13.
Arrivata davanti casa di Harry, bussai alla porta tre volte. Quando la mia mano la toccò per l'ultima volta, si spalancò.
Il respiro accelerò.
Harry non avrebbe mai lasciato la porta aperta, sarebbe potuto entrare chiunque. Oppure, qualcuno era entrato davvero.
Di scatto entrai e chiusi la porta alle mie spalle. Tutto era perfettamente in ordine, non sembrava che qualcuno avesse rapinato la casa. Assottigliai le labbra e mi guardai ancora intorno, cercando di individuare la figura di Harry.
Ma niente.
«Buongiorno.» esclamò una voce, ma non era quella di Harry.
Mi voltai e vidi Simon che mi guardava. «Ciao Simon.» e accennai un sorriso.
Non ero molto felice di vederlo, visto il comportamento che aveva avuto nei giorni precedenti, ma cercai di non darlo a vedere.
«Per caso sai dove si trova Harry?» gli chiesi e lui storse il naso.
«Posso parlarti?»
Perché stava cercando di distogliere l'attenzione dalla mia domanda?
«Non hai risposto alla mia domanda.» gli feci notare prima di incontrare le braccia.
«Vuoi ascoltare quello che ho da dire o no?» alzò la voce. Io annuii e lui sospirò. Sembrava nervoso. «Ti starai chiedendo perché negli ultimi giorni, dal tuo arrivo qui, mi sto comportando in modo strano. Be', in realtà mi sto comportando in modo strano dalla prima volta che ti ho vista, ma non è questo il punto.» riprese fiato. «Solo... non voglio che Harry soffra di nuovo. Dopo la morte di Robin è sempre giù di morale e non voglio che soffra ancora, per colpa tua. Ecco perché mi sono informato sulla tua vita. Sono una guardia del corpo, mi viene naturale farlo. Voglio solo proteggerlo, lui si fida di me e voglio che lui sia felice.» si grattò la testa e guardò altrove. «Lo vedo distratto, perso nei suoi pensieri...»
«Vuoi che me ne vada?»
«Come, scusa?»
Lo guardai e alzai la voce: «Vuoi che me ne vada? Forse Harry si sentirà meglio o forse tu, ti sentirai meglio. Giusto Simon?»
Lui non rispose. E capii subito che la sua risposta sarebbe stata un "sì", netto e straziante. «Ok. Va bene.»
Mi voltai e posai la mano sulla porta.
«No. No, non andare.»
«Vuoi che me ne vada o no?» alzai il tono di voce.
«No, no non voglio che tu vada perché Harry ha bisogno della tua presenza.» lo guardai storto. «Non guardarmi in quel modo, è la verità. Tu puoi aiutarlo a distrarsi. La tua presenza, chiacchierare con te, lo aiuta a non pensare a tutto quello che gli è successo.»
«Io non voglio essere la sua baby-sitter, Simon.»
Si avviò verso la porta. «Non ho detto che dovrai diventare la sua baby-sitter, voglio solo che lui sia felice. Ormai tu lavori qui, con lui e credimi, lo rende felice averti tutti i giorni qui. Parlare con qualcuno gli farà bene. Parlare con te, gli farà bene, Emily.» e uscì di casa.
Sentii subito una strana confusione che circondava il mio corpo, poi ripensai che Simon non aveva risposto alla mia domanda. Gli avevo chiesto dove si trovasse Harry, ma lui aveva subito cambiato discorso.
Mi guardai intorno.
Controllai tutte le stanze presenti al piano superiore, ma niente, la casa sembrava deserta.
Poi mi diressi in garage e quando attraversai la soglia della porta, tutto lo spazio era occupato da macchine, moltissime macchine. Ognuna di esse era di un modello diverso e per un attimo ne desiderai una.
Scossi la testa e tornai nell'atrio. Da lì, avevo la visuale sul salone, ma nessuna traccia di Harry. Così mi diressi in cucina e appena oltrepassai la soglia, lo vidi: era seduto a terra con una bottiglia di vino in mano e molte altre lo circondavano completamente.
Lui mi guardò e sorrise. Le pupille erano parecchio dilatate, mi faceva quasi paura.
«Harry...»
Quest'ultimo continuò a guardarmi. «Sei arrivata finalmente, credevo non arrivassi più.» poi iniziò a ridacchiare. «Che c'è? Non hai mai visto una persona ubriaca?»
Accostò la bottiglia alle labbra e bevve un lungo sorso di vino. Sembrava vino rosso, ma non riuscivo a distinguere il colore visto che la bottiglia di vetro era di colore scuro.
Mi posizionai davanti a lui e posai le ginocchiai a terra. «Da quanto tempo stai bevendo?» gli domandai prima di strappargli la bottiglia di vino dalla mano.
Lui mi guardò storto. «Ma che stai facendo? Perché mi hai strappato la bottiglia di mano? Sai quanti soldi mi è costata quella roba?» alzò la voce, poi mi squadrò da capo a piedi. «E la posizione che hai assunto non mi piace per niente.»
«Rispondimi, da quanto è che bevi?»
Harry alzò gli occhi al cielo. «Da quando sono tornato a casa.» tornò a guardarmi. «Tutti bevono quando sono tristi. Sì, sono triste e demoralizzato per quello che è successo ieri, cara Emily.» iniziò a gesticolare. «Sai qual'è la cosa bella? Che avrei lasciato quella ragazza lì, per strada, se tu non fossi stata lì con me... ed io mi sento uno stupido, ma ero terrorizzato e non sapevo che fare...»
«Io non sarò sempre lì con te, lo sai vero? Non potrò sempre prendere in mano la situazione, Harry.»
«Sono una persona orribile.» sussurrò, ma subito dopo cominciò ad urlare quella frase a squarciagola, come se ripeterlo mille volte, lo rendesse ancor più reale.
Gli posai le mani sulle spalle. «Tu sei la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto.»
Lui accennò un sorriso. «Lo dici solo perché sei stata mia fan. Posso capirlo. Tutti mi dicono che sono una persona straordinaria. Credo proprio che quella parola non riesca a descrivermi pienamente, anzi, sei andata fuoristrada. L'unico aggettivo capace di descrivermi è "orribile". Tutti mi adorano per la mia voce e per altre cose, ma non per quello che sono verente...»
«No, non è vero. Non sei e non sarai mai una persona orribile.»
«Perché ne sei così convinta?» si lamentò.
«Perché dopo anni, ho avuto la possibilità di conoscerti di persona e potrei dimostrare a tutto il modo quello che sei veramente. Non riusciresti a fare del male a una mosca, neanche se lo volessi. Harry tu non sei orribile. E forse hai ragione, alcuni ti adorano per la tua voce, ma sono sicura che altri ti adorano per quello che sei veramente. Io ero una di quelle persone e non mi sono mai pentita di averti adorato per quello che sei.» accennai un piccolo sorriso per rassicurarlo.
Anche lui accennò un sorriso. «T-ti andrebbe di abbracciarmi?» dopo quella domanda, alzai le sopracciglia ed Harry riprese subito a parlare. «So di essere ubriaco e so anche che il mio odore non è dei migliori in circolazione... ma potresti farlo lo stesso? Ti prego.»
Allargai le braccia. «Dai, vieni qui.» allargò le braccia anche lui, mi avvicinai e lo abbracciai.
Harry posò la fornte sulla mia spalla e sospirò profondamente. Non riuscii a capire per quale motivo, ma mentre stringevo il suo corpo tra le mie braccia, sorrisi.
«Non farlo mai più, hai capito bene?»
«Sì, ma non ti prometto niente. Sono ubriaco, e tra poche ore avrò già dimenticato tutto quello che ci siamo detti.»
***
Posai i tost sul piatto e poggiai questo sul tavolo. Erano passate più o meno tre ore e mezzo da quando avevo accompagnato Harry nella sua stanza. Gli avevo preparato dei tost nel caso si fosse svegliato e avesse avuto fame, ma con il doposbronza, sicuramente avrebbe passato le ore successive a vomitare tutto il vino che aveva bevuto.
Picchiettai il dito sul tavolo e sospirai. Non me ne sarei andata. Anche se fossi uscita da quella porta, il giorno dopo sarei tornata a testa alta, anche se Simon me l'avesse impedito. Non avrei fatto soffrire Harry in nessun modo e lui lo sapeva meglio di chiunque altro.
«Sei nervosa?» domandò una voce alle mie spalle. Lentamente mi voltai e vidi Harry appoggiato con la spalla allo stipite della porta. Sembrava molto più lucido e riusciva a reggersi inpiedi da solo, era già un grande passo avanti. «Picchiettavi il dito contro il tavolo, e la tua espressione in questo preciso momento sembra un misto fra "cosa ci faccio ancora qui?" e "harry fa davvero schifo in pigiama".»
Ridacchiai. «No, non sono affatto nervosa. Stavo solo... pensando, ecco.»
Non mi ero resa conto che stava indossando il pigiama. Ma subito dopo pensai che con quel coso addosso risultasse ridicolo.
Quel pigiama era ridicolo.
«A scegliere il colore dei completi te la cavi, anche se devo sempre aggiustare io i dettagli...» puntualizzai e lui alzò le sopracciglia. Sembrava sorpreso. «Ma riguardo la scelta dei pigiami sei davvero negato.»
Accennò un sorriso. «Sono bravo a cantare, non a fare lo stilista.»
Era incredibile come si vantasse delle proprie capacità. Tre ore prima non l'avrebbe mai fatto.
Si sedette e prese uno dei tost che avevo preparato tra le mani. Di colpo diventò serio. «Sicuramente avrai incontrato Simon, prima di trovare me in cucina. L'ho pregato di non dirti nulla della mia situazione e vista la tua reazione quando mi hai trovato, non l'ha fatto.» accennò un sorriso. «Almeno questo me lo ricordo.» poi mi guardò. «Comunque, ieri ero agitato, terrorizzato e non sapevo che fare e se tu non fossi stata lì con me...»
«Non potrò essere sempre presente.»
Alzò le spalle. «Volevo solo ringraziarti.»
Iniziai ad allontanarmi. «Non ce n'è bisogno.»
Raggiunsi il salone e mi sedetti sul divano. Non c'era bisogno di ringraziarmi, avevo fatto ciò che dovevo e l'avevo fatto per lui. Lo avrebbe fatto chiunque, almeno lo credevo.
Harry mi raggiunse, con il toast ancora tra le mani. «Mi hai salvato la carriera e non mi permetti neanche di ringraziarti?»
«Sai almeno cosa pensa Simon di me e di te?» domandai poi. Harry storse il naso, poi scosse la testa e si sedette davanti a me. Avevo quasi promesso a Simon di non dire niente di quello che lui mi aveva detto. Ma volevo dirglielo. «Non fraintendermi, lui vuole solo proteggerti, ma crede che io possa farti soffrire di nuovo.»
Harry scoppiò a ridere. «Soffrire? Credo che quell'uomo soffra di una sorta di menopausa maschile.»
Incrociai le braccia. «Sono seria Harry.»
«Anch'io lo sono, Emily.» disse, trattenendo una risata. «Ok, forse ho ancora del vino rosso in circolo, ma come fa lui a dire che riuscirai a farmi soffrire? In quale modo? E perché dovresti farlo?»
«Non ne ho idea.»
«M-ma sono certo che non lo faresti mai.» balbettò e in quel momento mi resi conto che il suo tono di voce era cambiato.
Era più dolce, sincero.
«Perché ne sei così sicuro? Potrei farti soffrire da un momento all'altro.»
«E come?»
«Troverei il modo.» risposi. «Harry le persone...»
«Sì, lo so, le persone cambiano.» continuò la frase al posto mio. «Alcune in peggio e alcune in meglio. Tutti cambiano e lo sappiamo entrambi.»
Io ero cambiata in meglio o in peggio?
Mi sentivo a disagio. Molto a disagio. Anche perché, Harry continuava a fissarmi.
Abbassai lo sguardo e all'improvviso mi venne da piangere. Non sapevo per quale motivo, ma cercai in tutti i modi di trattenere le lacrime.
Guardai Harry e vidi il suo sguardo farsi sempre più confuso. «Non hai detto nulla di sbagliato. Non so neanch'io perché mi viene da piangere. Io non piango mai. Non sono una tipa che piange e tu non dovresti neanche vedermi in questo stato.» ripresi fiato. «Oh, una cosa che non ti ho detto: a volte, potrei iniziare a parlare molto velocemente. Mi capita spesso, è normale. Ma non farci caso.» sentii una lacrima scivolare sulla mia guancia. «Lo so, sto diventando ridicola ma...» poi Harry mi abbracciò. Così, senza neanche avvisare. Quel gesto mi fece rimanere allibita, ma allo stesso tempo permise a tutte le mie lacrime di uscire finalmente allo scoperto.
Lui mi strinse forte, mentre io stavo ancora decidendo se mantenere quella posizione o ricambiare l'abbraccio. Ero immobile, con le braccia ferme a mezz'aria, mentre continuavo silenziosamente a piangere.
Decisi di ricambiare l'abbraccio.
«Puoi fidarti di me.» furono le uniche parole che uscirono dalla sua bocca e le uniche che riuscii a distinguere, oltre ai miei singhiozzi.
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