IL TRAMONTO DI UN'AMICIZIA


Le risate nel corridoio erano acute, quasi irritanti. Gretchen Glocester era immersa in una fitta conversazione, dove elencava le varie qualità della sua dimora campestre. Con la sua divisa, cucita con stoffe pregiate, si muoveva sicura per il corridoio, insieme Mildred Hagrid e Henrietta Fletcheld.

-Miss Hagrid, sono molto lieta di vedere che vostro padre vi ha portato quel carillon da Parigi. Mi hanno detto che è di pregiata fattura e fa una musica meravigliosa. -commentò Mildred Hagrid.

-Ne sono lieta-rispose Gretchen, sorridendo con eleganza. Poi, improvvisamente smise di parlare, non appena vide una sagoma ferma di fronte a lei, proprio sulla sua traiettoria. –...in ogni caso, vi informo che una vostra visita sarebbe davvero piacevole per me. Mia madre ha sempre detto che coltivare amicizie appropriate sia un'opera degna di una perfetta lady inglese.-

-Certamente, mia cara-commentò una di loro- purtroppo dobbiamo imparare a distinguerci, considerando che le opere della nostra amata Inghilterra hanno portato anche persone diverse da noi. La nostra condizione sociale deve assolutamente impedirci di essere sgarbate verso di loro.-

La piccola sagoma non si mosse. -Jane!-fece, rimanendo immobile nel punto in cui si trovava.

-Immagino che dovremmo muoverci nuovamente per un'azione benevola.- disse, guadagnandosi le risatine delle persone attorno a lei -Miss Escobar, trovo le vostre maniere oltremodo provinciali. Posso dirvi che nella mia casa non sarebbero state ammesse.-

L'altra rimase immobile.

-Miss Hageln mi è molto cara e non vorrei che fosse coinvolta dalle spiacevoli conseguenze di una vostra frequentazione. Capirete che è alquanto egoista pretendere che un inglese frequenti una persona così poco conveniente.- fece, prima di sorridere- Non è così mia cara Jane?-

A quel nome, Miss Escobar allungò il collo. Jane Hageln era dietro a Gretchen e alle sue amiche più strette. Teneva lo sguardo basso, rifiutandosi di prestarle attenzione. -Jane...-mormorò ma l'altra le dette le spalle, suscitando alcune risatine da parte di Miss Fletcheld che osservava la scena con un piglio divertito.

-Oh, avete turbato la mia nuova amica!- esclamò Gretchen, con studiata crudeltà- Non trovate che sia alquanto egoista impedirle di venire con noi? Gli inglesi devono stare tra gli inglesi, come è logico che sia. Non potete pretendere di negarle le prospettive che le spettano di diritto ma semplicemente accettare questa naturale differenza.-

Jane sussultò ma non cambiò posizione.

-Miss Glocester ha perfettamente ragione- intervenne la signorina Hagrid- La nostra cara Jane ha un gran cuore ma è ingiusto, da parte vostra comportarvi così. Siete irriconoscente, soprattutto sapendo che solo la povera Jane ha i requisiti per essere una gentildonna. Mi rincresce riconoscerlo ma non potete aspirare alla sua fortuna.-

-E' vero. La nascita comporta dei limiti inviolabili che un vestito non può comprare- fece Miss Glocester, con un tono allusivo...a quelle parole Miss Escobar si girò verso Jane. Con lo sguardo fissò la sua sagoma, con crescente sgomento. Jane girò il viso, nascondendole l'espressione.

No fu tutto ciò che riuscì a pensare.

Gretchen rivolse un sorriso indulgente alla signorina Hageln. -Oh, come saprete, non ci sono segreti tra amiche ed è giusto condividere, non trovate?-rispose, accompagnata dalle risate allegre delle sue altre due.

Jane non disse una parola, limitandosi a rivolgerle delle occhiate piene di pentimento.

La signorina Escobar conosceva quegli occhi...ma questa volta, non riuscì a sopportarlo.

-Ester!-

Camminava a passo svelto.

-Ester!-

Non voleva fermarsi. Non voleva sentire.

Una mano afferrò il suo braccio. -Ester aspetta!- disse, strattonandola.

-Cosa vuoi, Jane?- fece, girandosi di scatto.

L'altra non si fece intimidire. -Non chiamarmi più così. Per voi sono la signorina Escobar!-esclamò, fissandola con rabbia.

Jane sbuffò. -Era uno scherzo...andiamo Ester! Lo sai che non potevo fare diversamente.-continuò, scocciata.

Ester si fermò. -Davvero? Siamo compagne di stanza da dieci anni...DIECI! Come hai potuto raccontare a quelle le mie cose...COME!- disse, fissandola. Le immagini dei momenti passati insieme si accompagnavano l'una all'altra, in un accumulo sempre più pesante e ossessivo. Non voleva pensarci. Non voleva. -Mi avevi promesso di non dire nulla a nessuno di questa storia... A NESSUNO! PERCHE' NON HAI MANTENUTO LA PROMESSA?-

L'altra la fissò, un po'smarrita per quelle parole. -Cosa credevi che avrei dovuto fare... Miss Gretchen mi ha promesso d'invitarmi al prossimo pic nic con la sua famiglia, come puoi non capire? Io, io ho solo una possibilità per poter avere un matrimonio decoroso. Non voglio finire isolata dalla buona società ed ora che...come puoi credere che avrei rinunciato ad una simile occasione?- disse, scuotendo il capo.

-Allora non hai più bisogno della mia compagnia- fece Ester, con un tono secco.

-No! Come puoi dire questo?-rispose Jane, prima di gonfiare le guance in un moto di stizza. -Come puoi essere così invidiosa di me? Non mi aspettavo una cosa simile da parte tua!-

Ester sgranò gli occhi. -Ma cosa stai dicendo?-chiese.

-Sei invidiosa di me e della fortuna che ho appena ottenuto, grazie all'amicizia con Miss Gretchen. Anche io avrò la fortuna di fare un matrimonio dignitoso che non farà vergognare mio padre di me...PERCHE' NON PUOI ESSERE FELICE PER ME, PER I COMPLIMENTI CHE MISS GRETCHEN MI HA RIVOLTO?- strillò infine, rabbiosa -Tu tanto te ne andrai presto comunque...perché mi stai facendo questo? Io voglio sposarmi convenientemente ed ora ne ho la possibilità...tu non avresti fatto lo stesso?- Vedendo che l'altra non rispondeva, si girò stizzita- Gretchen ha ragione. Sei solo una sporca straniera che finge di essere un inglese ma tanto non ci riuscirai mai!-

Il giardino all'inglese del Bedford's era di medie dimensioni, circondato da un muro in pietra scura coperto dall'edera. Un numero sparuto di alberi faceva capolino qua e là, come una schiera di funghi, diffondendo ombra e umidità. Ester osservava apatica quello spazio angusto, tenendo stretto tra le mani il minuscolo album di schizzi della lezione di disegno. Non aveva alcuna voglia di scendere. Significava vedere nuovamente Jane e, dopo quel litigio, non si sentiva pronta a guardarla. Sono un'illusa pensò, vedendo il letto gemello al suo sul lato opposto della camera. Erano compagne di stanza e non avrebbe potuto evitarla per sempre. Ester si appoggiò al bordo della finestra, socchiudendo gli occhi.

Da dieci anni dividevano quella stanza. Jane era figlia di una donna inglese e di un tedesco che aveva ottenuto un titolo nobiliare per il suo aiuto dato all'Inghilterra. L'origine meticcia le aveva fatte avvicinare...ed ora erano di nuovo separate. Ester sentì stringersi un nodo alla gola a quel pensiero. Come ho potuto credere che lei mi avrebbe accettato perché era inglese solo per metà? Come ho fatto ad essere così sciocca? Pensò, mentre quel malessere cresceva, fino a toglierle il respiro. Jane teneva a me, però non ha esitato a rivelare a Gretchen i miei segreti...eppure sapeva che Gretchen mi odia! Era risaputo, all'interno della Bedford's, che non correva buon sangue tra lei e Miss Glocester. Ester aveva incassato per anni le loro offese, mascherate con parole gentili. Jane non aveva mai mosso un dito per venirle in aiuto, limitandosi a rimproverarla per aver risposto alle loro offese, una volta sole in camera.

Quel pensiero non la disturbava molto. Sapeva di non avere molto valore ma non immaginava che Jane avrebbe partecipato al quotidiano insulto che Gretchen aveva inaugurato, fin dal suo arrivo. Non si aspettava nulla di tutto ciò...e faceva male pensarlo. Un singhiozzo la scosse nel profondo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Jane aveva sempre sognato di entrare nel Ton, ma l'ostracismo che aveva ricevuto, fin dal primo giorno, aveva fatto accantonare ogni progetto. Ora ne aveva la possibilità, indipendentemente dal prezzo.

A quelle considerazioni, il cuore di Ester sembrò sanguinare. Per tutta la vita aveva bramato un po'di considerazione, un calore umano di cui conservava un ricordo sbiadito, custodito gelosamente e protetto con l'orgoglio. Aveva però preso atto che nemmeno la massima duttilità le aveva garantito nulla di tutto ciò perché lei era un'intrusa, nel britannico mondo della Bedford's. Senza Jane, il velo d'illusione era svanito, lasciandola così come era sempre stata...sola.

Nei giorni successivi, Jane provò a iniziare una conversazione ma Ester non le rivolse nulla più di una fredda cortesia. Questo silenzio, alla fine, stancò la figlia del cavaliere che, scocciata, iniziò ad ignorarla come tutte le altre. Ester non dette segno di alcuna emozione, malgrado la stizza di Jane la ferisse di nuovo. Una parte di lei avrebbe voluto chiederle di fare pace, che tutto tornasse come prima...ma era impossibile.

Qualcosa aveva reciso il filo invisibile che le legava e non vi era modo per rinsaldare una simile condizione. Jane era troppo debole per ritornare sui suoi passi e lei troppo orgogliosa per chiederle spiegazioni. Si limitava a seguire le lezioni, dedicandosi solo allo studio ed al disegno. Non parlò più con nessuno, crogiolandosi del silenzio che sentiva dentro di sé. Nemmeno le frecciate di Gretchen e delle altre la toccavano più...e, in fondo, non le importava molto sentirla parlare.

Quel mutismo non sfuggì alla professoressa Hood, colei che insegnava il disegno. -Miss Escobar, avete dei problemi con le vostre compagne di studio?-chiese un pomeriggio.

-No, professoressa.-

-Ho osservato che vi siete allontanata da Miss Hageln. Spero che non sia una cosa permanente.- mormorò.

-No, è solo naturale. E'normale che i legami mutino.-rispose.

La professoressa Hood sospirò. Non aveva mai visto di buon occhio quella ragazza ma le regole dell'istituto non impedivano che persone come lei frequentassero la scuola. Il suo disprezzo si era mitigato quando si era accorta del talento artistico di quest'ultima. Come insegnante di disegno di un istituto per signorine, non aveva potuto fare a meno di notare le abilità ma sapeva che la sua materia aveva poco peso per i risultati finali. Un talento sprecato, nella ricerca di un buon partito.-Immagino che la notizia del vostro futuro fidanzamento vi abbia reso nervosa. In fondo, avete vissuto in questo collegio per dieci anni.- commentò.

Ester storse la bocca. -Affatto. Sono felice.-rispose, fissandola.

La professoressa Hood non commentò quella frase. Quello che la lasciò perplessa fu lo sguardo vuoto della ragazzina di fronte a lei. -Siete preoccupata per il vostro futuro marito?-domandò.

-No. Sono certa che mia madre avrà modo di scegliere la soluzione più appropriata ed io devo esserle riconoscente, per l'impegno che riservato alla mia condizione.- ribatté l'allieva, alzando di scatto la testa. La stanza era ormai sgombra. C'erano solo degli sgabelli e dei cavalletti montati a distanza regolare. L'occhio della bionda si fermò su uno di questi. Sopra vi era appoggiato una tela, seminascosta da una stoffa. -Quella, vorrei darla a voi- rispose, prima di uscire dalla stanza.

-Ne siete certa?- domandò la signorina Hood -Ma, non l'avete finito.-

La signorina Escobar socchiuse gli occhi. -Non avrei modo di farlo. Non ho più tempo. Sarà come una di quelle opere mai concluse, tipiche degli artisti. Prendetelo. A me non serve.-rispose, posando lo sguardo sulla finestra. Gli alberi della quercia erano neri e privi di colore.

-Va bene. Devo uscire un momento a parlare con la direttrice. Dovete cambiare l'acqua ai fiori dei vasi, prima di tornare nelle vostre stanze.-la informò, raggiungendo la porta e sparendo dietro di essa.

Il giardino era ancora illuminato dalla luce del pomeriggio. Ester se ne rimase appoggiata al bordo della finestra, fissando laconica i muri. L'aula di disegno era in uno dei punti più alti della Bedford's. Da lì poteva vedere il cancello in ferro battuto e sentire il rumore della stradina poco distante.

Ogni giorno, quando il Big Ben batteva le 5 del pomeriggio, vedeva passare una carrozza. Ester inclinò la testa. Era sempre la stessa, di un color vinaccia denso e pesante. Da tre anni a questa parte, non era ancora riuscita a capire a quale famiglia appartenesse. Il sole batteva infatti sui disegni del simbolo della dinastia, impedendole qualsiasi riconoscimento. Chi era? Perché passava sempre davanti al collegio? Incerta, prese uno dei pennelli, giocherellandoci sopra. Aveva forse importanza conoscerne il nome e le ragioni? Ester non avrebbe saputo dirlo. In quei giorni, con la consapevolezza che tutto era finito, aveva preso a guardarsi intorno, con aria smarrita e incerta. Uno dei suoi sogni era lasciare quel collegio...e andare via.

Ora quel desiderio si stava realizzando...ma quale sarebbe stato il prezzo?

Un giorno, con un anello all'anulare, avrebbe rivisto la sua amica Jane, insieme a Gretchen e alle sue aguzzine. Avrebbero avuto entrambe un marito...ma come avrebbe potuto parlarle? Come poteva ricordare i momenti felici, dopo che Jane aveva fatto a pezzi tutto, con crudele leggerezza? Quelle domande la riempivano di profonda amarezza, mentre tutto si faceva tremolante e lattiginoso. Ester continuava a guardare in silenzio il paesaggio tingersi gradatamente dei toni del tramonto, mentre le lacrime scivolavano sulle guance. Tutto stava per finire...e, per quanto strano fosse, non riusciva a provare nulla.

Solo la desolazione del vuoto di quegli anni, insieme all'amarezza dovuta alla fine di ogni illusione. Quel giorno stava finendo, insieme al limbo di quelle speranze deboli e fasulle.





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