gli occhi pieni di meraviglia. Annuii, incapace di parlare. Era una serata speciale, lo sentivo nel cuore. E Pablo era pronto a brillare.
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