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Bip.
Bip.
Bip.
Andiamo Samu svegliati.
Bip.
Bip.
Bip.
Dovrei chiamare la sua ragazza, Ella.
No l'ha abbandonato, non deve sapere come è ridotto.
Starà meglio senza di lei.
Bip.
Bip.
Bip.
Sam ti riprenderai. Andremo a casa insieme.
Bip.
Bip.
Bip.
Ha chiamato una certa Sara, le ho detto di non cercarlo più... immagino fosse lei.
Bip.
Bip.
Bip.
Svegliati Sam.
Svegliati amore mio.
Bip.
Bip.
Bip.
Ci hai rovinato la vita. Le hai rovinato la vita.
Bip.
Bip.
Bip.
Dottore i valori sono stabili, dovrebbe riprendersi. È solo questione di tempo.
Bip.
Bip.
Bip.
Bip.
Ei Sam, sono la tua infermiera. Mi chiamo, Carla. Devi svegliarti ok? Hai una bellissima famiglia che ti aspetta e vuole riabbracciarti.
Bip.
Bip.
Bip. Bip. Bip. Bip.
Il buio si dirada appena, riesco piano ad aprire gli occhi. Un dolore fortissimo alla testa mi schiaccia.
Vedo una donna sfocata al mio capezzale, cerco di metterla a fuoco.
Viola!
Spalanco gli occhi, respirando affannosamente.
Viola, sei tu? Vorrei urlare, ma le mie labbra bruciano e la voce non esce.
«Dottore, dottore? Venga si sta svegliando. Sembra agitato» dice la donna.
Non è la sua voce...
Richiudo gli occhi e cerco di ripiombare nel mio sonno oscuro, quello dove Viola era ancora al mio fianco, ma non riesco.
«Signor Campbell-Allen, mi sente? Sam mi sente? Sono il Dottor Ferraro. Riesce a sentirmi?»
Riapro gli occhi e annuisco piano.
Il dottore e l'infermiera mi fissano sorridenti.
«Bentornato Sam» mi dice la donna, credo sia Carla, l'infermiera che mi parlava, riconosco la voce.
«D...dov'è...?» sussurro piano.
«Non sforzarti Sam. Hai subito una forte commozione celebrale e trauma cranico, sei stato in coma quattro giorni» mi dice piano il dottore.
QUATTRO GIORNI, QUATTRO GIORNI ANCORA SENZA VIOLA, urlo dentro di me.
«Comunque la donna che hai accompagnato sta bene, l'abbiamo svegliata due giorni fa e anche la bambina sta rispondendo molto bene, se è questo che volevi chiedermi» risponde il dottore.
Scuoto la testa piano.
Cazzo che male.
«V...V...Viola...» sussurro guardando l'infermiera implorandola.
Le mi prende la mano dolcemente, è una signora di almeno cinquant'anni, con un viso dolce e caldo. Potrebbe essere mia madre, vorrei tanto un abbraccio... vorrei voluto una madre come lei... non come la mia, vaneggio.
«Caro vuoi che prenda il tuo cellulare e chiami questa Viola?» mi chiede comprensiva.
Annuisco, mentre una lacrima riga la mia guancia.
«Bene, proviamo subito» dice afferrando il mio Iphone.
«Mi dispiace è spento» ribatte triste.
Un'altra lacrima riga la mia guancia.
Voglio andarmene da qui.
Cerco di schiarirmi la gola, che brucia terribilmente.
«Vuoi che chiami qualcun altro? Tua madre? Tuo padre?» chiede dolce.
Scuoto la testa. Non ho nessuno da chiamare se non lei.
«V... voglio andarmene» riesco a dire.
«Sam è un po' presto, se tutto va come dovrebbe, tra un paio di giorni potremmo dimetterti. Avrai bisogno di riposo, ma potrai tornare a casa» mi dice il dottore.
«Sam!!!» urla Alberto spalancando la porta.
«Dottor Levante, le pare questo il modo di entrare?»
«Mi scusi Dottor Ferraro, è mio cugino» dice Alberto raggiungendo il mio fianco.
«Bene, Carla che dice li lasciamo un po' da soli. Sam tornerò tra un'ora per un controllo. No stress. Riposo assoluto, siamo d'accordo?» dice il dottore.
Annuisco ed escono dalla stanza.
Cerco di parlare, ma Alberto mi ferma.
«Non sforzarti, Sam. Vuoi sapere che è successo?» mi chiede.
Annuisco e gli stringo la mano.
«Sai chi sono?» mi domanda impaurito.
Annuisco buttando gli occhi al cielo.
«Bentornato cugino!» dice ridendo.
«Ti ricordi di quando hai conosciuto la bambina?» mi domanda.
Annuisco.
«Bene quello stesso giorno, quando eri fuori esausto, è arrivato Paul. Ti ha tirato un cazzotto e hai sbattuto la testa molto violentemente contro il muro. Non sono riuscito a fermarlo in tempo» dice triste contorcendosi le mani.
«N...non è colpa tua» riesco a dire.
«Mi dispiace così tanto...»
Scuoto la testa, ho solo un pensiero.
Devo trovare Viola, capire cosa è successo, capire perché se n'è andata.
«H... ha... chiamato qualcuno per me?» chiedo impaurito.
«Una certa Sara ieri, se non ricordo male... ci ha parlato Ella».
Cazzo.
«Cosa le ha detto?» chiedo terrorizzato, uno stralcio di conversazione torna nella mia mente paralizzandomi: Non chiamate più, lui non vuole saperne di voi. Dille di non cercarci più.
«Le ha detto di non cercarmi più... cazzo Alberto, gli ha detto di dimenticarmi... me lo ricordo» dico cercando di alzarmi.
«Dove pensi di andare? Hai sentito parole sconnesse mentre eri in coma, potresti aver immaginato tutto» mi dice bloccandomi.
«La devo trovare...»
«No, prima devi rimetterti. Non la troverai se muori per una complicazione, coglione!» mi dice incazzato.
«Ok... parla con il dottore, farò tutto quello che devo per andarmene il prima possibile».
Bussano alla porta.
«Si può?» chiede piano Carla aprendo la porta.
«Abbiamo una visita per il nostro Sam» dice sorridendo.
E spinge dentro la mia stanza Ella su una sedia a rotelle.
«No. No. Non voglio vederla» riesco a dire scuotendo la testa.
Ella si avvicina. prende la mia mano, la tolgo incrociando le braccia al petto.
«Ci hai salvate Sam... sia me che la bambina... non mi so come ringraziarti... Paul non sapeva» sussurra.
«Cosa hai fatto? Cosa hai detto a Sara? Io ti ho sentita al telefono» dico piano verso Ella che terrorizzata mi fissa.
«I...io...Sam ti ricordi sicuramente male» dice nervosa, sta mentendo la conosco troppo bene, e continua «Ho parlato con una donna e le ho detto che avevi avuto un incidente, ma che ti stavi riprendendo. Non voglio che lei ti faccia soffrire».
«D... dovevi solo farti i cazzi tuoi e stare lontana dal mio telefono... anzi state tutte e tre lontani da me... tu e quello psicopatico di tuo marito».
«Paul non voleva farti questo, davvero. Non sapeva come ci hai aiutate. È disperato, la sua carriera sarebbe finita, se tu dovessi denunciarlo».
«Ella non me ne frega un cazzo!» rido crudele pensando di avere il coltello dalla parte del manico per una volta «Se hai paura che lo denunci, non lo farò. Voglio solo che vi leviate dalla mia vista e mi lasciate in pace» sospiro «Fai quel cazzo di test quando la bambina starà meglio e fammi sapere il risultato. Io poi farò quello che devo fare».
«Ho avvisato Laura...» dice in un soffio.
«Hai sprecato il tuo tempo perché non mi sembra che si sia presa la briga di venire a vedere se il suo unico figlio fosse ancora vivo».
«Aveva un processo importante, ma l'ho aggiornata tutti i giorni sulla tua salute».
«Si vede che ti annoi in ospedale eh? Non avevi niente di meglio da fare che romperle le scatole».
«Sammy era preoccupata per te».
«Ella vattene... non lo ripeterò» dico gelido indicando la porta.
Qualunque madre avrebbe attraversato il fuoco a sapere il figlio in ospedale... se davvero fosse stata preoccupata per me si sarebbe degnata di presentarsi... ma non la mia... perché lei non è una madre. È solo un'estranea che mi ha messo al mondo per errore.
Il suo errore più grande.
Quattro giorni dopo, finalmente posso lasciare l'ospedale.
Devo trovare Viola. È il mio unico pensiero fisso.
L'unico che pensiero che ha motivato questa mia ripresa velocissima.
Carla è stata veramente come una madre, una donna dal cuore d'oro che mi ha accudito e consolato per tutta la mia permanenza in ospedale.
Sono dieci giorni che non la vedo e non so dove sia, né cosa sia successo.
Non me ne frega un cazzo di nient'altro, nemmeno della mia salute.
Devo capire e devo sapere cosa è successo.
Da dove comincio? Come posso trovarla? So così poco di lei e della sua vita prima di me.
Torno a Favignana, devo recuperare qualche vestito, controllare l'appartamento di Viola per cercare qualche indizio e parlare con Camilla.
Sbarco a Favignana insieme ad Alberto che ormai è diventato la mia ombra. L'isola è esattamente calma e tranquilla come l'ho lasciata, sembra che niente sia cambiato, invece è cambiato tutto, almeno per me.
Entro nel mio appartamento, noto che le macchie di sangue sul pavimento sono sparite, Alberto deve aver mandato qualcuno a pulire.
Corro veloce, per quel che riesco, in camera e preparo la valigia.
Trovo la sua maglietta a righe azzurra e bianca appoggiata sulla sedia in camera mia, una delle sue preferite.
La sfioro piano con le dita, la afferro e l'annuso. Il suo odore di lavanda, fiori e miele mi invade le narici, straziandomi.
Mi siedo sul letto, con le mani nei capelli disperato.
Amore mio... perché mi hai fatto questo?
Inspiro profondamente e mi alzo, gettando la maglietta nella mia valigia. Ho bisogno di qualcosa che mi ricordi che lei c'è stata, che non mi ricordi che lei esiste e che non me la sono immaginata per riuscire a sopravvivere al mio dolore.
Salgo le scale che dividono i due appartamenti e entro nel alla ricerca di non so nemmeno io cosa.
Vorrei spaccare ogni cosa, far fuoriuscire il dolore che scorre nelle mie vene come corrente elettrica.
Attaccate al frigo trovo le fototessere che abbiamo fatto una sera insieme, le prendo tremando e le metto nella mia tasca.
Nemmeno queste si è voluta portare via... niente che riguardasse me...
«Amore ti pregoooo! Facciamo le foto» biascica Viola abbastanza ubriaca.
«Ma dai, è da ragazzini» dico io scuotendo la testa.
«Non me ne frega niente! Siamo felici e ci amiamo come dei ragazzini e voglio che questo momento resti impresso per sempre, non dobbiamo dimenticarlo mai» dice sorridendomi.
Afferro il suo viso e la bacio.
La sua lingua calda trova subito la mia, allacciandosi perfettamente.
E il mio cazzo reclama subito il suo tocco, nemmeno avessi quattordici anni.
«Okay, facciamo queste foto» dico staccandomi da lei e sorridendo come solo lei sa farmi fare.
Scuoto la testa e scaccio quel ricordo doloroso.
Devo restare lucido se voglio capirci qualcosa, e farsi offuscare dal dolore e dall'alcool, che vorrei in questo momento, non mi aiuterà.
Dove può essere andata? Londra? Firenze? Roma? Ovunque?
Frustrato continuo a cercare indizi in casa sua, uscendo afferro il biglietto di addio sul pavimento e lo caccio nella tasca dei pantaloni.
«Sam» mi chiama una voce da infondo alle scale: Camilla.
«Sam, che è successo?» chiede lei ansiosa.
Scendo le scale e la raggiungo sul pianerottolo.
«Un casino» rispondo mesto.
«Viola? Dov'è? Sono dieci giorni che ha il telefono staccato. Sta bene?» chiede impaurita.
«Non lo so, Camilla. Non so che è successo, non so dove sia...» rispondo distrutto.
«Ma come? Cioè voglio dire... sembrava tutto perfetto...».
«Camilla davvero non ci sto capendo più nulla... un attimo prima mi professava amore eterno e l'attimo dopo è sparita e il suo appartamento è vuoto...».
«Ti va una birra così mi racconti nei dettagli e cerchiamo di capire cosa è successo?» chiede lei comprensiva.
Annuisco e andiamo nel suo appartamento.
Non riesco a stare seduto, sono irrequieto come un leone in gabbia mentre giro e rigiro il suo salotto.
«Sam calmati! Ora escogitiamo un piano. Riusciremo a trovarla... probabilmente ha visto Ella e ha frainteso tutto no? È l'unica ipotesi plausibile che mi è venuta in mente» dice lei seguendomi con lo sguardo.
«Ma che piano? Dove cazzo la trovo? Potrebbe essere ovunque. Poi poteva almeno concedermi il beneficio del dubbio prima di sparire così» rispondo tirandomi i capelli.
«Lo so... avrà avuto paura di soffrire» dice Camilla.
«Come se così potesse fare meno male eh?».
«Il lavoro, partiamo da lì. Dove lavora?» ribatte speranzosa.
Ci penso un attimo e poi «Gardner & Smithsons a Londra» dico tutto d'un fiato.
«Bingo! Comincia da lì. La troverai Sam, ne sono sicura!» dice lei abbracciandomi.
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