23
Passeggio distratto per queste strade che ormai ho imparato a conoscere come se fossero le mie, tanto le ho setacciate cercandola. Ed ora rieccomi qui a cercarla come quattro anni fa. Forse dovrei smetterla, interrompere questo circolo e mettere la parola fine a questa storia.
Ma come faccio? Come faccio a smettere di cercare l'amore della mia vita? Come faccio a smettere di cercarla dopo la notte passata a Londra?
Sorrido davanti a una scuola mentre i bimbi stanno uscendo. Mi manca tantissimo Hope e non vedo l'ora di essere di nuovo da lei, magari con Viola... vorrei che si conoscessero davvero.
Hole impazzirebbe per lei, lo so già. O almeno vorrei che fosse così, anche se non mi ha mai visto con una donna e non so come potrebbe reagire difronte a una novità del genere.
Mi soffermo a guardare un bambino, ha i capelli mossi e arruffati, mi ricorda vagamente me da piccolo, da la manina alla maestra triste. Probabilmente sta aspettando i suoi genitori che sono in ritardo... ne so qualcosa anche di quella sensazione.
Alza la testa arruffata e vedo il suo sguardo vispo guardarsi in giro, fino a che non si ferma su di me. Rimango pietrificato dalla somiglianza con quel bambino, e in tre secondi ritorno indietro di trent'anni a quando anche i miei genitori si dimenticavano di me.
Fisso il muro bianco davanti alla cattedra della bidella e sospiro.
«Sammy devi fare i compiti» mi incalza Margareth, la mia custode preferita. Sbuffo e incrocio le braccia al petto arrabbiato. Sono in riardo di un'ora.
«Pulcino lo so che sei arrabbiato con i tuoi genitori, ma stanno arrivando» mi dice dolce spostandomi indietro i capelli arruffati.
«Fanno così tutti i giorni. Si dimenticano sempre di me».
«A volte capita che i genitori non siano perfetti, lavorano molto, non lo fanno con cattiveria. Tu fai il bravo».
«Ma io sono bravo Margareth, perché si dimenticano di me? L'altro giorno li ho sentiti urlare e dicevano una cosa brutta» dico triste.
«Cosa pulcino?» mi chiede.
«Niente...»
«Avanti Sammy non farti pregare. Prometto che ti do i biscotti se me lo racconti».
«La mamma urlava... che... non mi aveva mai voluto e che papà l'aveva messa in questa situazione e che lui doveva trovare una soluzione adesso».
«Oh Sammy» sospira «sono sicura che fossero arrabbiati e basta».
«Non è la prima volta che lo sento dire» ammetto sconfitto.
«Oh piccolo mio» sussurra Margareth abbracciandomi stretto.
«Non posso rimanere sempre con te?» chiedo timido.
«Pulcino vorrei tantissimo, ma non si può. Però qui puoi stare con me quanto vuoi» dice dandomi un piccolo bacino sui capelli.
Vorrei una mamma come lei. La vorrei tanto.
Sa di buono, di biscotti e di coccole.
Mi riscuoto da questo ricordo, cazzo avevo solo sei anni.
Il bambino continua a fissarmi con i suoi occhioni verdi? O blu? Non riesco a capire.
Mi sembra il fantasma del Natale passato che mi porta un messaggio.
Sembro davvero io da piccolo, ma mi sto solo autosuggestionando, ne sono sicuro.
Lo saluto con la mano e in quel momento mi squilla il telefono. Oddio rischio di sembra un cazzo di pedofilo, penso tirando fuori il telefono dalla tasca.
Laura.
Oh ho pensato al diavolo e sono spuntate le corna.
«Mamy» sento urlare al bambino di prima.
«Vai dalla mamma. Ci vediamo domani. Ciao C...» sento dire vagamente alla maestra, mentre fisso il telefono distratto.
Alzo la testa curioso, ma il bambino e la sua mamma sono già spariti dalla mia vista dentro una macchina nera.
Da quando è nata Hope Laura sembra vagamente più interessata alla mia vita e a quella della sua nipotina. Non mi ha mai apertamente parlato anzi, il suo essere austera e algida è rimasto lo stesso, ma mi sembra leggermente ammorbidita, cosa che non mi tocca minimamente perché io non le permetto di avvicinarsi a me. Non le sono interessato per trentacinque anni, non vedo come possa interessarle adesso che non ho più bisogno di lei.
Ispiro e raccolgo tutto il coraggio che trovo.
«Pronto».
«Samuele ciao» dice algida quella che tecnicamente è mia madre, nessun altro al mondo mi chiama Samuele e nonostante sia il mio nome, non lo sento appartenermi per niente. Sono Sam, solo Sam per tutti.
«Laura» rispondo sospirando.
«Come stai?» mi chiede in uno slancio di altruismo.
«Bene, come sempre. Te?» mento spudoratamente.
«Abbastanza bene, ho concluso ieri una causa finalmente» sospira mostrandomi un briciolo di umanità, forse l'età la sta ammorbidendo.
«E com'è andata?» chiedo anche se non me ne frega un cazzo.
«Abbiamo vinto, ovviamente» risponde con supponenza... ovviamente.
«Bene sono contento per te. Cosa posso fare per te?» perché tanto so che mia madre non mi chiama mai per sentirmi e basta, ha sempre una motivazione dietro.
«Oh Samuele, non mi serve un motivo per telefonare a mio figlio».
Ah adesso sono suo figlio? Davvero? E se ne rende conto trentacinque anni dopo?
Non se ne ricordava quando si scordava di me davanti a scuola, o quando mi mollava con chiunque purché non dovesse stare con me.
«Tuo figlio...» dico sprezzante.
«Samuele...» sussurra quasi dispiaciuta.
«Nessuno mi chiama così. Sono Sam, quante volte devo dirtelo?» sbotto incazzato.
«Non è il nome che abbiamo scelto per te».
«È quello che ho scelto io per me» ribatto freddo.
«Comunque ti ho chiamato per avvisarti che tra dieci giorni passerò a Londra e mi faceva piacere vedere la mia nipotina... e te...» dice quasi in imbarazzo.
Mia madre in imbarazzo? Dio... ma che le sta succedendo? Forse sta morendo? Dovrei indagare...
«Io sono in Italia per il momento, non penso di rimanerci molto ma cercherò di essere a Londra per farti incontrare Hope, puoi sempre chiamare Ella e Paul comunque».
«In Italia? Sei a Favignana?» chiede subito.
«No, sono a Firenze».
«A fare cosa?»
«Niente che ti riguardi» rispondo duro.
«Scusa...» sussurra.
Dio, non sembra nemmeno lei. Inizio davvero a preoccuparmi.
«Mamma tutto bene?» sfugge dalle mie labbra.
Mamma? Come diavolo mi salta in mente di chiamarla così? Sono anni, forse decenni che non la chiamo così.
«Non mi chiamavi così da non so quanto tempo» risponde subito.
«Scusami Laura, non succederà più».
Quando ero piccolo mi dimenticavo sempre che non dovevo chiamarla così e tutte le volte che succedeva andava su tutte le furie, così con gli anni ho bandito quella parola.
«Nessun problema».
«Bene, se non hai altro da dirmi... ti saluto» dico serio.
«Certo Samue... Sam. A Londra verrò con il mio nuovo compagno, mi farebbe piacere presentartelo».
E da quando in qua lei mi presenta i suoi compagni? Non se n'è mai preoccupata e non vedo perché iniziare a farlo adesso.
Spero che non abbia rifilato a questo povero Cristo la storia della mamma modello, perché se così fosse ci penso io a sistemarla per le feste.
«Certo. Nessun problema. Ciao Laura».
«Ciao Sam» risponde mentre sto già chiudendo la chiamata.
Parlare con mia madre è sempre sfiancante, misurare le parole, dire sempre la cosa giusta e non poter permettersi di sbagliare MAI. È stato un incubo e per nessuna ragione al mondo farò mai sentire Hope come lei e quell'altra testa di cazzo hanno fatto sentire me... sbagliato e indesiderato.
Ho dovuto elemosinare le loro attenzioni e il loro amore per tutta la vita e non permetterò mai che succeda con la mia bambina.
La scuola che prima fissavo è chiusa, segno che tutti sono passati a prendere i loro bambini, meno male.
Questo quartiere, Le Cure, non è così male alla fine.
Continuo a camminare distrattamente, questa speranza malsana che ho di vederla uscire da un portone deve finire.
Arrivo davanti a un piccolo fiume, su un piccolo ponte pedonale, le gambe mi hanno portato qui senza che me ne accorgessi nemmeno.
La vegetazione è davvero folta in questa parte, e alcune anatre sguazzano tranquille in mezzo all'acqua con i loro piccoli.
Appoggio gli avambracci sulla ringhiera di ferro e mi soffermo a osservare l'acqua che scorre lenta sotto di me.
Viola dove sei?
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