CREPE SUPERFICIALI


Due settimane dopo, come promesso, la duchessa partecipò al sermone domenicale. Aveva indossato una veste nera, una cuffietta del medesimo colore ed abiti larghi e coprenti. Ad Ester, vedendola, parve di vedere una grande macchia d'inchiostro.

-Miss Escobar, spero che siate pronta per uscire- disse, mentre lasciava che Sarasa le aggiustasse i polsini ed i guanti.

-Lo sono, Vostra Grazia.- fece, guardandosi dubbiosa l'abito che portava. Era viola scuro, con un nastro nero a bella vista, come testimone del lutto che aveva colpito la sorella, ma si chiese se fosse sufficientemente appropriato per la situazione. Mary aveva assicurato che fosse adatto ma Ester riuscì a tranquillizzarsi solo quando la duchessa fece un cenno di approvazione con la testa.

-Oggi andremo nella canonica di *****, la maggiore chiesa dei sobborghi che si trovano nella tenuta. Era consuetudine del duca presenziare alla cerimonia, benché non appartenga al nostro credo ed io sono intenzionata a portare avanti questa abitudine.- disse la dama.

Ester non ne rimase stupita. Neppure il collegio dove aveva vissuto era cattolico ma non riuscì a trattenere un'occhiata perplessa che non sfuggì alla maggiore. -Qualunque domanda pensiate, vi invito a non esternarla. Non vi è niente di più sgradevole di un volto annoiato o sprezzante, all'interno di uno spazio sacro.- aggiunse, facendola sussultare.

La canonica di ***** era un edificio minuscolo in pietra grigia, circondato da un prato di erica e di rovi. Un rosone, incastonato dentro un'apertura circolare, lasciava entrare la luce nell'interno, evidenziando uno spazio spoglio e scuro.

Il pastore della comunità, il signor Peter Hoover, era noto per essere un uomo morigerato e cortese. Ester convenne con quella posizione. Aveva una retorica semplice e di effetto, capace di toccare gli ascoltatori, indipendentemente dal ceto e dall'istruzione. Ne ebbe conferma quando, con la coda dell'occhio, vide le facce attente dei presenti. Erano visi seri, vestiti semplicemente, qualcosa di ben diverso dalle uniformi della servitù del collegio a cui era abituata.

Istintivamente, si guardò i guanti scuri e lo strano gioco cromatico che si creava sul legno chiaro della panca su cui sedeva. Provò a immaginarsi come sarebbe stata l'immagine di quelle linee in carboncino, su un foglio bianco...ma subito scacciò quell'immagine, giudicandola inappropriata per il suo ruolo.

La duchessa era accanto a lei, schiena eretta e sguardo fermo.

Non disse una parola per tutta la funzione.

Quando il pastore concluse il sermone, scese rapido dal pulpito e si avvicinò a quest'ultima, inciampando sui suoi stessi piedi. -Vostra Grazia, è un onore vedervi regolarmente alla mia funzione.- disse, dopo essersi inchinato.

-Non potevo mancare, Reverendo, soprattutto in virtù dei miei obblighi.- disse quest'ultima.

-La perdita di Sua Grazia ci ha enormemente afflitto ma sono lieto di vedervi al sermone domenicale e, soprattutto, in buona salute.- fece l'altro.

-E'un dovere che devo svolgere, per onorare la sua memoria ed il nome dei Mc Stone. Vi porgo, a nome dei parenti del duca, i migliori auguri per la riparazione del brefotrofio. Ho saputo che vi sono dei problemi alla struttura.- disse, mantenendo un tono composto.

-Purtroppo sì, Vostra Grazia. E'un edificio molto vecchio ed è difficile per noi mantenerlo nel miglior modo possibile. Inoltre le ultime piogge hanno minato alcuni parti, rendendolo pericolante e disagevole. Mia moglie ed io abbiamo provveduto, insieme agli artigiani della comunità ma sono riparazioni deboli.- spiegò il religioso, guardando alle sue spalle.

Ester allungò il collo e vide una donna vestita in abiti scuri, con il viso lungo e gli occhi piccoli. Alta e smilza, se ne stava ferma, tenendo lo sguardo fisso sul religioso. -Vi presento la mia consorte Harriet. Non ho avuto modo di presentarvela, giacché sono trascorsi dei mesi.- disse, facendole un cenno.

-Vostra Grazia, sono onorata di potervi vedere dal vivo.- mormorò questa, facendo un lieve inchino.

La duchessa rispose con un cenno. -Mrs. Hoover, spero che il borgo dove vostro marito serve la comunità sia un luogo piacevole. Avrei provveduto a darvi maggiore accoglienza se le circostanze non avessero voluto diversamente.- disse la dama -Mr. Hoover, Mrs. Hoover, sarebbe per me un piacere ricevervi nella dimora del duca, non appena le convenienze lo concederanno.-

-Vi ringrazio per questo invito, Vostra Grazia.- disse la donna, tenendo gli occhi bassi.

-Non ve ne è ragione. E'consuetudine ricevere il vicario di sua moglie. A suo tempo, ovvero un anno fa, avevo fatto lo stesso con i vostri predecessori, in ragione delle buone abitudini di vicinato.- rispose la duchessa.

Ester guardò la scena ed istintivamente si preparò ad essere presentata ma dopo quelle parole, la dama si accomiatò e non le rimase altro che seguirla, insieme alle cameriere. Quel brusco cambiamento ebbe il potere d'indispettirla. -Perché non mi avete presentato ai coniugi Hoover?- domandò, tentando di frenare il disappunto.

Non le piaceva essere al centro dell'attenzione ma neppure ignorata, come era avvenuto pochi istanti prima. La faceva sentire priva di valore...ed era una sensazione fastidiosa.

-Miss Escobar, vi chiedo di tenere a freno la lingua. Non è questo il modo di rivolgervi a vostra sorella maggiore. - disse la dama, con il tono annoiato.

Per tutta risposta, Ester batté con forza il terreno. -Non sono mai stata umiliata in questo modo. Mi ritenete così priva di educazione da non essere degna di conversare con la moglie di un parroco anglicano? Inaudito.- protestò e per rimarcare la sua irritazione batté il piede in terra. Nel fare questo, però, centrò una pozza di acqua maleodorante che, schizzando, le colpì l'abito ed il viso.

Proprio in quel momento, la dama si girò. - A giudicare da quello che vedo, temo di dover tenere alcune riserve. Mancate di autocontrollo e di pazienza. Siete istintiva, Ester e ciò non è un bene.- disse, guardandola attraverso il velo nero.

L'altra sussultò, ferita. Era la stessa critica che aveva ricevuto durante i suoi anni di collegio. Venne presa dal desiderio di fuggire, di sparire nella boscaglia che aveva visto crescere in quella campagna...ma poi finì con il desistere. Dove sarebbe potuta andare? In nessun luogo. - Mantenere una parvenza di delicatezza, grazia e decoro è il primo passo per essere socialmente ben accetti. Un pessimo carattere può essere perdonato con natali e doti cospicue ma senza possedere alcuna accortezza, è impensabile poter portare qualcosa di onorevole.- disse la duchessa -In questo periodo di lutto, non vi saranno eventi sociali ma non sarà tempo perso. Usatelo per imparare più che potete, per smussare le asprezze e per recuperare ciò che avete perso.-

Quelle furono le ultime parole che la duchessa pronunciò ed Ester, sia pure a malincuore, si ritrovò nuovamente di fronte ad un muro impenetrabile, oltre il quale non era permesso andare. Tacere divenne inevitabile, malgrado si stesse rivelando un'azione sempre più ardua da compiere. Non sapeva dirsene la ragione ma si sentiva sempre di più una comparsa nella vita della sorella maggiore. Era qualcosa di naturale. Dieci anni di età le separavano ed il titolo di duchessa rendevano quella percezione ancora più grande e importante per poter essere ignorate.

Il giorno successivo una violenta pioggia si abbatté sulla tenuta. Alcuni argini subirono gravi danni, tanto da far temere una piena sulle fattorie della zona. La duchessa ordinò immediatamente una revisione dei danni, con lo scopo di organizzare le dovute riparazioni.

Se ne rimase nella sua stanza per tutto il tempo, richiedendo di ricevere i dovuti pasti nel salottino adiacente alla propria.

-Mary, sapete la ragione di questo rifiuto?-domandò.

-Pare che sia colpa di un'indisposizione di Sua Grazia. Durante i giorni di pioggia, il dolore alla gamba le rende arduo muoversi agevolmente e per sanare questa sofferenza è solita usare impiastri e medicazioni lunghe e complesse. Solo la sua cameriera è autorizzata a rimanerle accanto in questi giorni.- spiegò l'altra, servendole del té nero.

Ester accolse in silenzio quella notizia. Ricordava vagamente il passo claudicante di Soledad. Quando era bambina, non si era fatta domande. Aveva sempre visto quell'andatura e l'aveva trovata normale, quasi bella. Le sembrava una danza, basata su una musica che solo lei poteva udire. Questa fantasia si scontrò con la vita del collegio, dove le maniere rigide e le pose compassate delle studentesse le avevano mostrato la corretta via e, di conseguenza, lo sbaglio di quella camminata. -Sapete come mai la duchessa ha questa indisposizione?-domandò.

La cameriera le rivolse un'occhiata perplessa. -Pensavo che voi lo sapeste, Miss Escobar. Quando Sua Grazia ha preso possesso delle proprietà del ducato, aveva già questo particolare tipo d'indisposizione, malgrado riesca comunque a muoversi agilmente.- rispose, con un filo di delusione. Molti avevano levato non poche congetture sulla strana zoppia che caratterizzava la duchessa dei Mc Stone. I più magnanimi avevano ritenuto fosse causato da una malattia, contratta durante l'infanzia...ma era una voce minore rispetto alla diceria che il duca fosse solito avere la mano pesante, come tutti gli scozzesi, e che la sua consorte fosse una donna poco convenzionale. Vivendo da tempo al loro servizio, Mary aveva visto cadere la maggior parte di questi pettegolezzi...ma la curiosità rimaneva, pronta a pungolarla nei momenti meno opportuni.

Ester scosse il capo. La Soledad dei suoi ricordi e la duchessa del presente possedevano la medesima camminata claudicante e gli stessi modi riservati. Oltre a ciò, non vi era altro.

- Mary, avrei piacere di fare una passeggiata in giardino. Dite che sarò puntuale per la colazione?- chiese, guardando il cielo. Le nubi erano presenti un po' ovunque, come un bizzarro gregge di pecore ma anni di permanenza in Inghilterra le avevano insegnato che quel tipo di nuvolosità non avrebbe portato alcuna pioggia. L'assenso della cameriera la incoraggiò e, insieme, si misero a camminare lungo lo spazio verde che la duchessa aveva preparato.

La passeggiava durò alcune ore, durante le quali le due conversarono di argomenti leggeri e privi di peso. In quel lasso di tempo, la signorina Escobar venne a sapere che la sua cameriera era gallese e che proveniva da una famiglia di minatori. Unica figlia femmina che aveva superato l'infanzia, era stata mandata a servizio dalla madre all'età di otto anni, prima presso un'anziana borghese e poi presso alcune famiglie nobili. Da allora, visitava i suoi genitori ed i fratelli una volta ogni tre mesi. La sua famiglia viveva nei sobborghi di Newport, nella periferia della città. Mary le domandò se avesse mai avuto occasione di vederla ma Ester negò. Non era mai uscita dal collegio, nemmeno in occasione delle gite che la direttrice concedeva, seppure con estrema parsimonia. Vedendo il silenzio imbarazzato della cameriera, la signorina Escobar le chiese di parlarle della sua città. A quella domanda, Mary si lasciò andare ad una lunga descrizione delle strade, dell'odore salmastro che impregnava l'aria e ai gabbiani che, insieme ai corvi, volavano nel cielo.

Ester la ascoltò, provando a immaginare le cose che la sua cameriera raccontava. Non era facile. Spesso Mary si lasciava andare a qualche termine gaelico che l'altra non capiva ma non era solo quello il problema. Ester si rese conto di non conoscere molto del Paese dove aveva vissuto per un decennio. Le mura del collegio l'avevano protetta da tutto, anche dalla possibilità di vedere nuovi posti e luoghi. Qualcosa di paradossale, per la sua condizione di straniera.

Gli scorci del giardino, delle pietre e dei fiori che spuntavano dal terreno, in modo negletto, erano incorniciati da alberi alti e dal tronco largo, che sembravano grattare il cielo con i loro rami ricurvi. Sul muro, invece, i rovi delle rose e le edere creavano un buffo arabesco su una pietra dai toni grigiastri e marroni. Da quella distanza, le sembrava di essere finita in un romanzo di Walter Scott o di Horace Walpole. Si chiese se la duchessa possedeva qualcuno di quei romanzi. Al collegio non erano ben visti e solo le figlie dei massimi finanziatori della struttura potevano avere la fortuna di leggerli, quando tornavano nelle dimore di famiglia.

Ester scosse il capo. Non aveva senso rivangare il passato né, tantomeno, lasciarsi prendere da nostalgie prive di forma e di valore. Facendo violenza sul suo carattere impulsivo e sulla sua naturale diffidenza, decise di dare fiducia alla duchessa...eppure un timore, una segreta inquietudine la privava della serenità. La sua vita all'interno del collegio era severamente vincolata da un insieme di regole e pene che le indicavano quali passi fare e quali evitare. Ora, invece, nulla di tutto questo era avvenuto e non poteva fare a meno di essere interdetta di quel fatto.

In quella villa immensa, sembrava non esistere alcuna forma di pena e castigo. Quella mancanza appariva come un fatto anomalo ai suoi occhi, troppo avvezzi alla rigida disciplina del collegio. Ester si sentiva incerta, quasi intimorita da quell'assenza di limitazioni. Andava domandandosi quale segreto inganno fosse celato nelle maniere dignitose e cortesi della servitù, o nella malinconica gentilezza della proprietaria del castello...e intanto attendeva. Il terrore correva serpentino sotto la pelle, strisciandole tra le gambe in una viscida carezza. In quei dieci anni di collegio, aveva imparato alcune crudeli lezioni. Una di queste era che, prima o poi, il castigo sarebbe calato su di lei, al primo sbaglio. Ester tremò, tentando di nascondere quella profonda inquietudine.

La duchessa le aveva riservato una cortese accoglienza, dandole una bella camera e dei bei vestiti ma quella generosità, anziché rassicurarla, ebbe il potere d'intimorirla. Cosa avrebbe potuto fare una dama così ricca se si fosse arrabbiata con lei? Non aveva una risposta a quel dilemma e tremò, temendo le conseguenze. Gran brutta cosa era l'ignoranza! fu il pensiero che riuscì a formulare, tra le pieghe di quella paura indistinta per un'autorità che non poteva non sentire come superiore. Mentre così pensava, vide del fumo poco distante. –Mary, qualcuno abita nei giardini di Sua Grazia?- chiese.

La cameriera guardò. –E'la casa del giardiniere, Miss Escobar.- rispose.

Ester la fissò interdetta. –Non abita con il resto della servitù?- chiese.

Mary ridacchiò. –Non è possibile, Miss Escobar. La grandezza dei giardini renderebbe difficile la gestione, se il responsabile vivesse con chi lavora nelle case o nelle stalle. Da tempo, egli dimora in un minuscolo cottage con tutto il necessario per vivere.- disse.

La ragazza non commentò. Guardò nuovamente verso il fumo, chiedendosi quanto fosse distante. Non aveva mai visto la dimora di un giardiniere ed era curiosa di vedere come fosse. Le sarebbe piaciuto domandargli quali fossero le piante che crescevano nella tenuta e se era possibile vederle. Poi si ritrasse. Avrebbe dovuto domandare alla duchessa di andare a parlare con un plebeo, magari un abitante delle colonie dell'impero. L'idea la fece fremere, non seppe dire se per timore o impazienza, mentre proseguiva la passeggiata nei giardini.

Quando rientrò, vide sulla soglia la sagoma legnosa di Donna Ines. –Miss Escobar, dove siete stata?- domandò.

-In giardino.- rispose.

-La duchessa ha richiesto la vostra presenza. Desidera parlarvi.- le comunicò, non prima di lasciare uno sguardo penetrante nei confronti di Mary che, fino a quel momento, non aveva proferito parola.

Ester gettò un'occhiata alla sua cameriera che se ne stava pallida al suo fianco. – Vado subito, Donna Ines. Chiedo scusa, è stata mia intenzione andare a vedere il giardino ed ho fatto pressione su Mary. Non è stata colpa sua. Non punitela, per favore.- disse, guardandola.

Donna Ines rimase rigida sul suo posto, tanto che, per un momento, Ester ebbe l'impressione che fosse rimasta interdetta dalle sue parole. Poi la governante interruppe il silenzio. –Non sono compiti che vi riguardano, Miss Escobar. La cura della servitù è appannaggio che compete a me e a Mister Rashid. Siete invitata ad occuparvi dei vostri passatempi e a non interessarvene.- rispose, con un tono quasi sgarbato. Ester la guardò interdetta ma non disse niente. Lanciò un'occhiata alla cameriera che, a capo chino, seguiva la governante. Mentre la osservava, non poté fare a meno di pensare alla probabile strigliata che Donna Ines le avrebbe rivolto.

La duchessa si trovava nella sala da pranzo, seduta su una poltrona e con indosso il suo abito nero. Uno scialle, del medesimo colore, era appoggiato sulle sue spalle, coprendola quasi interamente. –Vi stavo aspettando, Ester- disse, invitandola a sedersi con un cenno della mano.

Obbedì meccanicamente, raggiungendo la poltrona di fronte. Lady Mc Stone le rivolse uno sguardo pacato. – Siete andata in giardino?- domandò, guardandola.

Ester impallidì. –Vostra Grazia...è stata una mia idea. Mary ha solo eseguito i miei ordini e le mie richieste.- disse, tenendo lo sguardo basso –Credevo che fosse permesso, ora che il giardino è in condizioni agevoli.-

- Il giardino interno è accessibile. Non tutta l'area.- la corresse serafica la dama –Quello non vi è permesso. Mi sorprende che Mary non ne fosse a conoscenza.-

-Sono stata io.- insisté l'altra.

-Nulla toglie che avete agito senza informarmi e non possono che esserci degli effetti per una simile disobbedienza. Non potete andare in giro dove volete e Mary doveva saperlo, come tua cameriera personale. Sarà premura di Donna Ines occuparsi della faccenda.- le comunicò.

-Sono stata io. Mary non è responsabile di quanto avvenuto.- ripeté.

-E'la vostra cameriera personale. E'responsabile di ogni aspetto della vostra persona e conosce le regole di questa casa.- rispose la duchessa, inflessibile.

-Sono stata io.- disse di nuovo.

-Ester, la mia parola è sacra. Non dovevate avventurarvi in ogni luogo del giardino di questa tenuta ed avete disobbedito. Tutti sapevano questa regola, compresa Mary ma ha trasgredito e deve essere punita.- fece la dama.

-E invece no! Io ho detto a Mary di uscire in giardino ed è dunque mia la colpa perché ho insistito. Non potete farlo!- esclamò, levandosi di scatto in piedi.

La duchessa non si mosse. Anni di esperienza le avevano insegnato che era meglio evitare movimenti bruschi ma questa lezione non era stata impartita alla sorella minore, come dimostrava la sua agitazione. – Mary riceverà quello che le spetta e voi non dovete intromettervi nei miei compiti. Tutto quello che è in questa casa è sotto la mia piena responsabilità. Nulla vi autorizza ad agire come state facendo.- rispose, fissandola truce.

Ester però non voleva arrendersi. La rabbia stava offuscando la sua paura, al punto da renderle impossibile opporvi il dovuto freno. -Se è la mia cameriera personale, devo essere io responsabile della sua persona. Non deve essere lei a pagare per un'azione che io ho voluto per prima. Punite me.- fece, guardandola dritto negli occhi.

La duchessa non rispose subito. La osservò a sua volta, scrutandola con quei profondi occhi di smeraldo, poi, senza mutare espressione, prese il campanello d'argento che si trovava sul tavolino. Il suono cristallino si disperse nel salotto, rompendo il silenzio teso che si era creato poco dopo quello scambio acceso. Qualche istante dopo, giunse la cameriera sfregiata che rivolse ad entrambe un lieve inchino. -Sarasa, conducete Miss Escobar nei suoi alloggi e date disposizione che non esca da lì fino ad un mio nuovo ordine. Poi informate Donna Ines che desidero vederla qui, insieme a Miss Young.- disse, ritornando a guardare fuori dalla finestra.

Ester aprì bocca, pronta a perorare la causa della sua cameriera ma l'indiana che stava al suo fianco le afferrò il braccio e, in una presa delicata e forte insieme, la condusse fuori dalla stanza. L'ultima cosa che vide fu la porta di ebano chiudersi davanti a lei.

La strada che la separava dalla sua camera pareva non finire mai o forse era la mente a farle credere questo. Sarasa le faceva strada, senza dire una parola. La cicatrice le deformava una parte del volto, dandole un che di grottesco in quel gioco di luci ed ombra che era il corridoio. Ester rabbrividì, non potendo fare a meno di avvertire un disagio a quella vista.

-Ecco la vostra camera, Miss.- disse quest'ultima, rompendo il silenzio che si era creato.

Ester si riscosse.

-Oh- fu tutto quello che riuscì a dire. Guardò il legno scuro di fronte a sé, il pensiero del dialogo con la duchessa ancora fisso nella propria mente. Non poteva credere a quanto accaduto fino a pochi istanti prima. Non poteva credere che la sua cameriera fosse punita per una ragione così lieve ai suoi occhi...e fu così che prese coraggio, non seppe nemmeno lei dove. -Miss Sarasa, cosa ne sarà di Mary?- domandò.

-La duchessa è una donna molto severa. Miss Young potrebbe essere licenziata, addirittura senza referenze se la situazione lo richiede.- rispose l'altra con voce incolore.

-Ma sono io la responsabile della questione.- ribatté la più giovane – La duchessa non può...-

-Miss Escobar, Miss Young è la cameriera personale che Sua Grazia vi ha gentilmente concesso ma il suo mantenimento è opera esclusivamente di Sua Grazia che cura il regolare stipendio. Ogni pecca che Sua Grazia ha avuto modo di trovare, deve essere punita. Lei doveva aver cura di voi ed è venuta meno a questo compito.- rispose concisamente la cameriera – Vi suggerisco di non abusare della pazienza di Sua Grazia e di riflettere sulle azioni che avete compiuto e sulle conseguenze dei vostri gesti, fino a quando la duchessa non deciderà di sollevarvi dalla punizione.-

Ester si morse il labbro. Non si era fatta molte speranze sulla possibilità di muovere a compassione la cameriera personale della padrona di quella dimora. Al contrario, era ben consapevole di non avere alcun modo per ottenere clemenza. Non era nessuno per poter proteggere qualcuno...ma ugualmente non volle darsi per vinta.

-Miss Sarasa, non sono cresciuta senza aver consapevolezza del compito della servitù ma non voglio che la pena peggiore sia riservata a colei che, alla fine, non ha avuto l'idea di questa infrazione. Non voglio esimermi dalle mie responsabilità e non voglio ricevere alcun trattamento di favore. Riferitelo a Sua Grazia.- disse, prima di sparire dentro la camera.


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