Capitolo 46

Müller' s p.o.v.
Dopo aver camminato ore e ore a lavoro, badando alla sopravvivenza di gente di cui non so neanche il nome, sarebbe bello tornare a casa e rilassarsi...ma so che non sarà così.
Indugio davanti alla porta, chiedendomi se davvero voglio entrare e affrontare i problemi o lasciarli lì, oltre la soglia.
Faccio un respiro profondo e apro.
La porta alle mie spalle si richiude, provocando un insopportabile rumore.
-Ines, ci sei?- domando, in attesa di una risposta.
-Amos!- mi richiama Ines, uscendo dalla camera da letto in lacrime.
Sospiro. So già cosa vuole annunciarmi.
Abbasso la testa.
Si avvicina.
-Mi dispiace...- biascica lei, sulla mia spalla.
-No...non è colpa tua- rispondo, provando a nascondere la frustrazione.
-Mi dispiace Amos- ripete, piangendo sulla mia spalla.
Ines sta mettendo alla prova la mia capacità di autocontrollo. Delle lacrime scendono dai miei occhi.
-Cosa...cosa ha detto il dottore?- le domando.
Piange più forte. Non è un buon segno.
-Ha detto che...ha detto...- prova a dire.
-Non fa niente. Me lo dirai dopo- la interrompo, abbracciandola.
Comincia a piangere in maniera disperata, e non riesco a trattenere le lacrime difronte all'ennesima battaglia persa.
Un bambino...non chiediamo nient'altro. Non mi sembra una richiesta così assurda da supplicare al buon Dio.

-Ora ti senti meglio?- domando a Ines, porgendole una tazza di camomilla.
-Non andrà mai meglio- afferma lei, provando a bere la camomilla.
Mi siedo affianco a lei sul divano.
-Se ne hai voglia, ti va di dirmi cosa ha detto il dottore? Questa mattina per telefono non ti sei spiegata molto bene...-
Sospira.
-Ha detto che forse...ha detto che forse è il caso di smettere di provarci- confessa, tornando a piangere.
Ed ecco che anche il più piccolo barlume di speranza che nutrivo si spegne.
Fa male vedere l'unico grande sogno che hai andare in frantumi.
-Ma...perché?! Da cosa dipende?!- domando, con le lacrime agli occhi.
-Il dottore dice che può dipendere dallo stress, e che è piuttosto strano che non riesca a rimanere incinta, dato che né io né te abbiamo problemi fisici legati alla riproduzione- dice, in lacrime.
-Evidentemente c'è; altrimenti non mi capacito di come, in più di dieci anni, non siamo riusciti ad avere un bambino. Cambiamo medico: magari ascoltare pareri esterni ci farà bene...-
Ines posa la tazza di camomilla e si abbandona sul mio petto.
Sospira a occhi chiusi.
-Perché Dio ci fa questo?- domanda piangendo.
-C'è la guerra...si starà occupando d'altro-
-Amos io voglio un bambino! Non ne sto chiedendo una dozzina, ma uno! Non ne posso più di rincorrere questo sogno- dice, piangendo.
Non ne possiamo più: né io né lei riusciamo a sopportare questa incapacità di avere figli. Il fatto che non dipenda da problemi fisici non fa altro che farmi stare peggio.
Non voglio morire senza aver avuto un figlio da crescere; credo che io e Ines ce lo meritiamo, un bambino: siamo sempre stati brave persone.
-E se ne adottassimo uno?- propongo all'improvviso.
Smette di piangere e si allontana per guardarmi.
-Hai idea di quanto costi adottare un bambino? Ti sembra forse che abbiamo soldi da spendere?!-
-No, non ne abbiamo ma non serve che tu reagisca con tanta aggressività!-
C'è silenzio per alcuni istanti.
Non siamo mai stati ricchi, ma ho sempre fatto di tutto per offrire a Ines una vita più che dignitosa; con l'inizio della guerra, i guadagni sono cominciati a diminuire notevolmente, tanto che considero un miracolo aver ritrovato una stabilità economica, se pur precaria.
-Io...non volevo mettere in mezzo i soldi. Scusami- sussurra, abbracciandomi.
-Non è colpa tua- le sussurro all'orecchio.
-Usciamo- propone.
-Come?-
-Facciamo una passeggiata. Proviamo a distrarci-
Le sorrido.
-D'accordo- dico.
-Allora vado a prepararmi? Non ci metterò molto...-
-D'accordo, va' ma sbrigati- le rispondo, lasciandola alzare.
La vedo dirigersi in camera e poi in bagno.
Un'altra volta. L'ennesima risposta negativa. Più di dieci anni passati soffrendo questa incapacità, perché in altri modi non si può definire, e ancora no, no e no. Ancora dovremo piangere, ancora dovremo litigare tra di noi, ancora continueremo a sperare e a provare, e alla fine ne usciremo distrutti, sia io che Ines.
Più volte ho provato a parlare a Ines di adottare un bambino, ma tralasciando le problematiche economiche, che non sarebbero poche, non ne vuole sapere.
"Voglio un bambino mio e tuo, Amos. Un bambino che nasca da me e te, non da altri", queste sono state le sue parole in merito.
-Ho fatto- annuncia Ines, uscendo dal bagno sobriamente vestita.
Le sorrido appena.

-Dove vuoi andare?- le domando, mentre camminiamo per le vie più commerciali del paese.
-E se andassimo al mare? No ora ovviamente, ma in questi giorni- propone.
Sto per dirle che va bene, ma subito mi torna in mente il generale e la sua assurda richiesta.
-Non posso: il lavoro non me lo permette. Ti prometto che non appena avrò tempo andremo al mare, ma ora proprio non posso-
Il piccolo sorriso che aveva ritrovato si spegne.
Mi sento un mostro: sto trascurando Ines per delle persone che neanche conosco ma a cui devo salvaguardare la vita. Da non credere!
Ines non mi chiede mai nulla; non è una di quelle mogli capricciose. Adempie i suoi doveri di donna e moglie come meglio riesce, e Dio solo sa quanto vorrei poterla accontentare ora.
Non mi sento di parlarle del generale e di cosa mi ha chiesto di fare, ma una spiegazione mi sembra doveroso dargliela.
-Il fatto è che ultimamente ho molte cose da fare, molti documenti da sistemare...mi dispiace tanto-
-Ti ho detto che non fa niente. Lo capisco; d'altronde ho parlato senza riflettere: non ho messo in conto il fatto che non potessi- risponde lei.
Conosco Ines abbastanza bene da sapere che non è felice della mia risposta.
-Posso provare a chiedere un giorno libero...- dico.
-Davvero?- domanda entusiasta.
-Non ti assicuro nulla, ma posso provarci...-
-Oh, grazie!- dice, abbracciandomi.

-Hai freddo?- le domando, vedendola tremare.
-Possiamo tornare a casa? Sono stanca...- dice.
-Si, certo- le rispondo, circondando le sue spalle con il mio braccio.
Dopo essere usciti di casa, io e Ines abbiamo vagato senza meta per la città, che di sera è più viva che di giorno.
-A lavoro è successo qualcosa di nuovo?- domanda improvvisamente lei, con la testa rivolta a terra.
Degludisco. Cosa le dico ora?
-No, perché?- rispondo, provando a mascherare il terrore.
Non credo che se scoprisse cosa sto facendo si arrabbierebbe più di tanto, ma sapendo che potrei morire se lo venisse a sapere qualcuno all'infuori di me e il generale è meglio non correre rischi.
-Curiosità...che ore sono?- domanda.
-Quasi mezzanotte- rispondo, controllando l'orologio.
-Sono stanca, ma non ho nemmeno voglia di tornare a casa-
-Cosa vorresti fare in pieno Ottobre, a quasi mezzanotte?- domando, provando a dare un po' di allegria al tono della voce.
-Non lo so...ma ho dannatamente sonno- risponde, nascondendo uno sbadiglio.
-Ti capisco. Ho sonno anche io-

-Hai freddo?- mi domanda Ines, in piedi davanti a me.
-No. Vieni a letto, su- la incito.
Si sistema affianco a me.
-Avvicinati. Cos'hai, paura?-
-No, certo che no. Ma se devo essere sincera non ti stavo neanche ascoltando- confessa, sistemando le coperte.
-Ti va se facciamo l'amore? Non per avere un bambino, tanto per farlo...- biascico a bassa voce. Non sono una persona che lo propone questo genere di cose: lo lascio intendere; però...non so, stasera volevo chiederglielo.
Fa cenno di si con la testa, e si sdraia.
Mi metto sopra di lei e comincio a lasciarle baci sul collo e sulle labbra.
-Ti amo Amos- sussurra a bassa voce.
Non me lo dice mai...
-Anche io, più di quanto immagini- bisbiglio, spegnendo la luce.

Non so se mai riusciremo ad avere un bambino o ad avere abbastanza soldi per adottarne uno, ma prometto che farò tutto quello che posso per garantire a Ines la vita che merita e che vuole, con o senza figli. Non merita di stare male.

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