10

Il rapporto con Pablo proseguiva, mantenendo lo stesso ritmo di sempre. Per ora mi andava bene, ma non smettevo di soffrire. Sì, mi ero abituata a quel misto di piacere e sofferenza, e per ora lo accettavo.

Le mie amiche, al corrente della situazione, si erano arrese a farmi rinsavire e tornare in me. Elena, la mia amica e coinquilina, era l'unica che tornava a bomba sulla situazione quando Pablo lasciava casa nostra la mattina. Quel giorno, mentre ero in cucina a prepararmi un caffè, Elena entrò e si appoggiò al bancone con le braccia incrociate, guardandomi con uno sguardo a metà tra la preoccupazione e la frustrazione.

«Francesca, non ti capirò mai.» disse scuotendo la testa. «Come fai a non sentirlo durante la giornata e stare tranquilla? A non sapere dove sta, cosa fa? Ti rendi conto che non ti ha mai invitato a casa sua? E soprattutto, come fai a sopportare di non sapere se va a letto con altre ragazze?» La sua voce era ferma, ma tradiva un filo di rabbia. Continuava a fissarmi, aspettando una risposta che sapeva già non l'avrebbe soddisfatta.

«Io non potrei farcela, è... assurdo,» continuò, alzando le mani in aria. «Non riesco a capire come ti vada bene tutto questo. Come fai a non essere gelosa?»

Restai in silenzio, stiracchiando un sorriso stanco. Sapevo che Elena non avrebbe mai compreso davvero la mia posizione, e onestamente, nemmeno io riuscivo più a capire del tutto perché stessi accettando quella situazione.

«A te piace il fascino del calciatore, ma ora basta,» sbuffò, alzando il volume della voce.

Continuai a non rispondere, assorta nei miei pensieri. Al mio silenzio, Elena esplose: «Sei incredibile!» Le sue parole rimbombarono nella cucina. Si girò di scatto e si diresse furiosa verso la sua stanza, ma a metà del corridoio si fermò e tornò indietro, visibilmente ancora più arrabbiata.

«A sapere che avresti vissuto tutto questo, non gli avrei mai dato il tuo numero.» disse in tono accusatorio, con le braccia strette al petto e il volto rosso di rabbia.

Mi girai di scatto, sorpresa. «Cosa?» sentii il sangue gelarsi nelle vene. «Gli hai dato tu il mio numero?»

Elena sospirò, evitando il mio sguardo. «Sì, ma non volevo dirtelo. Pablo mi aveva promesso che non te lo avrebbe mai detto.»

«Non posso crederci,» dissi a bassa voce, incredula. «Perché non me l'hai mai detto?»

«Perché sapevo che ti saresti arrabbiata!» si giustificò, mordendosi il labbro inferiore.

Mi sentii invasa da un'ondata di rabbia e delusione. «E quindi hai pensato bene di tenere tutto nascosto?»

Elena mi guardava con colpa, ma non abbassava lo sguardo. «Sì, e lo rifarei.» ammise, sebbene la sua voce fosse meno ferma di prima, dirigendosi poi in camera sua e sbattendo la porta con forza.

Mi sentii tradita, confusa, e la rabbia mi pulsava nelle tempie. Presi il telefono in un impeto e chiamai subito Pablo. Lui rispose dopo pochi squilli, con il suo solito tono spensierato: «Mami, qué tal

Non persi tempo. «Devi venire qui. Subito.» dissi con voce tesa, evitando ogni spiegazione.

Dall'altra parte, lui sembrava sorpreso ma non si lasciò intimidire. «Posso passare stasera, dopo gli allenamenti.» rispose con tono calmo, quasi come se la mia richiesta fosse una delle tante.

Mi sentivo esplodere dentro, ma mi limitai a un breve: «Va bene.» Chiusi la chiamata senza ulteriori parole.

Tornai a casa la sera, lo stomaco chiuso per l'ansia. Non toccai cibo, anche se avevo preparato qualcosa per cena. Il silenzio nell'appartamento era opprimente; Elena non era ancora rientrata, e il suo vuoto rendeva l'atmosfera ancora più carica di tensione

Sentii bussare alla porta. Era Pablo. Mi alzai dal divano, il cuore che mi martellava nel petto, e andai ad aprire. Rilassato, come se nulla fosse accaduto. «Allora, mami, perché tutta questa fretta?»

Incrociai le braccia al petto, guardandolo gelidamente. «Elena mi ha appena detto una cosa che non avrei mai voluto sapere. Perché non mi hai mai detto che sei stato tu a chiedere il mio numero a lei?»

Lui si fermò per un istante, poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Davvero? Ti arrabbi per questa sciocchezza?»

Quel suo ridere mi fece infuriare ancora di più. Sentii il sangue salirmi alla testa. «Sciocchezza?» ripetei incredula, la voce che tremava per la rabbia. «È questo il punto! Prendi tutto alla leggera! È sempre tutto un gioco per te. Sei un vigliacco, egoista, fai solo quello che ti conviene e mi tratti come se non avessi un minimo di rispetto!»

Lui mi fissò, sorpreso dalla mia reazione, e poi sbuffò, alzando le spalle. «Pensavo che il nostro rapporto andasse bene così com'è. Non ti andava bene?»

«Sì, certo,» risposi con sarcasmo, la voce sempre più acuta, «mi andava bene, anche se non ero io stessa! Mi andava bene perché ho accettato di adattarmi al tuo modo di essere, ma le bugie, le omissioni, non le tollero!»

Pablo mi guardò confuso, il tono si fece più serio. «Che cosa intendi con "non essere te stessa"?»

Mi presi un momento per respirare, cercando di mettere ordine nella confusione che avevo dentro. «Sono una persona decisa, precisa, con una vita organizzata. Mi piace l'ordine, nei miei rapporti, nelle mie scelte. Ma con te... con te ho lasciato tutto questo da parte. Ho accettato di vivere qualcosa che non è nelle mie corde, ma adesso scopro che hai nascosto delle cose. E non lo accetto.»

Pablo si irrigidì, il sorriso era scomparso dal suo viso. «Io sono diverso. Non sono fatto per i rapporti etichettati, non mi piace mettere delle regole. Pensavo che lo sapessi e che andasse bene così anche a te.»

«Bene?» ribattei. «Ti sembra che vada bene? Tu non ci tieni a nulla! Non ti interessa se fai male a chi ti sta accanto, basta che ottieni quello che vuoi.»

A quel punto, Pablo alzò la voce. «Non dire che non mi importa! Ogni volta che siamo in discoteca e vedo quei ragazzi che ti toccano, mi si lacera il petto. Ma non sono qui a fare la scenata di gelosia, perché... perché io non sono fatto per questo. Non sono fatto per l'amore, per le definizioni, per le catene!»

Il suo tono rabbioso mi colpì come uno schiaffo. Lo fissai per un attimo, cercando di trattenere le lacrime. «E questo per te non si chiama affetto? Non si chiama forse... amore?»

Lui mi guardò negli occhi, la mascella serrata. «No.» disse secco, senza esitazioni.

Quelle parole mi fecero crollare. Abbassai lo sguardo, sentendo un dolore profondo crescere dentro di me. Poi lo guardai di nuovo, più fredda che mai. «Vattene.»

Pablo mi guardò per qualche secondo, come se volesse aggiungere qualcosa, ma alla fine non disse nulla. Si girò e uscì, lasciandomi sola nel silenzio della casa.

La serata finì lì, con me che restavo immobile, a fissare la porta chiusa, consapevole che non sarebbe mai stato diverso.

Dopo quella chiusura ufficiale con Pablo, non si fece più vedere né sentire, come se fosse stato solo un capitolo sfumato della mia vita. Con le mie amiche non ne parlavo più, e nelle discoteche non lo incontravo più. Ma le mie serate ballerine avevano preso una piega diversa. Mi sentivo sfiancata e terribilmente stanca, e dopo neanche due ore tornavo a casa sola, senza rimorchiare nessuno, e incapace di bere più di un cocktail. Tutte pensarono che stessi male per Pablo, ma non era così, almeno non più.

Una domenica mattina, mentre mi preparavo per una giornata tranquilla, Elena mi suggerì qualcosa che mai avrei preso in considerazione. Mi porse un oggetto con uno sguardo serio e insistente. Senza una parola, lo presi e mi chiusi in bagno.

Feci quello che dovevo fare e poi mi chiusi in camera mia. Aspettai. Minuti interminabili, in cui il cuore sembrava voler battere più forte del solito. Poi, ecco la risposta: ero incinta.

Angolo dell'autrice

Siamo arrivati al decimo capitolo e ci aspetta un grande colpo di scena! Vorrei sapere se ci sono miglioramenti che posso apportare e se avete suggerimenti da darmi. Mi piacerebbe anche sapere se la storia vi sta piacendo finora. Accetto qualsiasi feedback. Grazie mille!

Partecipa alla storia!
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