17.

Corsi giù per le scale e raggiunsi il salone. Erano appena le nove del mattino e stavo già facendo tardi per andare a casa di Loretta.
«Dove vai così di corsa?» mi domandò Harry dalla cucina. Dal modo in cui lo disse, intuii che stava mangiando.

Puntai lo sguardo su di lui e vidi che stava indossando di nuovo quel pigiama orrendo. «Devo raggiungere Loretta tra dieci minuti.» poi sorrisi e lo indicai. «Indossi di nuovo quel pigiama orribile.»

Deglutì il boccone e mi guardò storto. «Vuoi smetterla di prendermi in giro? È un pigiama e se qualche ragazza sexy dovesse togliermelo di dosso, non credo che darà molta importanza ai quadratini viola e azzurri che ci sono sopra.»

«Tieni.» e gli lanciai contro una maglietta e dei pantaloni. Questi lo colpirono in pieno petto, ma Harry, insieme a un ghigno soffocato, riuscì comunque ad afferrarli.

«Vuoi che mi spogli davanti a te?» mi domandò cercando di mantenere un'espressione seria. Ma il tentativo fallì miseramente.
Quella domanda mi prese alla sprovvista e dentro di me speravo che le mie guance non fossero diventate rosse. «Oppure è un regalo di compleanno molto anticipato, visto che al mio compleanno mancano ancora tre mesi?»

Restai seria. «È un nuovo pigiama. Non è di gucci, ma è stato cucito personalmente dalle mie mani.»

Harry aggrottò la fronte e scutò attentamente il pigiama che aveva in mano. «Mi hai cucito un pigiama...» assottigliò le labbra. «Emily, ogni giorno mi stupisco sempre di più delle tue abi... ma qui c'è cucito il mio nome!» gridò. «Hai cucito il mio nome qui sopra, non posso crederci.»
Da quando lavoravo per lui non l'avevo mai visto così felice.

Incrociai le braccia. «Grazie Emily per essere stata così gentile...» imitai la sua voce. «Di niente Harry, è stato davvero un piacere cucirti un pigiama che una ragazza sexy potrà toglierti di dosso senza fare tante domande.»
Presi la borsa dal tavolo e mi diressi verso la porta, sentendo Harry ridacchiare alle mie spalle. Stavo facendo tardi, me lo sentivo. Sapevo che quando avrei raggiunto casa sua, Loretta mi avrebbe fatto milioni di domande sul mio ritardo.

«Ehi, dove credi di andare?» mi chiese Harry e subito dopo sentii i suoi passi avvicinarsi.

Lo guardai. «Da Loretta, te l'ho detto. Dove altro dovrei andare?»

Lui si voltò e indicò un piatto che era sul tavolo. Lo guardai attentamente e mi resi conto che sul quel piatto c'erano delle frittelle. Gustose e fumanti frittelle.
«Non hai mangiato niente.»

«Prenderò qualcosa da Starbucks...»

«Io ti preparo le frittelle per colazione e tu mi dici che prenderai qualcosa da Starbucks?» alzò la voce, ma sapevo che nel suo tono c'era un pizzico di divertimento. «Emily, il mio narcisismo ne risente.» sussurrò prima di posarsi una mano sul cuore e fare gli occhi languidi.

«E va bene.» borbottai. Avanzai, superai Harry e raggiunsi il piatto. Con le mani spezzai un piccolo pezzo di frittella e la portai in bocca. Mi voltai e lo guardai mentre stavo ancora masticando. «Il tuo narcisismo ora è più rilassato?»

«Sì, ora va meglio.» ridacchiò e incrociò le braccia. «Comunque, ancora non hai risposto alla mia domanda... allora? Ti piace qualcuno?»

La frittella che stavo masticando mi andò quasi di traverso. Quella domanda me l'aveva posta una settimana prima. «A me non piace nessuno.»

«Allora perché mi hai posto quella domanda?»

Restai immobile. Non sapevo cosa dire. A me non piaceva nessuno. «V-volevo solo sapere cosa si provasse e... e poi a te perché interessa tanto saperlo?»
Dopo i discorsi di Loretta e Neil non potevo dirgli che glie lo avevo chiesto solo per capire se ero innamorata di lui. E comunque, se glie l'avessi detto sarebbe successo un disastro.

Deglutì, lo vedevo nervoso. «Potrei chiedere lo stesso delle tue mani. Ti stanno sudando le mani Emily, e ti ricordo che fuori fanno appena cinque gradi.»
Era la verità, quel giorno faceva molto freddo ed io ne ero felice; avrei potuto indossare i miei maglioni preferiti e mi sentivo quasi orgogliosa.

Mi guardai le mani ed Harry aveva ragione, le mie mani erano sudate e appiccicose. Feci una smorfia e guardai Harry. «Tieniti per te tutte le domande che hai da fare. Io devo andare.»

«Dimmi almeno il suo nome!» continuò è mi seguì verso la porta. «Danny, John, Christopher, Howard, James...»

Alzai gli occhi al cielo. «Smettila!»

«Paul, Larry, Bob, Mike, Alex, Andy...»

«Harry!» urlai prima di dargli una pacca sulla spalla. «Smettila, a me non piace nessuno. E poi... sai che non sarei il tipo da relazione.»

«Quindi nessuno? Proprio nessuno?»
Sembrava quasi deluso.

«Nessuno.» confermai ed Harry annuì.
All'improvviso sentii una fitta lancinante dietro la testa. Quel dolore non ricompariva da mesi. Posai la mano sulla parte dolorante e strizzai gli occhi.
Mi dissi che avrei dovuto preoccuparmi molto, sapevo che il dolore sarebbe passato molto velocemente, ma avevo la sensazione che Harry non avrebbe mantenuto la calma.

«Soffri di emicrania per caso?»

Scossi la testa. «No, non ne ho mai sofferto. Non preoccuparti, passerà presto.» sforzai un sorriso e afferrai la maniglia della porta. «Devo andare e grazie per la colazione.»

***

Una cosa che Loretta faceva sempre prima del mio arrivo era aprire la porta di casa sua. Non la trovavo una cosa molto vantaggiosa, visto che per arrivare a casa sua impiegavo più di dieci minuti. E in quel tempo qualcuno poteva entrare in casa sua. Ma a lei stava bene così e di certo non sarei stata io a farle cambiare idea. Aprii completamente la porta e davanti a me vidi Frenky, il gatto di Loretta. Era dolcissimo e amichevole con tutti, ma a volte era molto scontroso, soprattutto se qualcuno iniziava a urlare. Gli accarezzai la testa un paio di volte, chiusi la porta alle mie spalle e proseguii per la mia strada.
«Loretta son...» non ebbi il tempo di finire la frase che degli urli mi presero completamente alla sprovvista.

«Io non ce la faccio più, questa storia deve finire!» sentii uscire dalla bocca della mia amica. Gli urli provenivano dalla cucina, così mi avvicinai.
Sporsi la testa e vidi che Loretta stava gesticolando. Mi dava le spalle, quindi non riuscivo a vedere che espressione avesse in quel momento. Davanti a lei, con mia grande sorpresa, c'era Fred.

«Ti ho mandato mazzi di rose per mesi e adesso mi dici che dovremmo finirla qui? Mi stai prendendo in giro?»
E in quel momento capii tutto. Fred era l'ammiratore segreto di Loretta e lei lo sapeva. Non mi avevano detto nulla della loro conoscenza. Avevano una relazione ed io non ne sapevo niente.

«Esattamente, voglio finirla qui.» alzò la voce Loretta. «Vuoi che ti illustri le mie parole con un disegnino? Forse capirai una volta per tutte che ti sto lasciando.»
Ero ancor più confusa.

«Non lo faresti mai.» sussurrò Fred. Lo vedevo afflitto, come se qualcuno lo avesse pugnalato al cuore.

Lei incrociò le braccia. «Lo sto facendo in questo preciso istante.»
Feci qualche passo avanti per avere una visuale migliore. Sapevo che Fred prima o poi mi avrebbe vista, ma non mi importava.

Fred scosse la testa più volte. «Tu non puoi farlo. Non puoi lasciarmi, così, senza fare finta che non ti importi niente di me e di quello provo. Io sono venuto qui per scoprire che tu vuoi lasciarmi? Prova almeno ad immaginare...» smise di parlare e mi resi conto che stava guardando nella mia direzione. Non sapevo cosa dire, lo guardai negli occhi e cercai di trovare una risposta a quello che avevo appena sentito. «Emily...»

«Adesso cosa c'entra Emily?» gridò Loretta.

«Emily.» ripeté Fred prima di indicarmi.

La mia amica si voltò e mi vide, il suo volto diventò pallido. «Cristo.»
Il suo respiro era accelerato, visto il movimento celere del suo petto. Non l'avevo mai vista così agitata da quando la conoscevo.
La vedevo diversa, il suo corpo, la sua espressione ma forse era solo una mia impressione.

Fred e Loretta si guardarono, ma fu lui a prendere parola: «Ti dobbiamo delle spiegazioni.»

***

«Quindi, se ho capito bene, vi conoscevate già.» ricapitolai, prima di sedermi sul divano.
In quei dieci minuti, Loretta e Fred mi avevano spiegato più o meno come erano andate le cose tra loro in quei mesi.

Entrambi annuirono. «E perché non me l'avete detto?»

«Avevamo paura di rovinare la nostra amicizia e... non volevamo che ti sentissi sola.» intervenì Fred.
Quella frase mi sembrò del tutto fuoriluogo, non mi sarei sentita sola... sì, forse sarei stata il terzo incomodo della situazione, ma non mi sarei di certo sentita sola.

«Come avrei potuto sentirmi sola?»

«Io volevo dirtelo.» intervenne Loretta e Fred la fulminò con lo sguardo.

«Non dire stronzate, non glie l'avresti mai detto.» continuò lui. «Avevi paura anche tu che si arrabbiasse con noi per averglielo nascosto.»
La situazione stava degenerando.

Loretta iniziò a ridere. «Tu non dire stronzate! Sapevo che prima o poi lo avrebbe scoperto e lo sapevi anche tu Fred!»

«Ok, calmatevi, tutti e due!» alzai la voce e i loro occhi puntarono subito su di me. «Smettetela di comportarvi da ragazzini e datemi delle spiegazioni. Adesso sono arrabbiata, anzi, confusa e vorrei che voi mi spiegaste come stanno adesso le cose.»

«Be', è iniziato tutto alla fine di Luglio. Ci siamo conosciuti nel bar dove lavoro...» spiegò il mio amico. «Abbiamo parlato e anche scoperto che avevamo un'amica in comune, tu. Ci siamo frequentati e il resto l'hai scoperto pochi minuti fa.» concluse e guardò Loretta. «E stavamo litigando, perché lei vuole lasciarmi.»

«Oh, finalmente l'hai capito.» esultò lei.
Non capivo perché volesse lasciarlo. Dopo un po' di tempo mi sarei abituata alla loro relazione, ne ero convinta.

Fred stava per ribattere ma arrestai il suo intento con un gesto della mano. «Perché vuoi lasciarlo?» chiesi a Loretta.

Lei si irrigidì. «Io...»

«Non gli hai detto di Charlie, vero?»

Fred guardò Loretta e urlò: «Chi cazzo è Charlie?»

Loretta si alzò e raggiunse la cucina. «Non è nessuno. Lascia stare.»

Lui la seguì. «Chi è?» alzò la voce. «Loretta, dimmi chi è Charlie!»
L'avevo combinata grossa. Anzi, avevo combinato un disastro.

«Fred...»

«Dimmelo!»
Restai impietrita. Avevo combinato un bel casino.
«Ci sei andata a letto?» domandò poi, e Loretta abbassò lo sguardo. Io sapevo già quello che era successo, ma dalla faccia che Fred ebbe dopo la reazione di Loretta, sapevo che la situazione sarebbe degenerata ancora di più. «Non posso crederci...»

«Ci stavamo ancora frequentando e non sapevo come sarebbero andate le cose tra noi.»

«Sai perché sono venuto qui oggi, quando mi hai chiamato?» Loretta scosse la testa. «Be' io sono venuto qui, oltre che per ascoltarti... sono venuto per dirti che ti amo.» ridacchiò. «Però poi, così, per puro caso, ma anche grazie ad Emily, ho scoperto che ti sei scopata un tizio che neanche conoscevi. Difendendoti poi, con la scusa peggiore del mondo.» gli occhi di Loretta si riempirono di lacrime e mi resi conto che anche Fred aveva gli occhi lucidi.
Quel disastro lo avevo combinato io e ne ero terribilmente mortificata. Continuavo a guardarli mentre litigavano e non riuscivo a dire niente. Ma se avessi detto qualcosa Loretta mi avrebbe uccisa.

«Fred ti prego.»

«No... non dire niente.» poi se ne andò, così, senza dire altro e riuscivo a vedere la sofferenza negli occhi di Loretta. Quest'ultima si sedette e iniziò a piangere.

Mi alzai dal divano e mi avvicinai a lei. Ero mortificata. «Loretta io...»

Mi guardò. Era arrabbiata. «È stata tutta colpa tua.» gridò. «Come diavolo ti è venuto in mente di pronunciare il suo nome? Quello che è successo con Charlie è stato un errore, uno stupido errore. Potevo lasciarlo Emily, lasciarlo e farla finita con Fred!»

«Ma perché volevi lasciarlo?»

«Perché sono incinta e il bambino è di Charlie!» confessò mentre continuava a piangere.
Ecco perché la vedevo diversa.

«Sei incinta?»

«Sei stata tu ad aprire il discorso di Charlie, Emily!»

«E io che ne sapevo che fossi rimasta incinta? Sì, forse non avrei dovuto aprire bocca e darci fiato e io mi sento tremendamente in colpa per averlo fatto, devi credermi.» gesticolai. «Se mi avessi detto quello che ti stava accadendo, avrei potuto aiutarti Loretta, a-avremo potuto superarlo e lo avresti detto a Fred e anche se lui avesse avuto una brutta reazione, mi avresti avuta accanto!»

«Non te l'ho detto perché sapevo che avresti avuto questa reazione.» si lamentò. «Adesso vattene via...»
Era assurdo.

«Andarmene? Dici sul serio?»

«Sì, andartene. Ti costa tanto oltrepassare quella cazzo di porta?»

«Bene, me ne vado se è quello che vuoi, ma non sono io quella che si è scopata un tizio senza preservativo. Sai cosa odio di te? Il tuo comportamento: te ne freghi di quello che pensano gli altri, te ne freghi se le persone soffrono, te ne freghi di tutto e tutti. E non voglio stare qui a sgridarti come se fossi una ragazzina, quindi farò quello che mi hai chiesto, me ne andrò.» mi avviai verso la porta. «Goditi la gravidanza.»

***

Tornata a casa, mi ritrovai seduta in cucina a ripensare a tutto quello che Fred e Loretta mi avevano detto in mezz'ora. A Loretta che era incinta, a Fred che le diceva che l'amava... e mi veniva da prendermi a schiaffi per il modo in cui avevo trattato la mia amica, ma una parte di me continuava costantemente a credere che se lo fosse meritato.

Mi veniva da piangere, ma non potevo farlo.
«Vino rosso? Davvero stai bevendo vino rosso, Emily?» la voce di Harry interruppe i miei pensieri.

Lo guardai. Ero felice di vederlo, ma sapevo che avrebbe iniziato a fare domande. «Qualcuno dovrà pur berlo, no? Sta lì, nella vetrina senza fare niente. E in realtà... preferisco di gran lunga il vino alla birra.»

Lui si avvicinò e le mie mani iniziarono di nuovo a sudare. «Sei tornata presto, va tutto bene? È successo qualcosa con la tua amica?»
Il suo tono preoccupato mi rassicurò, ma solo per pochi istanti.

«Perché non dovrebbe? Va' alla grande.» ridacchiai. «Tutto perfettamente alla grande. E sai cos'è la cosa bella? Che io non capisco più niente. Non so cosa mi passi per la testa, è tutto confuso, buio... non ho mai avuto una giornata così brutta in vita mia e per la prima volta non so come sistemare le cose, perché il casino l'ho combinato io. Io so sempre sistemare tutto, sempre. Sono una di quelle persone che mantiene la calma in ogni tipo di situazione... ma oggi è diverso. Oggi è tutto maledettamente difficile e complicato e non so come uscirne fuori.»
Forse era tutto complicato perché la situazione era personale. E anche perché avevo creato io tutto quello scompiglio, quell'odio... mi sentivo in colpa, tremendamente.

«Prima di tutto, questo non berlo più. C'è un motivo se ho lasciato quella bottiglia nella vetrina fino ad oggi.» prese il bicchiere dalla mia mano e lo appoggiò sul bancone. Poi mi prese per mano e mi guardò negli occhi. «Credo che l'alcol che sta girando in questo momento nel tuo corpo sia arrivato al limite. Emily, può capitare di non riuscire a trovare una soluzione.»
I suoi occhi erano così belli... il verde era più brillante del solito e questo me li fece adorare ancora di più.

Scossi la testa. «No Harry tu non capisci, io riesco sempre a sistemare tutto...»
Abbassai lo sguardo e guardai le nostre mani. Harry le stringeva forte, come se cercasse di rassicurarmi in qualche modo.

«Emily, guardami.» continuai a mantenere lo sguardo altrove. «Guardami Emily.»
Adoravo la sua voce. L'avevo adorata per ben cinque anni e continuavo ad adorarla, anche se da sobria non l'avrei mai ammesso.

Obbedii e lo guardai. «Tu mi rendi emotiva e a me non piace esserlo, Harry.»
Mi rendeva strana, troppo fragile. Io non potevo essere fragile, me lo ripeteva sempre mio padre. Non dovevo piangere, piangere per lui era da deboli. Non dovevo mai piangere, dovevo reagire.
L'unica cosa buona che mio padre aveva fatto ero farmi entrare in testa di non piangere, mai.

Harry aggrottò la fronte. «Io ti rendo emotiva?»
Era adorabile il modo in cui le ruge d'espressione si formavano sulla sua fronte.

Scesi dalla sedia e diedi le spalle ad Harry. «Strano eh...»
Era passata appena una settimana da quando Harry aveva lasciato Carlyn e il nostro rapporto era migliorato ancor di più.
Ma forse il vino aveva fatto così effetto da farmi capire esattamente quello che stavo provando per lui... sentimenti che forse il giorno dopo avrei completamente dimenticato.

«Emily, piangere potrebbe farti bene.» lo sentii avvicinarsi. «Tutti piangono, anche quel rompipalle di Simon. Piangere non significa essere deboli. Piangere è uno sfogo, e potrebbe aiutarti a calmare tutte le sensazioni che senti in questo momento.»

«No, piangere non serve a niente. A me non piace piangere, piangere non serve a niente. Piangere mi rende debole e io non sono debole, non devo esserlo.» replicai. «Il pianto non rispecchia la mia personalità. Io non sono così. Questa non sono io.»

«O stai solo cercando di ignorare quello che sei veramente.»

«I-io non ignoro proprio niente.» puntai lo sguardo su di lui e qualcosa di strano si fece strada nel mio stomaco. «Quello che tu definisci sfogo è una cosa estranea per me. Per me piangere davanti a qualcuno sarebbe del tutto inusuale.» anche se avevo pianto davanti ad Harry mesi prima. Sospirai. «Non saremo mai d'accordo su questo e non so neanche se capisci quello che ti dico, visto che il vino mi ha dato alla testa.» incrociai le braccia e sospirai per la seconda volta.
Poi lo sguardo di Harry cambiò. Non sapevo come descriverlo. Sembrava agitato, ma non ne ero sicura. «Perché hai quella faccia?»

«Quale faccia?»

«Quella di uno che sta per dirmi che è morto qualcuno.» gli puntai il dito contro. «Styles, non sono ubriaca come credi, quindi sputa il rospo o ti andrà di traverso.»
Ripensai alla frase che avevo detto e mi resi conto che non aveva molto senso. Ma restai in silenzio ad aspettare che Harry parlasse.

«Emily, io...» con un gesto della mano lo invitai a continuare. «io tra dieci minuti ho un intervista, devo andare.»
Mi afferrò il viso con entrambe le mani e mi baciò sulla fronte. Quel gesto mi stupì. Non lo aveva mai fatto e per un attimo avevo creduto che fosse stato solo frutto della mia immaginazione.
Harry accennò un sorriso. «Tu vai a dormire, ne avrai bisogno.»

«Ma c'è ancora del vino nel bicchiere...»

«Credimi, è meglio che tu vada a dormire. Il doposbronza sarà molto peggiore.» raggiunse le scale. «Io torno presto.» uscì dalla porta e mi guardai intorno. La casa era vuota senza di lui.
Barcollando, riuscii con mia grande sorpresa a raggiungere la mia camera. Mi buttai sul letto con tutti i vestiti e le scarpe e crollai in un sonno profondo.

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