13
Dalla notizia data da Aurora, una parte di me cambiò profondamente. In fondo, io e Pablo non eravamo niente di definito, eppure dentro di me portavo un pezzo di lui. Quel piccolo essere, ancora in formazione, sembrava trasmettermi misteriosamente le emozioni di Pablo. Sentivo il suo dolore, non solo per il ginocchio, ma per ciò che significava per lui. Il calcio non era solo uno sport: era la sua identità, la sua ragione di vita. L'idea di non poter tornare come prima, di non sentirsi più all'altezza, doveva essere una paura devastante.
Immaginai Pablo, quel ragazzo sempre così sicuro e forte, ora piegato dalla vulnerabilità. L'immagine mi colpì come un pugno al petto, spezzandomi dentro. Sentii un'incrinatura profonda, come se quel piccolo essere dentro di me stesse cercando di comunicarmi qualcosa. Era giunto il momento di andare da lui. Dovevo vederlo.
Chiesi ad Aurora di avvisarlo del mio desiderio di visitarlo. Lei mi disse che lui era d'accordo e che, un pomeriggio, sarebbe venuta a prendermi per portarmi da lui.
Durante il tragitto in macchina, io e Aurora ci scambiammo frammenti delle nostre vite. Parlammo dei nostri lavori, dei progetti futuri e della mia gravidanza. Notai in lei un misto di gioia e cautela: per quanto tentasse di nascondere l'emozione, ci teneva a precisare che quella situazione riguardava solo me e Pablo. Anche i loro genitori condividevano lo stesso parere: non riuscivano ancora a realizzare l'idea di diventare nonni e, in quel momento, erano concentrati sulla salute del figlio. Una parte di me si sentì come se fosse passata in secondo piano, e Aurora lo percepì. Appena arrivammo nel garage di Pablo, fermò l'auto e si girò verso di me.
«Pablo ci ha detto che vuole essere presente per il bambino, anche se voi due non siete una coppia», mi disse, la voce decisa ma gentile. «Non si sente pronto a fare il padre, ma non vuole tirarsi indietro. I miei genitori, anche se adesso sono preoccupati per lui, adorerebbero fare i nonni. Questa notizia, per quanto improvvisa, è stata una luce in un momento difficile. So che non ti conoscono, e neppure tu conosci me. Ma ho capito chi sei. Una ragazza qualunque avrebbe usato questa situazione a suo vantaggio, avrebbe creato drammi. Tu invece hai chiesto solo di non essere abbandonata. E soprattutto, hai scelto di non abortire, di portare avanti questa gravidanza da sola se necessario. Questo ti rende una grande donna e una grande mamma».
Quelle parole mi toccarono profondamente. Le lacrime iniziarono a scendere senza che potessi fermarle. L'onestà e la gentilezza di Aurora mi riempirono il cuore, infondendomi la forza di cui avevo bisogno per affrontare Pablo. Respirai a fondo, asciugandomi gli occhi.
«Sei pronta a entrare?» mi chiese.
«Sì, andiamo» risposi, cercando di mantenere la voce ferma.
Entrai nella casa, ampia e minimalista, con una sobria eleganza. L'open space si apriva davanti a me, accogliente e luminoso, riflettendo un gusto moderno ma essenziale. Al centro della stanza troneggiava un divano, con la televisione accesa su un canale sportivo, ma senza che nessuno prestasse attenzione.
Pablo alzò lo sguardo al sentire i nostri passi. I suoi occhi incontrarono i miei, raccontando in un istante tutto quello che le parole non avrebbero potuto dire. La sua espressione era un misto di stanchezza e fragilità, un'ombra di dolore che parlava della sua paura di una carriera sospesa, di un sogno che rischiava di svanire. Eppure, dietro quella sofferenza, scorsi una scintilla di speranza, il desiderio di lottare, di tornare a calcare quel prato verde sotto il tifo appassionato della folla.
Ma quando mi vide, quegli occhi spenti si illuminarono per un attimo, come se la mia presenza fosse la risposta a una domanda che non osava porre.
Avanzai verso di lui, osservando ogni dettaglio della sua condizione. La gamba destra era distesa sul divano, poggiata su un cuscino, rigida e immobile. Mi chinai e lo abbracciai, avvolgendolo con la dolcezza di cui ero capace. Sentii il suo corpo irrigidirsi al primo contatto, come sorpreso, poi lentamente si rilassò tra le mie braccia.
Mi alzai e, istintivamente, cercai Aurora con lo sguardo, ma lei non c'era più. Ci aveva lasciati soli. Pablo alzò la mano e mi sfiorò il viso, prendendomi delicatamente il mento. Avvicinò il mio viso al suo e le sue labbra incontrarono le mie in un bacio che sapeva di gratitudine e desiderio, un bacio che racchiudeva la paura e il sollievo.
«Avevo proprio bisogno di te, mami.» sussurrò. La sua voce era incrinata, ma sincera. In quell'istante, capii che, nonostante tutto, eravamo ancora lì, insieme, in mezzo a quel turbinio di emozioni che la vita ci aveva imposto.
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