10.

«Ti ha regalato quelle rose?» gridò Loretta alle mie spalle. «Stai parlando delle rose che avevi sul comodino? Io credevo che fossero lì per dare un po' più di colore alla stanza.»
Erano passati più o meno due settimane dall'incidente e mi sentivo molto meglio. Il dolore al braccio era completamente sparito, ma il dottore mi aveva detto di fare molta attenzione alle costole. Sapevo che non sarebbero guarite subito, ma non riuscivo a stare seduta sul divano di casa senza fare niente. Così, quel giorno avevo finalmente deciso di tornare a lavoro.
Ne ero entusiasta.
L'unico errore che avevo commesso quella mattina, era stato raccontare a Loretta delle rose bianche che mi aveva regalato Harry mentre ero in ospedale.

«Sì, sto parlando proprio di quelle rose bianche.» confermai. «In realtà, credevo che le avessi portate tu.»

Dalla bocca di Loretta venì fuori una piccola risata. «Io? Ma smettila. Se ti avessi portato qualcosa, sai cosa sarebbe stato? Del cibo.»
Salimmo gli ultimi gradini e svoltammo a destra, mentre Loretta continuava a parlare. «Comunque, sai almeno che significato hanno le rose bianche?» mi domandò ed io scossi la testa. Che significato avrebbero potuto avere delle rose bianche? «Emily, che diavolo, quando qualcuno ti regala qualcosa dovresti avere almeno la decenza di andare a cercare il suo significato.» digitò qualcosa su cellulare e incominciò a leggere. «Le rose bianche sono segno dell'innocenza dell'amore puro e spirituale. Mentre la rosa rossa è il simbolo per antonomasia dell'amore passionale, la rosa bianca è anch'essa legata a sentimenti amorosi, ma molto più platonici, aulici e sentiti. Il colore, infatti, rimanda al candore di un amore indissolubile, all'affetto, alla stima reciproca.» poi mi guardò. «Quindi, Emily, quell'uomo si è preso una bella cotta per te.»
Harry? Una cotta per me? Non mi conosceva neanche.

«Ok, tutto questo è ridicolo.» di scatto smisi di camminare e Loretta quasi mi venne contro. «Amore indissolubile, affetto, stima reciproca, amore puro, spirituale... davvero credi al significato di quelle rose?» le domandai.

Mi mostrò il telefono. «Wikipedia non mente mai, ricordalo.»

Incrociai le braccia. «Sicura di stare bene? Hai la febbre per caso?» è portai una mano sulla sua fronte. «Wikipedia ti ha attratto così tanto che credi ad ogni cosa che c'è scritta su quello schermo?»

«Smettila di prendermi in giro.» alzò la voce e con uno scatto allontanò la mia mano dalla sua fronte. «Sto solo facendo delle ipotesi.» poi mi guardò e sorrise maliziosamente. «Però sareste bellis...»

Le tappai la bocca con la mano. «Smettila.»

Lei alzò le mani. «Chiedo pietà.»

«Signorina Morel.» sentì urlare dalla bocca dal mio capo. Non mi aveva mai chiamata in quel modo. Di solito mi chiamava per nome.

Allontanai la mano dalle labbra di Loretta e guardai il Signor. Adams. «Sì?»

«Potrebbe raggiungermi nella sala conferenze?»

Annuii. «Arrivo subito.» gli sorrisi e lui entrò subito nella stanza, chiudendo successivamente la porta.

Iniziai a camminare per raggiungerlo ma Loretta mi afferrò per il polso. «Credi sia qualcosa di grave?» mi domandò.
Sembrava seria.
Non avevo la minima idea di cosa stesse succedendo. Forse i piani alti mi avevano affidato un altro lavoro e il Signor. Adams voleva fare bella figura.

«Non lo so.» risposi. «Ma non lo scoprirò mai se non mi lasci il polso.»

Allentò la presa e mi lasciò andare. «Se hai bisogno di qualcosa, grida e accorrerò in tuo soccorso. Ti ricordo che ho praticato per otto anni arti marziali, potrei rompere una gamba a chiunque si trovi lì dentro con il nostro capo.»

«Facciamo che se ho bisogno non esiterò a chiamarti. Niente schiaffi né arti marziali.» accennai un sorriso e mi diressi verso la stanza delle conferenze. Non ero agitata, solo curiosa di sapere chi ci fosse insieme al Signor. Adams.
Raggiunta la porta, la aprii ed entrai.
Mi concentrai subito sul Signor. Adams, ma sapevo che qualcuno era seduto davanti a me e mi stava guardando. Anzi, fissando.
«Mi voleva vedere Signor. Adams?»

«Ciao Emily.» sentii dire dall'uomo seduto davanti a me. Riconobbi subito quella voce e mi pentiti di essere entrata in quella stanza.
Harry.
Mi voltai e lo guardai: capelli perfetti, vestito in modo impeccabile e con un sorriso compiaciuto sulla faccia.
Per qualche secondo lo odiai.
Perché era venuto? Cosa voleva?

Guardai Harry negli occhi, poi mi voltai verso il mio capo. «Lui cosa ci fa qui?»

***

«Vuoi che lavori per te?» gridai, guardando Harry. Lui sembrava tranquillo e sicuro di sé. Non avevo visto Simon nei paraggi, forse era rimasto fuori dagli uffici.

«Emily, non essere così scortese con il Signor. Styles! Ti sta offrendo un lavoro, dovresti essere onorata.» ripeté il mio capo per la decima volta.
Non volevo essere scortese, volevo solo capire il motivo di quella richiesta.

Dovevo scoprire il perché di quell'offerta di lavoro, e per farlo, in quella stanza dovevamo esserci solo io ed Harry.
Mi voltai verso il Signor. Adams. «Potrebbe lasciarci soli?»

«Emily...»

«Per favore.» e lo pregai con lo sguardo. «Solo un minuto.»

Il mio capo sospirò. «Ok, va bene. Ma solo un minuto.»

Quando la porta si chiuse, mi girai di scatto verso Harry e lo guardai attentamente. «Perché lo stai facendo?»

Mi guardò storto. «Facendo cosa?»

«Perché mi stai offrendo un lavoro? Perché hai scelto me? E poi... perché hai portato quelle rose in ospedale? Perché sei rimasto in sala d'attesa per un giorno intero?» lo riempii di domande e lui sembrava più confuso di me.
Volevo sapere. Dovevo sapere.

«Ok, ok, va' piano.» Harry sospirò. «Emily, ti sto offrendo un lavoro... io... la tua professionalità mi piace molto.» spiegò. «E ti ho portato quelle rose perché... credevo fosse un gesto carino, volevo tirarti su il morale.»

«Mi hai ripetuto tre volte di avermi già vista.» gli ricordai.

Il suo respiro accellerò. «Capita a tutti di sbagliare, no?» e accennò un sorriso vago.
Sapevo che voleva sviare il discorso.

Lo guardai male. «Dovrai impegnarti di più se vuoi che accetti quel lavoro, lo sai?»

«Ok...» sospirò. «Assomigli molto ad una persona che ho visto molti anni fa, ecco perché insistevo. Ma quella persona non sei tu. Scusa se ho insistito così tanto.» incrociò le braccia. «Non sapevo neanche il nome di quella ragazza ma, continuo a pensarci ogni giorno, da anni. Non so che fine abbia fatto e mi pento di non averle parlato.»

«Quanti anni fa hai visto la ragazza?»
Mi sembrava di parlare in codice morse, ma Harry non sapeva il nome di questa presunta persona.

«Cinque anni fa.» poi mi guardò. «Non fraintendermi, il lavoro non c'entra niente con questa storia.»
Sembrava sincero.
Mi aveva solo scambiata con un'altra persona, tutto qui. Per un attimo mi sentii sollevata.
«E non ripeterò più quella frase, so che la odi a morte.» continuò, ridacchiando.
Sì, per quante volte l'aveva ripetuta mi stava dando alla testa.

«Quindi, mi trovi professionale?»
Cambiai discorso.

Annuì. «Molto.»

«Se dovessi accettare la tua richiesta, io cosa ci guadagno, oltre lo stipendio?»

«Ehm... una cena?» aggrottai la fronte. «Andiamo, cosa vorresti guadagnarci? Mangiare pizza ogni sera? Vuoi che io canti per te una volta a settimana? Farai quello che ti riesce meglio e cioè, disegnare, quindi...»

Mi alzai dalla sedia e lui non finì la frase. «Vado a chiamare il Signor. Adams.»

***

«Tra pochi mesi il mio tour riprenderà e vorrei che tu disegnasti tutti i vestiti che porterò in ogni singola data. So che il lavoro sarà molto, ma sono sicuro che riuscirai a terminare tutto nel tempo prestabilito. Se accetterai, ovviamente.» riprese fiato. «Potrai lavorare a casa mia, dove avrai un ufficio tutto tuo. Ma se non ti sentirai a tuo agio potrai lavorare qui, insieme ai tuoi colleghi.»
Non sembrava male. Certo, il lavoro sarebbe stato molto, ma ce l'avrei messa tutta.

«Emily, è una proposta e un'occasione molto importante, lo sai?»
Me ne rendevo contro. Il mio "ex idolo" mi stava chiedendo di lavorare per lui e ne ero felice.

«Me ne rendo conto, ma...»

«Hai tutto il tempo per decidere, non c'è fretta.» mi rassicurò Harry con un sorriso. «So benissimo che sarà un lavoro lungo e impegnativo. E se non sei sicura di potercela fare, potrai rifiutare. Non mi offenderò, tranquilla.»

Mi alzai dalla sedia e andai verso la finestra. Guardai fuori. I loro sguardi mi mettevano a disagio. Dovevo pensare, anche se la risposta era più che ovvia.
Volevo lavorare per Harry, lo volevo veramente. Avevo solo paura di pentirmene. Se avessi accettato, tutti i giorni sarei dovuta andare a casa sua, lavorare tutto il giorno e stare con lui. Non sarebbe stato affatto male, ma le voci girano in fretta e sicuramente qualche giornalista si sarebbe inventato qualche storia strana da mettere sulla bocca di tutti. Non ero abituata alle chiacchiere e non ero mai stata presa di mira da dei giornalisti; non avrei saputo reagire.
«Comunicherai a tutti della mia presenza, se dovessi accettare la tua richiesta?» domandai, rivolgendomi ad Harry anche se gli davo le spalle.

«Sì, lo farò in un intervista.» rispose senza esitare. «Pian piano ti abituerai ai giornalisti e ai fotografi.»

Incrociai le braccia e mi voltai. «Quando potrò iniziare?»

«Domani stesso, se per te va bene.»

Annuii. «Ok, accetto. Sarà divertente.» sorrisi e mi resi conto che lo sguardo del mio capo era più illuminato che mai. Sembrava felice.

Harry si avvicinò a me e mi porse dei fogli. «Dovrai compilare questi. Non ti preoccupare, nulla di spaventoso. Potrai riportarli domani.» spiegò. «Vuoi che Simon passi a prenderti?»
Non avevo ancora perdonato Simon per aver pensato che avrei potuto rappresentare una minaccia per Harry.

Arrossii. «Oh... no, non cen'è bisogno. In realtà abito a tre isolati da te.» e presi i fogli.
Non mi era mai capitato di arrossire, mi sentivo più a disagio che mai.

Lui si accorse subito del mio arrossamento inprovviso e accennò un sorriso. «Meglio così allora.» si allontanò e aprì la porta della stanza. «Ti aspetto alle dieci. Sii puntuale.»
Fece un cenno con la testa al Signor. Adams per salutarlo, poi uscì dalla porta.

Subito, il Signor. Adams si voltò verso di me e disse: «Sono fiero di te.»
Era da tanto che qualcuno non mi diceva di essere fiero del mio lavoro. I miei genitori non me lo avevano mai detto e non sapevo come facesse il mio capo ad essere fiero di me, visto che i primi tempi qui in azienda il mio lavoro faceva pena. La lui si era fidato di me ed è solo grazie a lui se sono arrivata fin qui.

Mi limitai a sorridergli, ma in realtà stavo ripensando alle parole di Harry.
Mi aveva scambiata per una persona che aveva visto cinque anni prima. Non sapevo dove avesse visto quella ragazza e lui non sapeva neanche come si chiamasse. Forse si era solo confuso, poteva capitare.

All'improvviso sentii dei passi provenienti dal corridoio. Poi vidi Loretta entrare di corsa e raggiungermi. «Allora? Cos'è successo? Avete già organizzato il matrimonio?» gridò lei entusiasta.
Assottigliai le labbra e con un cenno della testa, invitai la mia amica a guardare alle proprie spalle. La testa di Loretta si voltò lentamente. La sentii deglutire poi sussurrò: «Salve Signor. Adams.»

Quest'ultimo incrociò le braccia e la guardò seriamente. «Signorina Collins, la prego, torni al proprio lavoro.»
Trattenni una risata e vidi Loretta uscire dalla stanza più arrabbiata e imbarazzata che mai. Sapevo che quando la giornata si sarebbe conclusa, mi avrebbe riempita di domande.

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