11.

Arrivata a pochi metri dalla casa di Harry, vidi Simon. Era davanti al cancelletto: aveva le braccia incrociate e un espressione molto seria. Lo raggiunsi e notai che era vestito meglio del solito. «Signorina Morel, Harry la sta aspettando.» poi mi guardò e mi squadrò dalla testa ai piedi, come se con quello sguardo potesse ricavarne qualcosa.

Mi posizionai davanti a lui. «Perché mi hai guardata in quel modo?»
Ma che gli prendeva? Solo poche settimane prima mi aveva salvata da un pazzo e adesso mi guardava come se fossi venuta da nettuno con una nave spaziale.

«Signorina Morel, Harry...»

«Harry può aspettare.» lo interruppi, alzando la voce. «Ora, rispondimi. E non azzardarti a chiamarmi un'altra volta Signorina Morel.»

Mi guardò. «Vuoi che ti dica la verità?» domandò ed io annuii senza pensarci due volte. «Bene, sai cosa penso? Che non capisco né te né Harry. Prima lui crede di averti già vista, tu sbraiti e te ne vai dicendo che non vuoi più vederci.» ridacchiò. «E poi, questa mattina Harry mi dice che ti ha offerto un lavoro e che tu hai accettato e che dovrà farti vedere l'intera casa.»

«Sei arrabbiato perché Harry mi ha offerto un lavoro?»

Sospirò e si allontanò, dandomi le spalle. «Emily io...»

«A me non mi importa della tua opinione ok? Ho accettato questo lavoro, perché l'unica cosa che mi riesce meglio è disegnare ed è quello che farò quando verrò qui per lavorare. Niente di più. Non me ne importa niente delle tue paranoie da guardia del corpo, perché anch'io ho bisogno di lavoro. Come te e come tutta la gente di questo mondo. E non credo di rappresentare una minaccia per Harry. Esistono persone molto più pericolose della sottoscritta.»
Era la verità. Lavorare per Harry sarebbe stata l'opportunità più unica della mia vita. E se questo significava stare accanto a lui anche sei ore al giorno, non avrei obiettato.
Lo avrei conosciuto meglio ed era quello che volevo fare da anni, da molti anni.

Simon si voltò. Il suo sguardo era cambiato. Sembrava comprensivo. «So cosa ti ha detto Harry, ieri, mentre il tuo capo non c'era. So che ti ha spiegato delle cose e spero che tu non sia ancora arrabbiata per quello che ho fatto.»

«No, non sono arrabbiata. Ma sappi che non ti perdonerò mai il fatto di aver scavato nel mio passato.»

«Cara Emily, me ne farò una ragione.» poi sporse la testa in avanti e guardò la porta. «Ora dobbiamo andare o ad Harry baleberà in testa l'idea di licenziermi.»

«Non ti capirò mai.» borbottai e lo seguii attraverso il vialetto e quando raggiungemmo la porta d'ingresso, Harry era lì che ci aspettava ed era impeccabile.

«Ben tornata nella mia umile dimora, Emily.» sorrise lui è con un cenno della mano mi invitò ad entrare.
Sapevo solo due cose di quella casa: era enorme e aveva un giardino sul retro.
«Sarò molto coinciso. Quindi inizio col dirti che alla tua destra troverai la cucina e il salone, che hai già visto. Alla tua sinistra, invece c'è il bagno. Alle mie spalle, ci sono le scale che portano al piano di sopra.» si avvicinò al primo gradino e iniziò a salire. «Oh, c'è una porta accanto al bagno. Porta al garage, ma a quello penseremo dopo. Seguimi, ti faccio vedere la tua stanza.»

Spalancai gli occhi. «La mia stanza?» domandai.

«Nel caso venisse l'apocalisse.» sussurrò Simon, ridacchiando.

«Non sei divertente.» gli rispose Harry. «Ti ho preparato una stanza perché mi sembrava giusto. Lavorerai qui da me, sempre se vorrai, e se un giorno dovresti avere problemi di qualsiasi genere, sappi che qui c'è una stanza tutta tua.»

La domanda mi sorse spontanea. «Anche Simon ha una stanza?» salii l'ultimo gradino è raggiunsi Harry davanti una delle tante porta che avevo notato in quel corridoio.
Erano molte. Quattro, forse cinque.

Harry annuì. «Sì, anche lui ce l'ha. Ed è proprio accanto alla tua.» conunicò.
Sentii Simon borbottare qualcosa. Non gli diedi molto peso e invitai Harry ad aprire la porta. Quando la spalancò i miei occhi si illumonarono e notai Harry sorridere.
La stanza era stata verniciata con colori chiari e anche tutti i mobili e le decorazioni erano rimaste su quel tema. Era grande, spaziosa e il letto era grandissimo.
Poi notai che sul mobile in fondo alla stanza, c'erano delle foto. Mi avvicinai e le guardai attentamente, una per una.
In tutte le foto, c'era Harry. Le foto erano messe in ordine, come per raccontare una storia. Nell'ultima foto c'era anche Robin, il patrigno di Harry, che abbracciava quest'ultimo. Sembravano molto uniti.
Accennai un sorriso, poi mi voltai verso Harry. «D-di solito quando invito mia madre, lei dorme qui. Ma se le foto ti danno fastidio posso anche toglierle.»

«No non farlo.» sospirai. «Avevo realizzato una cosa molto simile in camera mia, quando vivevo a Parigi. Avevo messo tutte le mie foto in ordine cronologico e...» poi ripensai a quello che era successo. Da piccola mi piaceva sistemare le foto in ordine perfettamente cronologico, ma ovviamente mio padre in un modo o nell'altro le faceva sempre sparire. Non amava le foto di famiglia e avrei potuto giurare che neanche adesso gli sarebbero piaciute.

Harry fece qualche passo verso di me. «Tutto ok?»

Annuii e sfoggiai il sorriso più falso della mia vita. «Sì, tutto ok.» poi cambiai discorso. «Quindi, quello sarà il mio letto?»

«Sì, spero sia abbastanza comodo.»

Mi diressi verso il letto e mi sedetti sopra le coperte. Era comodissimo. Più comodo del letto che c'era nella mia cameretta a Parigi.
Harry distolse lo sguardo da me e si concentrò a guardare l'ultima fotografia. Mentre la guardava, sembrava triste. Una cosa in comune ce l'avevamo.
Per un secondo la mano iniziò a tremargli, ma riuscì subito a stoppare quel tremolio chiudendo la mano in un pugno.

Mi alzai dal letto e mi avvicinai a lui. «Sai... io... io ero tua fan.»

Lui si voltò. «Veramente?» domandò ed io annuii. «Perché "eri"?»

Quella domanda mi fece accapponare la pelle, ma cercai lo stesso di rispondere chiaramente, senza che il passato mi offuscasse la mente. «Mi sono trasferita qui a Londra quando avevo diciotto anni. E con l'inizio del college, con lo studio, poi con il lavoro a tempo pieno... le persone cambiamo. Cambia il carattere, lo stile di vita, le emozioni, tutto può cambiare.»
Non avevo completamente risposto alla domanda, ma speravo comunque di averlo convinto.

Sospirò profondamente. «Sì, le persone cambiano.»

«Quella donazione che hai fatto ai ragazzi malati di cancro è stato un gesto davvero importante...»

«Avevo una buona motivazione.» disse, per poi guardare la foto Robin. «Il cancro l'ha portato via in pochissimo tempo, non posso permettere che questo accada a bambini e ragazzi. Non se lo meritano, le loro famiglie non lo meritano. Nessuno lo merita.» poi mi guardò. «Sono stato accanto a lui fino all'ultima chemio e non mi pento di averlo fatto. Prima di ansarsene mi disse di seguire sempre il mio cuore, come lui aveva fatto quando incontrò mia madre, e che avrei trovato la persona giusta prima o poi.» sorrise. «Sono passati tre anni e aspetto ancora che quella persona riesca a farsi spazio nella mia vita.»

«Forse quella persona è più vicina di quanto pensi.» intervenì Simon ed Harry mi guardò. «E non mi riferisco ad Emily ma a Carlyn. State insieme da quanto? Un anno? Perché non credi che sia la persona giusta?»
Infatti lui è Carlyn sembravano molto uniti alla festa di beneficenza. O forse, era quello che volevano far credere a tutti.

«Sento che non è quella giusta. Tutto qui.» rispose Harry e il tuo tono di voce sembrava alterato.

«Ma non hai coraggio per mollarla.» continuò l'uomo.

«Simon!» gridò Harry. Poi si accorse di aver alzato troppo la voce. «Non siamo qui per parlare di me.» poi mi guardò. «P-puoi lavorare qui. Se hai bisogno, sono di sotto.» accennò un sorriso ed uscì di corsa dalla stanza. Simon lo seguì ed io restai sola, in quella stanza senza sapere cosa fare.
Posai la cartellina sulla scrivania che avevo accanto e presi dei fogli e una bozza del primo vestito che gli avevo disegnato, che avevo preparato la sera prima.
Mi sedetti ed incominciai a disegnare altre bozze. Non sapevo ancora nulla sul tour, ma Harry era arrabbiato e non volevo disturbarlo oltre. Gli avrei chiesto più informazioni il giorno seguente.

***

Sentii bussare alla porta. Questa subito si aprii è vidi Harry entrare. «Non dovresti bussare, questa è casa tua. Sono io l'ospite.»

Lui sorrise ed era evidente che il suo umore era tornato alla normalità. «Be', fino a prova contraria questa sarà la tua camera e... e mi dispiace per prima. Non avrei dovuto urlare, solo che Simon a volte fa domande che non dovrebbe neanche pensare.»

«Va tutto bene.» ricambiai il sorriso.
Dopo pochi minuti di silenzio, presi di nuovo parola: «Posso farti una domanda?»

«Certo.»

«Quanti concerti saranno in tutto?» gli chiesi, mentre continuavo a girare la matita tra le dita. Era quasi rilassante.

«Be', è difficile dirlo ora, ma sicuramente più di venti. E forse dovrò aggiungere anche altre date.» Harry notò il mio sguardo preoccupato. «Oh, tranquilla. Ho già stilato una lista, tu dovrai solo disegnare i completi. Tutte le cose da aggiungere sono scritte sulla lista. Diciamo che, ho voluto alleggerirti un po' il lavoro.»

«Ho già preparato cinque bozze, quindi, dovrò darmi da fare.»

«Ascolta, ieri mi hai detto cosa ci avresti guadagnato oltre a prendere lo stipendio...» io annuii. «Be', ti va di fermarti a cena?»

Rimasi allibita da quella domanda. Non sapevo cosa rispondere. Stavo lavorando per lui da solo due ore e lui mi stava invitando a cena. «Ehm... io...»

«Puoi anche dirmi di no, non sei obbligata.»
Lui sembrava tranquillo, l'unica imbarazzata in quella stanza ero io.

«Non saprei, cioè, dove mi porterai? E cosa mangeremo?»

«Cucinerò io, mi inventerò qualcosa.» fece qualche passo e si sedette sul letto. Non era molto lontano da me, ma la sua vicinanza mi metteva comunque a disagio. «Me la cavo in cucina.»
Bene, perché io non me la cavavo per niente.

«Harry!» sentimmo urlare dalle scale. Dei passi si avvicinarono alla stanza e la porta si aprì di scatto. Simon entrò di corsa, aveva il fiatone e tra le mani teneva un giornale. «Quei bastardi l'hanno già scoperto.»
Non capivo cosa stesse succedendo. Cosa c'era scritto su quel giornale di così grave?
Harry afferrò il giornale con entrambe le mani e lo guardò con estrema attenzione. Sulla sua faccia riuscii a scorgere della preoccupazione, che fece agitare anche me. Dovevo scoprire cosa c'era scritto su quel giornale. Simon continuava a picchiettare il piede contro il pavimento, sembrava più agitato di Harry.

«Cosa c'è scritto?» domandai a quest'ultimo. Lui mi guardò, sospirò e mi passò il giornale.
Lo presi, poi mi resi conto che in prima pagina c'era una mia foto. Non sapevo di che strano colore fosse diventato il mio viso. Ero imbarazzata, impaurita e anche confusa. «Perché hanno creato un articolo su di me?»

«Hai parlato con Harry Styles, sei la sua stilista adesso, cosa avrebbero dovuto fare? Stringerti la mano e inginocchiarsi ai tuoi piedi?» ridacchiò Simon ed Harry lo fulminò con lo sguardo. «Ok, esco fuori. Qui dentro sta diventando tutto un casino.» e uscì dalla stanza senza dire altro.

Deglutii e guardai Harry. «Cos'altro diranno su di me?»

Alzò le spalle. «Potrebbero dire di tutto. Sanno che sto insieme a Carlyn e potrebbero inventare ogni cosa. Non sai mai cosa potrebbero scrivere sui giornali o sui social.» diventai ancor più agitata. «Ma ti abituerai. Io ci sono riuscito. Dopo un po' tutto ti sbrerà normale.» mi sorrise. Sapevo che ogni azione che avremmo fatto insieme sarebbe stata criticata. E sapevo anche di dover mettere a freno il mio istinto da ex fan. «So la sensazione che si prova vedendo una tua foto su un giornale o leggendo cose che non avresti mai fatto in vita tua, ci sono passato.»

Sospirai. «Come hai fatto? Come hai fatto a superarlo?»

«Dicendo la verità.» poi si alzò dal letto. «Vado a dire a Simon di ordinare la pizza, riuscirà ad accontentare tutti noi.»

***

Diedi un morso al primo pezzo di pizza ed ebbi la sensazione di sentirmi subito meglio. Simon si era fermato con noi e aveva già divorato tre fette della sua pizza. Harry doveva ancora aprire il cartone e quando si sedette accanto a me, uno strano silenzio circondò l'intera stanza. Continuai a mangiare, sperando che uno dei due non iniziasse a farmi domande.
Non ero agitata, anzi, ero abbastanza tranquilla, anche se il silenzio mi stava divorando. Avrei potuto dire qualcosa, ma di Harry sapevo tutto e sicuramente Simon non avrebbe risposto alle mie domande.

Poi Harry prese parola. «Allora Emily... tu sai tutto di me, visto che eri mia fan. Io di te so solo che vieni da Parigi.» accennò un sorriso nervoso. «Raccontaci un po' di te.»
L'idea di parlargli della mia vita non mi allettava per niente.

Inghiottii il boccone e iniziai a parlare. «So che è una cosa un po' pesante sia da raccontare che da ascoltare, ma visto che da ora in poi diventeremo soci, voglio che lo sappiate da me, invece che dai giornali: mio padre mi picchiava.» entrambi sgranarono gli occhi. «Già. L'ha fatto per anni, molti anni.»

«Spero che tu l'abbia denunciato...» intervenì Simon. Io scossi la testa. «Mi prendi in giro?»

«Non l'ho mai denunciato perché nessuno mi avrebbe creduto. Come potevano credere ad una bambina di sette o ad una ragazza di quindici anni?» sospirai.

«E tua madre?» domandò Harry, prima di bere un sorso d'acqua.

«Mia madre restava a guardare. A lei non importava niente di me, ero solo un intralcio. Dopo aver scoperto di essere rimasta incinta la licenziarono e per lei fu la cosa più brutta della sua vita. Non voleva figli, idem mio padre. Ma le cose capitano e senza rendertene conto ti cambiano anche la vita.» ridacchiai. «Dicevano di odiarmi, che non avrei raggiunto nessun risultato... ma glie l'ho fatta pagare, perché se adesso vedessero dove sono arrivata, si rimangerebbero tutto.»

«Sembri molto determinata.» intuì Simon.

Lo guardi. «Diciamo che non mi arrendo molto facilmente.»

«Per questo te ne sei andata da Parigi due anni fa?» continuò Harry.

«Sì. Niente e nessuno mi tratteneva lì, ho aspettato di diventare maggiorenne e un giorno ho fatto le valige, ho comprato un biglietto di sola andata e sono venuta qui a Londra per studiare. E non mi pento di averlo fatto. Sarei potuta restare a Parigi, anche perché mio padre aveva smesso di picchiarmi tre anni prima della mia partenza, ma sapevo che lì non avrei mai trovato quello che cercavo e che cerco ancora...»

Harry alzò lo sguardo mi guardò dritta negli occhi. «E cosa cerchi?»

«Felicità.»

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