Capitolo 74

Zelda's p.o.v.

Manca poco a Natale. Quest'anno, tuttavia, non ne sono entusiasta come sempre. La guerra sovrasta la gioia che vorrei provare, e la storia del nuovo bambino sta nocendo alla salute di Bruce, che sta comunque provando a non darlo a vedere. Io credo che dovrebbe semplicemente affrontare la cosa, e non rintanarsi in se stesso come ha fatto fin'ora. Sta facendo colazione. È seduto davanti a me: io gli sto facendo compagnia sfogliando un giornale. Ci siamo svegliati presto, e lui aveva fame. Io non ho fame. Non ora, almeno. In realtà non mangio più dell'indispensabile: avendo cambiato così drasticamente le mie abitudini alimentari ora no riesco a mangiare molto. Mi sforzo, ma sento sempre di essere sazia, e allora mi arrabbio verso me stessa, perché magari sto mangiando qualcosa di buono e ne vorrei ancora, ma allo stesso tempo finirei per sentirmi male e finisco per distrarmi facendo qualcos'altro.
-Ho intenzione di telefonare a mio padre- dice Bruce.
-Bene. Che vuoi dirgli?- gli domando.
Alza le spalle.
-Non lo so- dice, e morde un biscotto.
-Forse potresti chiedergli se si è già sposato...- propongo.
-Forse si...anche se credo che si siano già sposati, lui e Veronika. Ultimamente ascolto la radio più spesso del solito, e sono convinto che mio padre abbia sempre più lavoro: continuano a ribadire che la Germania sta perdendo la guerra, e più il rischio aumenta più aumenta la mole di lavoro-
-In questo momento temo che il lavoro sia solo un peso per lui. Se davvero dovesse perdere la guerra cosa pensi che accadrebbe?-
-Ricorrerrebbe a un piano studiato per nascondere i nazisti in America Latina-
-Ah- commento.
-Cosa?-
-Niente, ma non sapevo come commentare- gli confesso, e ride. Uccidono milioni di persone senza motivo e hanno anche il coraggio di studiare un piano per salvarsi...Ah. Prende la mia mano tra la sua.
-Hai la mano piccola piccola- dice, sorridendo guardandola -Piccola piccola-
-È la tua mano che è esageratamente grande- gli dico, e sorride.
-Però sa fare tante cose, questa manina- afferma, e la ritraggo.
-Sei un maiale- gli dico, e ride.
-Non ridere!- gli dico, ma sorrido.
-Ti piace sentirti dire certe cose: accresce la tua vanità, ammettilo- dice, tornando a fare colazione.
-Voglio illudere me stessa di conservare ancora un po' del pudore che avevo da illibata-
-Ah, certo- risponde, e c'è sarcasmo nel suo tono di voce. Ride.
-E smettila di ridere!-
-No- risponde con tono beffardo. Faccio per allontanarmi, ma mi prende per il braccio e mi cinge in vita.
-La mattina sei sempre nervosa...non va bene- dice, e mi dà un bacio sulla guancia.
-Sei tu che sei insopportabile-
-Certo- risponde lui, sarcastico.
-Sai, giorni fa pensavo a una cosa che voglio sapere da sempre, e che tu puoi dirmi- gli confesso.
-Dimmi- dice, e posa la testa sulla mia spalla.
-Sai, mi sono sempre chiesta come, al campo, i soldati uccidono i prigionieri: non possono certo mettersi a sparare contro ognuno di loro...a quest'ora non avrebbero più munizioni- gli dico, a bassa voce. Non mi piace ripensarci, ma me lo sono sempre domandata. Lui abbassa lo sguardo.
-Non vorresti saperlo- dice soltanto, e torna a mangiare.
-Si, invece- gli dico, scuotendogli la spalla, -Dimmelo-
-Non vorresti saperlo- replica con tono duro, che non ammette altre suppliche. Sbuffo.
-Io non ti capisco davvero- gli dico.
-Meglio così- risponde lui, e non mi parla più.

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