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«Sam! Corri!» mi sento chiamare dal salotto, mentre sono in giardino a cercare un minimo di pace.
I suoi occhi si fanno d'improvviso spalancati e vuoti, si porta le mani alla pancia e inizia a iperventilare.
Sento un piccolo tonfo per le scale, finalmente Viola deve essere tornata.
«Che cazzo succede?» chiedo nel panico.
«Non... non lo so. C'è qualcosa che non va lo sento» dice terrorizzata.
«Ok, chiamo un dottore. Sistemerò tutto, stai tranquilla non sarà niente. Andrà tutto bene Ella. Respira» dico cercando di rassicurarla.
«Sam... ho paura» dice tra le lacrime sedendosi «Fa... fa male».
Cazzo! Cazzo!
Prendo il telefono e chiamo il medico di Favignana, Alberto, mio cugino.
«Alberto».
«Ciao Samuel, tutto bene?»
«C'è un'emergenza, corri a casa dei nonni. Ti prego. Donna trenta anni, incinta di sette mesi circa. Dolori addominali e... sanguinamento» dico terrorizzato guardando il pavimento tra le gambe di Ella.
«Arrivo, la portiamo a Palermo d'urgenza con l'eliambulanza. Stai tranquillo. Falla stendere e cerca di non farla muovere».
«Ti aspettiamo» dico cercando di non andare nel panico più totale mentre un mix di idee catastrofiche si danno battaglia nella mia mente.
Perché devo sempre finire in situazioni del cazzo in questo modo?
Mi avvicino a Ella, abbracciandola e cercando di calmare i suoi singhiozzi mentre cerco di farla stendere e immobilizzarla.
«Andrà tutto bene. Shhh, stai tranquilla» le sussurro.
«Ho paura... la mia bambina... non posso perderla... no... non l'ho nemmeno mai vista» dice singhiozzando.
«La abbraccerai quando sarà il suo momento, non agitarti. Cerca di rimanere immobile e vedrai che il dottore arriverà tra qualche minuto. Ora ti portiamo in eli-ambulanza a Palermo, così potranno prendersi cura di voi al meglio. Ok?» la fisso negli occhi.
Annuisce piano e vedo il suo viso contorcersi dal dolore, nonostante cerchi di nasconderlo anche in questa situazione.
In quel momento Alberto e un paramedico spalancano la porta.
Lascio Ella con i medici e corro veloce nell'appartamento di Viola per cercarla e avvisarla della situazione, voglio che venga con me a Palermo, ho bisogno di lei, a quest'ora dovrebbe essere arrivata ormai anche se pensavo sarebbe venuta subito da me.
Entro con la piccola chiave argentata e la casa è diversa. Ha un odore diverso. Mi guardo intorno ma non capisco. È sempre la stessa casa ma ha qualcosa di diverso, vedo alcune ante aperte in cucina. Un vaso rovesciato sul tavolo del soggiorno. Manca la foto di lei e Sara a New York accanto alla porta.
Cazzo!
Corro in camera e l'armadio è vuoto.
Torno in cucina in preda al panico e lo vedo, sul tavolo, da solo.
Un foglietto bianco piegato a metà, lo apro con mano tremante e al suo interno una sola parola: Addio.
Cosa sta succedendo? Le lacrime si affacciano ai miei occhi e una voragine nel mio petto si riapre inghiottendomi con violenza. Mi manca la terra sotto i piedi e devo reggermi al tavolo per non cadere in terra mentre le ginocchia cedono.
Amore mio dove sei? Perché te ne sei andata? Che è successo?
Non puoi essertene andata veramente.
Sbatto più volte le palpebre convinto di star continuando il maledetto incubo che stavo facendo questa mattina... ma niente cambia e la realtà mi si presenta davanti con la sua assenza.
«L'avevi promesso» sussurro ripensando alle sue parole di questa mattina.
Afferro i bordi del tavolo e lo ribalto preso dalla rabbia e dalla paura.
Prendo veloce l'Iphone tremando e provo a chiamarla, non risponde.
«Andiamo Samu, dobbiamo muoverci veloce» mi chiama Alberto urlando dal piano di sotto.
Ricaccio indietro le lacrime ed esco dal suo appartamento, distrutto e con il cuore a pezzi.
Scrivo a Camilla «911, sono Palermo. Io sto bene. Se senti Viola diglielo e dille che la amo».
Corriamo in ambulanza fino alla piccolissima pista di decollo accanto all'ambulatorio.
«Samu tu vai con lei?» mi chiede urlando Alberto accanto all'eli-ambulanza.
«Sì» rispondo serio. Ella mi stringe la mano piangendo.
Possibile distacco della placenta...
Viola, dove sei? Mi manca il respiro al pensiero di quella casa vuota.
Scaccio il mio dolore e il panico che mi sta invadendo anima e cuore. Perché tutte le persone che amo prima o poi se ne vanno? Prima mia mamma, poi mio padre, Ella e ora anche Viola.
Torno lucido, devo essere lucido per Ella e la bambina, non posso crollare, salgo sull'elicottero e partiamo.
«Sammy... devi chiamare Paul...» mi dice Ella in un sussurro.
«No, lo farai te».
«Ti prego» sussurra lasciando la presa alla mia mano e perdendo conoscenza.
«Ella! Resisti! Non mollare!»
Cazzo, cazzo, NO!
Il tragitto fino a Palermo è un'agonia e appena arriviamo in ospedale è ancora peggio.
Trasportano via Ella d'urhenza, lasciandomi in una sala d'aspetto fredda e asettica, con i neon bianchi che sfarfallano accentuando il mal di testa che si sta impossessando di me.
Cammino avanti e indietro, in preda al panico.
Il terrore di aver perso la donna della mia vita e la paura per Ella e la bambina.
Devo chiamare Viola, devo parlare con lei, ho bisogno di lei.
"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile".
Merda Viola! Dove sei? Che è successo?
Chiamo Sara nella speranza che abbia sentito Viola, ma ha il telefono spento.
Nel mentre squilla il telefono di Ella: è Paul.
Faccio un respiro profondo, mi faccio forza e rispondo.
«Amore mio. Com'è andata con quel coglione? Come stai? La mia bambina?» dice pimpante.
«Paul, ciao. Sono Sam... il coglione».
«Sam, che è successo? Dov'è Ella?» chiede preoccupato.
«Ella è... in sala operatoria. Ha avuto un distacco quasi totale della placenta. Siamo a Palermo, dovresti venire» dico tutto d'un fiato.
«Cosa? Come è stato possibile? Cosa le hai fatto?» lo sento ansimare «Arrivo, prendo il primo volo e cerco di arrivare il prima possibile. Non riuscirò prima di una ventina d'ore. Cazzo!» e sento sbattere qualcosa.
«Ti avviso appena so qualunque cosa, andrà tutto bene» dico piano.
«È tutta colpa tua Sam, è sempre colpa tua. Se qualcosa va storto ti riterrò direttamente responsabile» e chiude la comunicazione.
Resto di nuovo solo in questa stanza fredda. Mi appoggio al muro, e piano scivolo giù. Accasciandomi al suolo, abbandonando la testa tra le ginocchia e scoppio a piangere distrutto.
A notte inoltrata, quando ormai ho perso completamente la cognizione del tempo arriva Alberto.
«Samu, ei» dice chinandosi su di me e toccandomi una spalla.
«Ei» dico tirandomi su cercando di non crollare nuovamente.
«Hanno finito».
«Come stanno?» chiedo terrorizzato.
«Abbiamo dovuto far nascere la bambina, ora sono entrambe in terapia intensiva, abbiamo dovuto intubare sia Ella che la piccola, la prima aveva perso molto sangue, ma l'operazione è andata bene. Per quanto riguarda la piccola è prematura e non riesce a respirare da sola, quindi per adesso dobbiamo tenerla in incubatrice, ma non sembra aver riportato danni gravi, è bella forte per essere così piccina. È andata bene, sei stato bravo, siamo arrivati in tempo» dice abbracciandomi.
E così sollevato ricomincio a piangere disperato, abbracciato a questo cugino che è praticamente un estraneo.
«Devi riposare, Samu. Hai una faccia devastata» mi incalza Alberto.
«Non posso...» dico distrutto.
«È andata bene, puoi stare tranquillo. Non capisco questa tua reazione...» chiede dubbioso.
«Alberto è complicato. Non è la mia fidanzata, non lo è più...»
«Ah, ma tu... lei... non capisco» dice turbato.
«Ho bisogno di bere. Vieni con me?» chiedo.
Annuisce e usciamo dall'ospedale.
Mi risveglio, con un cerchio alla testa disumano, su una seggiolina stretta e dura della sala d'aspetto, con una guancia spiaccicata contro le mattonelle fredde.
Come sono arrivato qui?
Mi guardo riflesso nel vetro dell'accettazione e faccio paura.
Occhiaie scure e profonde solcano i miei occhi, le guance sembrano più scavate del solito e i capelli sono in disordine e sporchi.
Ho bisogno di una doccia, di una dormita e di Viola.
Esco nella mattina fresca, cercando di rimettere in ordine la giornata appena trascorsa.
Prendo l'Iphone riprovo a chiamare Viola, per l'ennesima volta.
"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile".
Cazzo! Urlo prendendo a calci un palo.
Porca troia che male!
Chiamo Sara. Nessuna risposta.
«Che cazzo è successo?» urlo frustrato.
Alberto mi raggiunge fuori con un caffè e un cornetto.
«Si sistemerà tutto» dice appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Ne dubito...» dico piano bevendo il caffè amaro che mi porto.
«Vuoi vedere la bambina?» mi chiede sorridendo.
Scuoto la testa in preda al panico.
«Le farebbe bene una visita, puoi toccarla piano e farle capire che non è da sola... farebbe bene anche a te».
«Non lo so... faccio paura in questo momento»
«Dai andiamo dentro» mi dice guidandomi.
Arrivo davanti alla terapia intensiva neonatale tremante come una foglia, cazzo.
Indosso il camice, i parascarpe, i guanti e Alberto mi accompagna davanti alla sua incubatrice. Lei è lì minuscola, con un sacco di tubicini collegati al suo corpicino rosa.
Un'ondata di panico mi assale di nuovo, starà bene? Starà soffrendo? Si sente sola?
Alberto piano apre lo sportellino laterale e mi fa segno di toccare la piccola.
«Non posso...» sussurro «la romperò... rompo tutto ciò che tocco... non posso rompere anche lei» sussurro in un soffio.
«No fidati, non succederà» mi dice sorridendo.
Così inspiro profondamente, allungo la mano tremante e accarezzo la sua minuscola manina.
Un'ondata di calore mi investe, e una lacrima riga il mio volto stanco.
«Andrà tutto bene piccola, te lo prometto» le sussurro mentre accarezzo il suo minuscolo corpicino.
Non so come sia possibile ma sento un legame con questa bambina, sarà il modo turbolento con cui è venuta al mondo, ma d'un tratto non mi sento più così solo come mi sono sempre sentito.
«Siamo arrivati in tempo Sam» mi dice dietro Alberto «Non ha avuto sofferenza, vedrai che tra qualche settimana starà benissimo e potrete portarla a casa».
«Non... non è mia figlia. Almeno non credo» dico nel panico.
«No? Avrei detto di sì» commenta stupito.
«Non lo so».
«Vuoi che facciamo un test del dna?»
«No, voglio prima che conosca almeno sua mamma, prima di sottoporla ad altri esami» dico mesto «Come sta Ella?»
«È stabile, ha perso molto sangue. È stata una brutta botto per lei. Il distacco, il cesareo di urgenza, ma confidiamo che tra qualche giorno anche lei si riprenda».
Rimango ad accarezzare quella minuscola bambina, perso nel suo visino minuscolo, fino a che l'infermiera non mi butta letteralmente fuori all'ora di pranzo.
Così, stranamente rinvigorito, esco nel piazzale del pronto soccorso per prendere una boccata d'aria. Non appena arriverà Paul tornerò a Favignana.
Mi appoggio al muro, rilasso i muscoli e abbandono la testa verso il petto.
Chiudo gli occhi e sospiro distrutto dalle ventiquattro ore più brutte della mia vita, con una domanda che rimbomba continuamente nella mia testa: che cazzo è successo perché Viola se ne andasse così?
In quel momento una furia bionda si scaglia su di me.
«Che cazzo le hai fatto?» urla Paul, tirandomi un cazzotto sotto il mento, facendomi schiantare la testa all'indietro contro il muro.
Barcollo, ci metto circa dieci secondi a recuperare leggermente la vista.
Cerco di colpirlo ma è come se le mani non recepissero in tempo i comandi del mio cervello.
Cado a terra, un calcio mi arriva all'addome, uno tra le costole, uno al viso e da lì... il buio. Silenzio.
Silenzio assoluto.
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