20.

Bevvi un sorso d'acqua e mi voltai per guardare Harry che continuava a fare flessioni; la schiena era perfettamente dritta e perfettamente allineata al resto del corpo. Sembrava fare quelle flessioni senza il minimo sforzo.
«Andiamo Emily, perché non fai qualche flessione anche tu, insieme ad Harry?» mi incoraggiò Simon.
10 Dicembre.
Il tempo passava velocemente e non riuscivo a credere che il tour sarebbe iniziato dopo solo due mesi. Ma la cosa positiva era che avrei passato un anno intero con Harry in giro per il mondo.

Accavallai le gambe. «Oggi passo.» e accennai un sorriso soddisfatto.
Simon mi guardò male, ma non gli diedi peso e continuai a guardare Harry che senza ribattere nulla, continuava a fare flessioni.

«Andiamo figliolo sei solo a quindici flessioni!» alzò la voce Simon prima di battere la mano a terra. Avvicinò il suo viso a quello di Harry. «Quante ne avevamo stabilite oggi?»

«Trenta.»

«Se qualcuno derubbasse casa tua, io in quel momento non ci sarò. Quello che dovrà intervenire sarai tu, visto che Emily continuerebbe a dormire come un sasso.»
Harry iniziò a sudare.

Sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «E questo è il modo in cui lo incoraggi? Harry provo compassione nei tuoi confronti. Dovresti licenziarlo.»

Simon incrociò le braccia. «Hai un idea migliore per incoraggiarlo?»

Mi alzai. «Be', potresti usare il cibo. Con me funzionerebbe.»

«Smettetela di litigare voi due.» ci rimproverò Harry, prima di respirare affannosamente. «Sembrate due ragazzini. Sono a venticinque flessioni, forse se continuate a litigare arriverò a quaranta.» ridacchiò.
Due fossette spuntarono sulle sue guance.
Iniziai a fissarlo.
Simon, rendendosi conto della mia espressione mi guardò storto.
Confusione.

Raggiunsi la porta. «Qui dentro l'aria inizia a diventare pesante.» esordii. «Vado a fare due passi.»

Svoltai a destra ed iniziai a camminare per i corridoi della palestra. Mi sorprendeva il modo in cui le persone facevano finta di nulla. Harry era in quella stanza, ma tutti si comportavano come se non ci fosse. Sapevo che Harry frequentava quella palestra da molto tempo, e aveva fatto amicizia con tutti. Vedevo gente fare box, flessioni, tapis roulant, tennis... di tutto. La maggior parte della gente aveva delle cuffie alle orecchio, ormai erano diventate di moda.

Arrivata davanti una finestra, presi una boccata d'aria fresca. Non sapevo cosa mi stesse succedendo e la conseguenza era una sensazione costante di disagio. Era strano non riuscire a capire cosa stesse succedendo nel tuo corpo.
«Sei misteriosa oggi.» esordì una voce alle mie spalle.

Accennai un sorriso nervoso. «Non dovresti essere con Simon a fare flessioni?»
Non avevo molta voglia di parlare, ma Harry voleva solo aiutarmi a tirar fuori tutto quello che in quel momento stavo provando.

«È il dieci di Dicembre e fa un freddo cane.» mi raggiunse. «E poi, preferisco scoprire cosa ti passa per la testa.»

«Ti diverte?»

«Mentirei se ti dicessi di no.»

Girai la testa verso di lui. «Cosa vuoi che ti dica?»

«Quello che in questo momento ti sta profondamente turbando.» rispose. «Di solito tu e Simon non "litigate" in quel modo. Sì, a volte sa essere insopportabile, ma non lo fa perché ti odia. Prendi quel comportamento come una dimostrazione d'affetto nei tuoi confronti.»

«Loretta è incinta.» confessai.
Io e Loretta da quel giorno non ci siamo più parlate. Una parte di me credeva che lo meritasse, ma l'altra era profondamente pentita delle cose che erano uscire dalla mia bocca.

Harry restò immobile per un attimo. «Davvero?» annuii. «Be'...»

«Il bambino non è di Fred.»

«Non ti seguo.»

Sosprirai. «Non sapevo che Fred e Loretta si conoscessero. Quel giorno sono andata a casa di Loretta e li ho visti litigare, mi hanno spiegato tutto quello che è successo tra loro... ma Fred non sapeva che Loretta era andata a letto con un altro. Erano arrabbiati, e il mio intervento ha peggiorato ancora di più le cose.» Harry mi invitò a continuare. «Sono stata io a peggiorare le cose, e prima di andarmene ho augurato a Loretta di godersi la gravidanza.» guardai fuori dalla finestra. «È stata colpa mia, ho rovinato tutto; sia il rapporto che avevo con Loretta, sia il rapporto che quest'ultima aveva con Fred.»

«Prima o poi Fred lo avrebbe scoperto.»

«No, se avessi tenuto la bocca chiusa.» puntualizzai.

«Sì, forse in parte è stata anche colpa tua, ma Fred lo avrebbe scoperto. Avrebbe visto il disagio che Loretta avrebbe avuto la prima volta che avrebbe preso in braccio suo figlio.» forse aveva ragione. «E poi, chi può saperlo? Forse il vero padre di quel bambino vorrà conoscerlo e prima o poi sarebbe venuto a cercarlo. Non ci vuole molto per rintracciare l'indirizzo di una persona.»
L'ultima frase mi ricordò il modo in cui Simon aveva scavato nella mia vita e riportò alla mente ricordi che tenevo nascosti da tempo.

«Ricapitolando: ho litigato con Loretta, Fred è sparito dalla circolazione, tu ti sei innamorato e io sono sola come un cane.»

«Ma tu non sei sola.» replicò. «Hai me.»

«Bel tentativo Har...»

«Siamo soci, e amici... facciamo così, fa' finta che io sia il tuo psicologo personale.» cercò il mio guardo e per un attimo quella richiesta mi sembrò ridicola. «Potrai dirmi qualsiasi cosa tu voglia, anche la più strana.»

«Così ascolterai tutte le mie lamentele su Simon?»

«Sì, potrei ascoltare anche quelle.» ridacchiò. «Ma voglio farti capire che per qualunque cosa tu abbia bisogno, io sono qui per aiutarti. Se tu me lo permetterai ovviamente.» mi guardò negli occhi. «Sappi che con me puoi parlare senza essere giudicata. Non guardarmi come personaggio famoso, guardami come un amico pronto ad aiutarti.»

Il mio corpo si irrigidì di colpo e il cuore iniziò a battere più velocemente.

«So di poterti parlare...»

«Mi è venuta un idea.»
Sul suo viso spuntò un sorrisetto soddisfatto.

Incrociai le braccia. «Sai che non adoro molto le tue idee.»

«Perché non andiamo a cena fuori sta sera?»

***

Alla fine Harry riuscì a convincermi. Raggiungemmo il ristorante con mezz'ora di ritardo, dovuto al traffico.
Una ragazza in piedi infondo alla stanza stava suonando il violino e facevano sembrare l'intero locale bello ed elegante.
La ragazza aveva i capelli corti, il trucco molto marcato e indossava un vestito completamente rosso. E due orecchini lunghi prendevano, sfiorandole il collo.
«Signori, la carta dei vini e il menù. Se avete bisogno di me, basta chiedere.» ci informò il cameriere prima di allontanarsi.

Quando fu abbastanza lontano, Harry prese parola. «Ti vedo interessata.»
Lo ero, soprattutto per il modo in cui Harry si era vestito. Anche se non sembrava esserci nulla di così spettacolare, il nero gli donava. Lo rendeva più elegante e serio.

«Be', diciamo che mi aspettavo un posto molto meno...» Harry alzò le sopracciglia e mi invitò a continuare. «... eccentrico, ecco.»

«Simon lo definirebbe romantico

«Be', Simon ci sta guardando dalla finestra e se non fosse una guardia del corpo, lo definirei uno stalker professionista.» dissi e lo indicai.
Simon aveva insistito per accompagnarci, il che non mi diede molto fastidio. La cosa preoccupante era che ci puntava dalla finestra come un cane da guardia. Controllava costantemente l'orologio, come se da un momento all'altro sarebbe scoppiata una bomba. In più, continuava a fissarmi. Lo avrei invitato ad entrare, se solo Harry non avesse specificato durante il viaggio in auto che Simon non sarebbe dovuto entrare.

Harry sorrise e ordinò una bottiglia di vino bianco dal nome impronunciabile - che il cameriere portò dopo pochi minuti -, mentre io ordinai degli spaghetti per entrambi.
«Credo che sia arrivato il momento di confessarti una cosa.»

Battei un paio di volte le palpebre e deglutii. «Per curiosità: di cosa si tratta?» domandai prima di prendere un sorso d'acqua.

«Senza giri di parole, arrivo subito al dunque...» incominciò. «Ho mentito sia a Carlyn che a te.» corrugai la fronte. «Non sono innamorato di nessuno, vi ho mentito.»

Spalancai gli occhi. «Ti rendi conto di aver peggiorato le cose? Dicendolo, mi hai fatto insultare e minacciare dalla tua ex in modi orribili, Harry!»

Lui annuì. «Lo so e me ne prendo tutte le responsabilità.»

«Dovrei prenderti a schiaffi.» borbottai.
In quel momento il cameriere tornò con due piatti pieni zeppi di spaghetti. L'odore era invitate e senza aspettare iniziai ad attorcigliare gli spaghetti alla forchetta.

Harry riprese il discorso. «Credevo che facendolo, smettesse una volta per tutte di starmi addosso come una sanguisuga, invece ha fatto tutto il contrario.» prese la bottiglia di vino tra le mani e ne versò un goccio nel suo bicchiere, poi nel mio.

«Quindi, fammi capire: non sei innamorato di nessuno?»

«No.» rispose. «E devo chiederti scusa, le cose che Carlyn ti ha detto... be', dovevo farla tacere.»

«Sì, avresti dovuto.» e portai in bocca gli spaghetti. «Adesso lei crede che tra noi ci sia qualcosa ed è stata colpa tua. Sei stato crudele, le hai fatto credere una cosa che non esiste, avresti potuto dirle la verità. Non è quello che dici sempre?»

«Parla la ragazza che odia Carlyn.» mi ricordò lui prima di imitare la mia voce.

«È vero, la odio.» presi un sorso di vino. «Ma questo non vuol dire che tu debba mentirle in quel modo, è stato scortese da parte tua.»

«Abbiamo finito?» mi domandò, annoiato. Sembrava non curante di quello che pensavo.

«Sei tu che hai aperto il discorso, io ti sto solo dicendo la mia opinione.»
Harry afferrò il suo quinto bicchiere vino con la mano destra e lo bevve tutto d'un sorso, poi se ne versò ancora. Era incredibile, in quei pochi minuti era riuscito a scolari cinque bicchieri di vino.
«Non ti piace proprio parlare di Carlyn...»

«Ormai ho chiuso con lei e aperto con il vino.»
Ma come poteva il vino renderlo così "scontroso" in così poco tempo?

Sospirai. «Harry...»

«Sì, lo so, non devo andarci giù pesante bla bla bla bla... non devo bere più e cazzate del genere.» batté la mano sul tavolo. «Ragioni proprio come Simon. Tu e lui ragionate allo stesso modo. Dovreste mettere su famiglia. Uscirebbero dei bellissimi bambini. Ti ricordo che quel giorno, quando mi hai trovato in cucina ubriaco, non ti ho promesso che avrei smesso una volta per tutte di bere. E non lo farò mai.»
Credevo non lo ricordasse.

Lo guardai negli occhi. Erano cupi, spenti, sembrava triste. «Da quando sei così aggressivo?»

«Da quanto tu sei entrata nella mia vita.» ricambiò lo sguardo. «È non guardarmi in quel modo, mi rendi ancor più nervoso.»

Mi alzai. «Non riesco proprio a capire come Simon faccia a sopportarti da ubriaco, perché io non ti sopporto proprio!» e mi allontanai. Non sopportavo vederlo bere in quel modo, anche se la prima volta che lo vidi ubriaco, le cose erano andate molto meglio di così. Uscii dal locale e accesi una sigaretta. Mi sfregai le palpebre e sospirai. Come poteva essere così egoista con sé stesso? Bere non avrebbe risolto un bel niente e lui lo sapeva benissimo.
Le strade erano deserte, Londra sembrava pietrificata, come se il tempo da un momento all'altro si fosse fermato. Faceva freddo, e per la fretta avevo dimenticato la giacca accanto ad Harry.
Presi un'altra boccata di fumo, ma non mi voltai a guardarlo. Le cose erano cambiate da quando io ero arrivata, aveva trattato malissimo Carlyn, cos'altro sarebbe successo? Avrebbe bevuto fino a svenire?

«Lui non è così.» sussurrò Simon prima di raggiungermi e mettersi accanto a me.

«So benissimo che non è così, ma non lo sopporto quando è ubriaco.» lo guardai e sfregai l'unica mano libera contro il braccio nel tentativo di riscaldarmi. «Il vino gli fa un brutto effetto.»

Simon ridacchiò. «Concordo.»
Poi si voltò e accennò un sorriso. «Mi dispiace tanto comunicartelo, ma sta arrivando e sembra anche pentito.» si allontanò di qualche passo. «Vi lascio un po' di privacy.»

Lo sentii allontanarsi, ma nel contempo sentii la porta del ristorante aprirsi. Chiusi gli occhi per pochi secondi e cercai di resistere al desiderio di voltarmi.
Sentivo i suoi passi, il sui respiri affannosi.
Buttai la cicca della sigaretta a terra e la pistai.
«Ok, non vuoi parlarmi e sembri arrabbiata.» ansimò. «Emily...»

Mi voltai. «Non credo che arrabbiata sia il termine giusto.»

«Furiosa? Rabbiosa? Irritata? Infuriata?...» incrociai le braccia. «Forse è meglio che resti in silenzio.» si grattò la nuca ed emise un lungo sospiro.
Più lo guardavo e più non riuscivo a spiccicare parola, mi faceva sentire strana, felice. Ed era quello che volevo da tempo, essere felice. E con lui riuscivo ad esserlo.
«Non volevo dirti quelle cose.» continuò. «Emily, prima dicevo la verità. La mia vita è davvero cambiata quando sei arrivata, ma in meglio.»

«Sei ubriaco.» gli ricordai.

«Non così tanto, riesco ancora a ragionare... sì, va bene, mi sono scolato una bottiglia d'acqua prima di venire qui, ma è questo il punto.»

«Allora qual è il punto?» incalzai. «Mi sembra di essere sulle montagne russe; va tutto bene, poi arriviamo in cima e di colpo scendiamo in picchiata e litighiamo, però poi torna tutto bene e all'improvviso siamo punto e a capo. Non voglio sgridarti come faccio sempre, anzi, lo sai che ti dico? Continua bere, sì, bevi fino a svenire, perché bere ti fa sentire meglio vero? Anche se non risolvi niente, ma ti fa star bene, quindi...» emisi una risatina nervosa. «Sai qual è il problema? Il problema è che io quando sono con te sto bene, mi sento accettata, anche da Simon, il che è strano visto che ci insultiamo ventiquattrore su ventiquattro. Mi fa star bene la tua compagnia, la tua vicinanza e non riesco a capire che diavolo mi succedendo, è tutto confuso...»

Lo guardi negli occhi. Sapevo che in quello stato non avrebbe capito quello che intendevo dirgli, ma in fin dei conti sarebbe stata la cosa migliore per entrambi.

«Emily.» sussurrò e avanzò verso di me.
All'improvviso, avvenne.
Il dolore dietro la nuca, la vista si offuscò di colpo, le gambe divennero incontrollabili.
Il panico.
Chiusi e aprii gli occhi mille volte, ma la cosa non sembrava migliorare.
Respirai profondamente e barcollai in avanti. Harry mi afferrò per le braccia e mi aiutò a mantenere una posizione stabile.
«Emily, ehi, mi senti? Andiamo, ti porto in ospedale.»

Scossi la testa. «No, non c'è bisogno. Tra poco passerà tutto, sta tranquillo.»

«Non c'è bisogno? Emily sei più pallida di me e mia sorella messi insieme, insisto, andiamo in ospedale.» fece qualche passo indietro e lo seguii, ma non avevo intenzione di andare in ospedale per un emicrania che mi stava ormai torturando da mesi.

«Tra poco mi passa.» alzai la voce e sollevai lo guardo per guardarlo in faccia. Riuscivo a vedere i suoi occhi, le pupille dilatate per colpa dalla poca luce presente in quella strada. La fronte corrugata, confusa. Le labbra socchiuse e rosee per il freddo.
Mi feci scappare un sorriso e un sospiro di sollievo.

Harry corrugò ancor di più la fronte. «Perché sorridi?»

«Te l'avevo detto che sarebbe passato tutto.»

***

Quattro del mattino.
Non ero riuscita a prendere sonno per tutta la notte ed era da tanto che non succedeva.
Ero in bagno a contemplare la mia faccia ancora pallida e stremata per il breve momento di panico che avevo passato nelle ore precedenti.
Sfiorai la nuca con il palmo della mano, ma non sentii dolore. Non avevo mai sofferto di emicrania, ma oltre questo, non sapevo cosa potesse aver scatenato quei sintomi.
Harry era a letto già da un po', lo sentivo balbettare nel sonno, diceva cosa senza senso, ma ci avrei sicuramente fatto l'abitudine.
Simon era andato via dopo averci accompagnati a casa, anche lui aveva una famiglia di cui oppuparsi, ma trovavo strano il fatto che Harry gli avesse lasciato comunque una camera.
Afferrai la foto dal comodino accanto al lavandino e la guardai. Felicità, sguardi emozionati, luci che facevano sembrare il tutto ancor più vivace. Ma anche nostalgia. Quella foto faceva rivivere in me momenti orribili e non ne andavo fiera.
Di solito tenevo quella fotografia nascosta nel mio comodino; sapevo che Harry non avrebbe mai frugato nelle mie cose.
Quella sera avevo bisogno di guardarla, non lo faceva da un po'... guardare tutti i dettagli, uno per uno, anche se li conoscevo a memoria.
Sospirai, mi guardai per l'ultima volta allo specchio. Posizionai la fotografia nell'armadietto dove tenevo i trucchi e lo chiusi. Harry aveva specificato tempo prima che quell'armadietto era di mia proprietà, quindi, un buon nascondiglio per una fotografia. Uscii dal bagno e tornai a letto, con la speranza di riuscire a prendere sonno.

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