21.

years ago

Calci, urla e insulti. Era quello che Emily doveva patire ogni giorno da otto anni.
«Te l'avevo detto di non farlo, ma tu come sempre non vuoi ascoltarmi.» urlò suo padre, Olivier, prima di scagliare un altro calcio contro lo stomaco della ragazza.
Lei urlò e portò entrambe le mani sulla parte dolorante. Strizzò gli occhi, pregando che quella tortura finisse, ma in cambio ricevette solo un altro calcio: questa volta sul ventre.
Olivier era un uomo alto, dai capelli biondi e gli occhi chiarissimi, color ghiaccio. Lavorava per un agenzia immobiliare ed era riuscito ad arrivare ad avere uno stipendio molto rilevante.
Accanto a lui, con un espressione seria e priva di emozione c'era Nadine, la mamma di Emily; lunghi capelli neri le sfioravo le spalle e una frangetta era stata piastrata sopra la fronte, occhi scuri e labbra sottili. Nadine non aveva un lavoro, lo aveva penso quando il suo capo aveva scoperto che lei era incinta. Da quel giorno Nadine non aveva più un lavoro stabile. In quelle circostanze - mentre Emily veniva presa a calci - lei si limitava a guardare, senza fare niente per aiutare sua figlia.
«Possibile che non ascolti mai quello che ti dico?» continuò a gridare Olivier. Le finestre erano chiuse, nessuno lo avrebbe sentito urlare a parte Emily, sdraiata ai suoi piedi.

La ragazza cominciò a sentire un sapore metallico in bocca, le venne da vomitare. Iniziò a sudare freddo, le faceva male lo stomaco. Si voltò e vomitò in un sacchetto posto accanto a lei. Olivier e Nadine la odiavano così tanto, che posizionare quel sacchetto a terra per la figlia era stato un gesto "disgustoso", secondo loro.
Ormai Emily era abituata all'odio che i suoi genitori provavano nei suoi confronti, al loro disprezzo e alle loro parole che riuscivano ogni giorno a frantumarle il cuore.
Emily tossì e poggiò la testa a terra. Mentre ansimava sentiva la testa pesante e tutto intorno a lei girava.
Olivier si abbassò e avvicinò le labbra all'orecchio della figlia. «Ti è bastata, o devo continuare?»

Emily iniziò a ridere. Olivier è Nadine la guardarono con perplessità. «Siete patetici, tutti e due. Non sapete fare altro che sgridarmi, quando invece ti stavo solo chiedendo di passarmi una semplice bottiglia d'acqua.» continuò a ridere mentre rivolgeva lo sguardo verso suo padre, perché era s lui che si rivolgeva. Aveva approfittato del primo lampo di coraggio e aveva sganciato una bomba, ma sapeva che il padre aveva molte più risorse di lei. «Non avete fatto altro che sgridarmi ad ogni minimo errore. Siete patetici, dovreste provare vergogna, dovreste voi vomitare al posto mio per tutte le stupidaggini che escono dalle vostre bocc-»

Olivier ne aveva abbastanza, afferrò Emily per i capelli e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Sta zitta ragazzina, sta zitta!» gridò ed Emily sorrise, l'adrenalina le aveva dato più coraggio di quanto si aspettasse. «Credo che tu non abbia ancora appreso bene la lezione. Avrei anche potuto passarti quella bottiglia d'acqua, ma il modo in cui me lo hai chiesto è stato orrendo, non ti permetterò di trattarmi di nuovo in quel modo. Sono tuo padre, devi avere rispetto nei miei confronti.» lui accennò un sorriso. «È credimi, la prossima volta mi chiederai in ginocchio di passarti quella bottiglia d'acqua.»

Arrivata a quel punto la ragazza si aspettò uno schiaffo in pieno volto o l'ennesimo calcio al ventre, ma accadde una cosa che Emily non si sarebbe mai aspettata.
Nadine intervenne: «Olivier, basta. È già passata mezz'ora e lei potrebbe tornare da un momento all'altro.»

Oliver lasciò i capelli di Emily e di alzò in piedi. «Sì, hai ragione.» si allontanò. «Alle nove ti voglio a letto o ne pagherai le conseguenze.» uscì dalla porta e prima di seguirlo, Nadine raccolse il sacchetto da terra.

Emily si alzò a fatica e barcollando riuscì a raggiungere il bordo del letto. Si sdraiò sul materasso morbido. Sotto di sé, le coperte erano gelide, come tutto il suo corpo. Provò a riscaldarsi, sfregando la mano contro il braccio, ma il tentativo fallì. Aveva la bocca ancora intrisa da quel sapore metallico e deglutire non cambiò le cose.
L'unica cosa che Emily poteva in quel momento senza essere sgridata o giudicata, era tirare un sospiro di sollievo.

***

Sdraiata sul letto ad occhi chiusi, Emily ripensava alle parole di suo padre.
Era passata più o meno un'ora da quando il padre era uscito dalla sua stanza e le nove di stavano avvicinando. Emily tirò su con il naso e si rannicchiò, portando le gambe al petto e prendendo una posizione fetale. I lividi le facevano male, tutto il suo corpo era dolorante.
Non sarebbe mai uscita da quella situazione, ne era certa. Olivier la picchiava da quando aveva sette anni, ora ne aveva quindici e la situazione non sarebbe cambiata. Lui non provava compassione, non sapeva cosa significasse. Ma per la prima volta Emily era riuscita a dire quello che provava, a ridergli in faccia e per pochi secondi si era sentita potente, capace di fare qualsiasi cosa.

La porta si spalancò di scatto, Emily aprì gli occhi e la vide. «Finalmente, credevo non arrivassi più.»

La ragazza dai capelli rossi e gli occhi chiari si inginocchiò davanti a lei. Afferrò la mano di Emily e prese parola: «Mi dispiace, quel cretino di Dominique non voleva lasciarmi andare... ti ha fatto del male?»
A quelle parole Emily avrebbe voluto ridere di gusto. Trovava del tutto fuoriluogo quella domanda, visto che la risposta era ovvia. Ma invece di ridere, riuscì ad ottenere solo occhi pieni di lacrime. Annuì è la giovane posta davanti a lei abbassò lo sguardo, demoralizzata. «Non lo meriti.»
Portava delle vecchie scarpe, si capiva dal colore che queste avevano. I capelli erano lucidi e legati in una coda alta.

«Non è colpa tua.» Emily riuscì ad accennare un sorriso privo di emozioni. «Sono loro che mi odiano a morte, tu di questo non hai nessuna colpa.»

La ragazza cambiò espressione; si sfilò lo zaino dalle spalle e lo aprì. «Siediti, devo farti vedere una cosa.»
Emily non perse tempo e ubbidì.
La ragazza perse interi minuti, che ad Emily parvero anni, a frugare nello zaino; ne tirò fuori un pezzo di carta e lo passò frettolosamente ad Emily.

Quest'ultima guardò il foglio, ma non capì a cosa potesse servirle. Quando lo girò, vide una data: 22 Novembre. E poi un nome. Nome che riconobbe all'istante è ad Emily si illuminarono gli occhi.
«È un biglietto.» guardò la ragazza, che stava già sorridendo. «Questo è un biglietto per il concerto di Harry! È impossibile, come diavolo hai fatto a trovarlo?»

«Ho le mie fonti.» le fece l'occhiolino. «In realtà avevo intenzione di prenderne due. Stavo per pagarli, quando mi sono resa conto che i soldi che avevo bastavano per pagare un solo biglietto. Così ho pensato che meritassi di andare, anche senza di me.»
Emily era commossa dal suo gesto, adorava così tanto Harry che avrebbe fatto qualunque cosa fosse servita per vederlo.

Emily continuò a guardare il biglietto. Lo sfiorò con il pollice e sentì un'immensa sensazione di vuoto allo stomaco. Lo avrebbe incontrato. Con il biglietto che teneva tra le mani avrebbe incontrato il suo idolo.
Contemporaneamente, sapeva che i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di andare a quel concerto. «No.»
Restituì il biglietto alla ragazza e incrociò le braccia.

Lei spalancò di scatto gli occhi. «No?»

«Non posso andarci e lo sai bene. Loro non mi daranno mai il permesso di andare a quel concerto il ventidue Novembre.» sospirò. «È tra due settimane... tra due settimane lui...» le venne di nuovo da piangere.
Non riuscì a trattenere le emozioni e una lacrima le inumidì la guancia e dovette passare la mano più di una volta prima che questa si asciugasse del tutto.

La giovane posò la mano sulla spalla di Emily, cercando in tutti i modi di darle conforto. «Non ti permetterò di saltare un altro concerto. Lui ti salva ogni giorno, tu dovrai essere presente a quel concerto Emily.» le mostrò il biglietto. «Ho preso il parterre, certo sarà un po' scomodo, ma sai cosa significa, Emily? Lo avrai a un metro di distanza da te, solo un palco vi terrà separati. E se avrai fortuna, lui ti saluterà con un gesto della mano.»

«Avere fortuna non è il mio forte.»
Ad Emily sembrava tutto così surreale: aveva avuto tra le mani un biglietto per vedere il suo idolo, ma la paura di non poter andare, aveva inghiottito completamente tutta la felicità che avrebbe provato nel vedere Harry cantare.

«Perché devi essere sempre così pessimista?»

La porta si aprì di scatto e Olivier entrò.
Emily puntò gli occhi verso l'orologio e vide che la lancetta più grande aveva superato le nove. Il panico l'assalì.
«Perché non sei ancora a letto?»
Sembrava non si fosse reso conto della presenza dell'altra ragazza.

«Io non-»

«Vuoi che ti prenda di nuovo a schiaffi?» gridò lui, prima di precipitarsi verso Emily con aria minacciosa.
Poi vide la ragazza, le sorrise ed Emily provò nostalgia. Olivier non le avrebbe mai sorriso in quel modo dolce e protettivo.
Tornò a guardare Emily. «Dovresti ringraziare che Eva sia qui e adesso fila a letto.» le ordinò.
Emily annuì e Oliver iniziò ad allontanarsi, poi vide un biglietto a terra. Lo raccolse. Si voltò verso sua figlia e glie lo mostrò. «Intendevi andare al concerto di questo tipo senza dirmi nulla?»

Emily scosse la testa. «No, volevo solo-»
Per colpa di Olivier entrato all'improvviso, Eva aveva lasciato cadere il biglietto a terra e lui lo aveva trovato.

«Be', non ci andrai. Sai che non lo vedrai mai, fattene una ragione tesoro. I sogni devono restare tali. Non metterti mai più un'idea del genere in testa.»
Oliver afferrò con entrambe le mani il biglietto. Il sogno di sua figlia stava per essere infranto nel modo più peggiore.

Eva intervenne. «Volevo andarci io!» esclamò. Non poteva permettere che il biglietto venisse strappato. «Tengo molto ad andarci e se tu me lo permettessi, ne sarei molto felice.»
Emily la guardò. Era felice del suo intervento e si promise che un giorno le avrebbe ricambiato il favore.

Olivier guardò Eva e le restituì il biglietto intatto e senza un graffio. «Se me lo avessi chiesto prima, tua sorella si sarebbe risparmiata una sgridata. Ma fa sempre bene ricordarle chi comanda in questa casa.» fulminò Emily con lo sguardo e uscì dalla stanza.

Eva sospirò. «Ok, ci andrò io. Andrò io al posto tuo e quando tornerò a casa, ti racconterò tutto.» Emily la guardò e sorrise, anche se si sentì pervadere da tua tristezza infinita. «Vieni qui.»
Si abbracciarono ed Emily la strinse forse, le voleva bene e sapeva che Eva ricambia a il suo affetto, lo aveva appena dimostrato.

«Ti voglio bene.»

«Vuoi che resti qui?» le chiese Eva ed Emily subito annuì. Non voleva restare sola, non quella notte.

Emily si sdraiò, posando la testa sul cuscino. Eva le si sdraiò affianco. «Riuscirai ad incontrarlo e lui non si dimenticherà più di te.»

«Non dire stupidaggini.» ridacchiò Emily.

«Non sto dicendo stupidaggini, riuscirai ad incontrarlo un giorno. Non ascoltare quello che dice nostro padre; i sogni posso essere realizzati. Harry è la persona che riesce a tirarti su il morale ogni giorno, perché il destino non dovrebbe permetterti di incontrarlo? Tu lo incontrerai Emily, te lo prometto.»

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