4.

«Te l'avevo detto di ascoltarmi.» mi rimproverò Loretta, prima di bere un altro sorso di quel cocktail orribile.
Non mi piaceva bella roba, l'odore mi dava la nausea... berlo, mi avrebbe fatto vomitare.

«Lo so, ma ero agitata.» mi difesi. «e poi, non è stato così difficile come credevo.»
Mi guardai in torno e chiusi gli occhi quando le luci dei fari colorati appesi al soffitto vennero a contatto con i miei occhi. Ma il ragazzo che si occupa degli effetti speciali non poteva sposare quelle maledette luci lontane dalla mia faccia?

«Non è stato tanto difficile? Quando ti ho raggiunta stavi per avere un attacco di panico!»

Accavallai le gambe e la guardai. «Sai, non credevo fosse un attacco di panico.»

Loretta corrugò la fronte. «Perché lo dici?»

«Non so, è stato strano. Non so come spiegarlo, ma quei sintomi mi hanno davvero spaventata. Non riuscivo a muore le gambe, sentivo il respiro farsi sempre più corto... non è stata una bella sensazione.» spiegai e sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Avevo paura che da un momento all'altro quelle sensazioni si ripresentassero. Cosa avrei fatto in quella circostanza?
In quel locale c'erano più una trenta persone e la metà di queste erano ubriache fradice. Ero sicura che nessuno mi avrebbe aiutata, salvo Loretta.

«Forse tutto lo stress che avevi accumulato, doveva uscire.» ipotizzò, mentre mordicchiava la cannuccia che era nel bicchiere. «Sta tranquilla, sono sicura che non accadrà più.»

«Lo spero.» sussurrai prima di bere un sorso d'acqua.

«Gemelle separate alla nascita?» domandò un ragazzo a voce alta, per via della musica.
Non capii a cosa si riferisse, finché non guardai il vestito che avevo indossato quella sera e mi ricordai che Loretta ne indossava uno identico.

Quest'ultima prese subito in mano la situazione: «Be' io sono di Manchester, lei di Parigi, quindi, direi di no.»

Il ragazzo rimase scosso dalla risposta della mia amica, ma non si arrese. «E se vi pagassi da bere?»

Lo guardai. «Come ti chiami?»
Quel tipo non mi convinceva. Era ovvio che cercava di rimorchiare una delle due - o addirittura entrambe -.
Oppure era solo ubriaco, ma cercava a tutti i costi di fare colpo.

«Vi dirò il mio nome, se una delle due verrà a prendere un drink con il sottoscritto.» sorrise.
Sembrava quasi carino.

Alzai entrambe le mani. «Io passo. Loretta, vuoi andare tu a scoprire il nome del nostro nuovo amico?»
Lei mi guardò e capii subito che il suo sguardo non era per niente pacifico. Si alzò e si avviò verso il ragazzo. Poi girò la testa e mimò un "io ti ammazzo".
Le sorrisi e bevvi un altro sorso d'acqua.
Tornai a guardare il vestito che stavo indossando quella sera: era corto, molto corto. Color melanzana, ai piedi portavo delle semplici scarpe con la zeppa e al mio seguito portavo una pochette, dove avevo messo le cose più essenziali: portafoglio, telefono e un pacchetto di sigarette, non era essenziale, ma poteva sempre essere utile.
Stesso vestito portava Loretta, anche se lei indossava gioielli ovunque.

«Ehi, ti senti bene?» domandò una voce maschile alle mie spalle.

Girai lo sguardo e vidi un ragazzo che mi sorrideva. Aveva gli occhi occhi chiari e i capelli molto scuri che, per via della luce, non riuscivo a distinguere di quale colore li avesse.
«Sì, benissimo.»

«A me non sembra.» insisté.
Avevo già capito cosa desiderasse da me.

«Ascolta, se questo è un modo per rimorchiarmi, puoi anche...»

«Cosa? No, certo che no.» si girò di spalle e in quel momento sul retro della schiena. Sulla giacca c'era scritto "security".
Quel ragazzo era della sicurezza del locale e io avevo appena fatto una figuraccia senza neanche avere un goccio d'alcool in circolo, perfetto.
«Sono della sicurezza, mi chiamo Parker.»

«Io...»

«Tranquilla, non mi servono le scuse.» guardò alle mie spalle. «Facciamo così: io ti vado a prendere un bel bicchiere d'acqua fresca e tu mi accompagni fuori da qui.»
Era un agente della sicurezza, ma ci stava provando alla grande.

«E perché dovrei?» chiesi, incrociando le braccia.
Non volevo uscire da quel posto, dovevo controllare Loretta, che tra l'altro avevo perso di vista.

«Perché ti stai annoiando a morte.»
Be', non aveva tutti i torti.

***

«Perché sei venuta qui se ti stai annoiando a morte?» mi chiese lui, prima di chiudere la porta della discoteca alle nostre spalle.

«Ho dovuto accompagnare una mia amica, che ora se la starà sicuramente spassando con un ragazzo qualunque.» mi lamentai e mi sedetti sul marciapiede.

Lui fece lo stesso, poi mi chiese: «E non avevi altro da fare?»

Sentire la sua domanda mi fece accennare un sorriso. «Se avessi avuto qualche altra cosa da fare, non l'avrei accompagnata, no?» gli domandai e mi resi conto che lui mi stava guardando in modo strano. «Che c'è?»

Lui scosse la testa. «Nulla è che... mi piace il tuo sorriso.»
La situazione si stava mettendo male.

Aggrottai la fronte. «Ti avevo detto che non...»

«Sì, lo so.»
Guardai altrove, cercando di scacciare via il disagio che in quel momento aveva preso il sopravvento.
Mentre guardavo l'orizzonte, vidi qualcuno deviare il mio sguardo.
Socchiusi gli occhi per vedere meglio, ma di notte, con il buio, era difficile distinguere le sagome.
Mi alzai e mi avvicinai verso la sagoma che poco prima era davanti ai miei occhi.
«Dove vai?» mi chiese il ragazzo.

«Torno tra un secondo.» velocizzai il passo. Sapevo che davanti ai miei occhi era passato qualcuno, lo avevo visto, ne ero sicura.
Arrivata in quel punto, non vidi più nessuno, ma il rumore delle foglie lo colse in inganno e riuscii a capire da dove provenisse il rumore. Proveniva proprio alle mie spalle. Mi girai di scatto e vidi la sagoma allontanarsi velocemente. La seguii senza pensarci due volte, corsi il più velocemente possibile e più mi avvicinavo, più sapevo di aver già visto quella persona: alto, muscoloso, capelli corti e brizzolati.
Arrivata abbastanza vicino, lo afferrai per le spalle e lo costrinsi a voltarsi verso di me.
Era la guardia del corpo di Harry. L'uomo che mi aveva presa in giro perché quel giorno, in agenzia, mi vedeva agitata.
Ma cosa ci faceva qui?
«Perché mi spiavi?» domandai, non aspettandomi una risposta sincera.

«A te non deve importare del perché ti stavo controllando, piuttosto, dovresti stare lontano dal tuo nuovo amichetto.» prese parola. La sua voce era più calda e rilassante di quanto immaginassi.

«Perché, adesso è vietato anche parlare con le persone?» gli domandai e lui si fece ancor più serio.

Si guardò intorno, per vedere se qualcuno ci stava ascoltando. «Quel tipo non mi piace.»

«Ti ha detto Harry di seguirmi?» domandai, cambiando discorso. Lo sguardo dell'uomo cambiò completamente.
«È per questo? Harry vuole controllarmi? Neanche mi conosce e vuole già controllarmi?» alzai il tono di voce.
Era assurdo.

Poggiò le sue mani possenti sulle mie spalle e mi guardò negli occhi. «Harry non c'entra nulla. So che non ti fidi di me e non sei costretta a farlo, ma credimi, devi andartene da qui.»
Sembrava serio, molto serio.

Decisi di credergli. «Ok, ma...»

«La mia auto è a pochi metri da qui. Andrò a recuperare la tua amica nel locale, aspettami qui. Non ti muovere.» e a passo svelto si diresse verso il locale.

Ripensai al modo in cui Parker mi aveva guardata. Il modo in cui aveva detto che gli piaceva il mio sorriso.
Forse se Loretta non si fosse allontanata, Parker non si sarebbe avvicinato. Stava solo aspettando che tutti si allontanassero da me, per parlarmi.
«Hai parlato con il tuo amico?» domandò una voce dietro di me.
Parker.

Mi voltai verso di lui, sfoggiando il sorriso più falso del mondo. «In realtà non sono riuscita a trovarlo. Sai, con i tacchi è molto difficile correre.» mentii.

Restò impassibile e si avvicinò a me. «Non mentirmi.»
La sua espressione mi fece rabbrividire. Aveva gli occhi completamente spalancati.

«Non lo sto facendo.»

Lui mi afferrò il polso e avvicinò il suo viso al mio. «Avresti dovuto bere un po' di più. Ce la saremo spassata. Se fossi stata ubriaca, non avresti ricordato niente, ma visto che continui a fare la santarellina... dovrò usare le maniere forti.» con l'altro braccio mi cinse la vita. Accostò il viso accanto al mio collo, poi lo sentì ridacchiare. «Che buon profumo che hanno i tuoi capelli...»
Cercai di allontanarmi, di liberarmi dalla sua presa, ma fu tutto inutile.
Allora provai anch'io con le maniere forti: con l'unica mano libera, riuscii a spintonarlo lontano da me. Provai ad allontanarmi il più possibile, ma Parker riuscì ad afferrarmi per il braccio.

«Lasciami stare...» ansimai per la troppa adrenalina che era in circolo.

«Io non accetto un "no" come risposta.» e dopo aver pronunciato quella frase, mi diede uno schiaffo in pieno viso.
Portai la mano sulla guancia che era stata colpita e guardai Parker con gli occhi pieni di odio.
Simon aveva ragione, quel tipo non aveva buone intenzioni, ma ovviamente io dovevo fare sempre di testa mia.
«Oh, non guardarmi in quel modo. Non proverò mai pietà per te.»

«Ehi!» sentì urlare alle spalle di Parker. Quando quest'ultimo si voltò, Simon gli diede un pugno in faccia. Questo, fece cadere Parker a terra, esanime. Simon senza pensarci troppo, mi afferrò per il polso e mi trascinò via.

Mentre cercavo di stare al suo passo, sentivo che mancava qualcosa.
O meglio, qualcuno.
Loretta!
«Simon, aspetta, dov'è Loretta?»

«Se l'avessi davvero cercata, quel tipo ti avrebbe portata via e fatto chissà cosa.» continuò a trascinarmi verso il veicolo. «Credimi, se la caverà.»
Simon aveva ragione, Loretta sapeva cavarsela benissimo da sola.
Non tibattei niente e continuammo a camminare.

***

In auto, continuavo a guardare fuori dal finestrino, mentre Simon teneva gli occhi puntati sulla strada.
Mi pesava ammetterlo, ma quella volta aveva avuto ragione.
«Ti senti meglio?» mi chiese.

«Sì,» lo guardai. «grazie per essere arrivato in tempo.»

«Dopotutto, sono una guardia del corpo.» ridacchiò.
Sorrisi e mi concentrai sulla strada. Eravamo a pochi isolati da casa mia.
«Emily, da quanto tempo sei fan di Harry?» continuò lui.

Lo guardai e sgranai gli occhi. «Tu come fai...»

«Non chiedermelo. Rispondimi e basta.» mi ordinò.
Come aveva fatto a scoprirlo? Forse aveva scavato nella mia vita privata, ma come?

Decisi di dire la verità. «Lo sono stata per cinque anni.» accennai un sorriso. «Poi cambiò tutto.»

«Quel giorno, quando siamo venuti in agenzia, lui ti guardava in modo strano. E anche tu. Sicura di non averlo già visto prima, dopo quel giorno al bar?» mi chiese. Prima Harry, ora Simon.

«L'ho detto già ad Harry: prima del bar, non c'è stata nessun'altra volta.» sospirai. «E poi, da quando sono sua fan, non sono mai stata ad un suo concerto.»

Simon annuì, come se si fosse tolto un enorme peso dalle spalle. Poi mi guardò. «Non farò parola con Harry di questa conversazione e non dovrai farlo neanche tu, capito?»

Annuii. «Lo sai, quando ti ho visto per la prima volta, la prima impressione che ho avuto su di te non è stata delle migliori.» ridacchiai tra me e me e vidi che lui sorrise.

«Me lo dicono in molti.»

«Hai figli?» domandai poi. Era strano, ma non riuscivo a smettere di parlare. Parlare con una persona più grande di me era una cosa che non facevo da molto tempo. Dopo essere andata via da Parigi, l'unica cosa che non volevo era avere contatti con una persona che potesse ricordarmi i miei genitori, ma infondo sapevo che in Simon non avrei mai trovato requisiti simili.

Accostò la macchina davanti casa mia e rispose: «Sì, due bambine: Abigail e Kimberly, di due e cinque anni... sono le mie principesse.»
Mi fece quasi commuovere il modo in cui pronunciò i loro nomi. Era commosso, fiero di averle al suo fianco.

Aprii la portiera dell'auto. «Ora devo andare ma... grazie, per tutto quello che hai fatto per me questa sera.»

Lui mi salutò con un cenno della mano ed io entrai in casa.
Raggiunsi la camera e in quel momento il mio telefono squillò, lo presi e risposi. «Pronto?»

«Charlie,» riconobbi subito la voce di Loretta. «Quel bastardo si chiamava Charlie... oddio, devo vomitare...»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top