Capitolo 36
-Fermiamoci un momento- mi supplica Zelda, toccandomi la spalla con la mano. Inutile dire che a quel contatto trasalisco.
Negli ultimi giorni Zelda si è notevolmente avvicinata, e non intendo solo a livello di relazione, ma a livello fisico. Per farmi capire meglio, fino a una settimana fa non mi avrebbe sfiorato neanche per tutto l'oro del mondo, invece ora è qui affianco a me e ha persino una mano sul mio braccio. Mi piace pensare che quella mano sia lì perché vuole toccarmi anziché per farmi fermare.
-Certo- le rispondo.
-Sai, ho terribilmente voglia di dormire- dice, sbadigliando.
-Ma sono le quattro del pomeriggio!- le faccio notare.
-Dormivo sempre alle quattro di pomeriggio- afferma.
-E i compiti? Chi te li faceva?- domando, ridendo.
-Oh, li facevo: bastava organizzarsi, sai? A te chi li faceva? Il maggiordomo?- domanda divertita.
-Come osi insinuare una cosa del genere!- dico, fingendomi offeso.
-Scherzavo- dice, credendo che mi sia realmente offeso.
-Lo so- la rassicuro.
-Sai, poco fa ho trovato un pezzo di legno- dice.
-Che novità!- rispondo, ironicamente.
-Magari con quel tuo coltellino svizzero potresti riuscire a dargli la forma di...non so, un bicchiere. Potrei provarci io, se mi dessi quel coltellino- dice.
-Non è un lavoro da donne. Dammi questo pezzo di legno-
Si guarda intorno.
-Lì- indica un pezzo di legno affianco a un albero.
La guardo. Lei mi guarda.
-Non vorrai far scomodare una signora?- dice in tono adulatorio, sbattendo le ciglia.
Rido.
-Non sia mai- affermo alzandomi.
-Allora, a che punto sei?- domanda Zelda, facendomi per poco tagliare il dito mentre provo a modellare questo dannato arbusto.
-Non so- rispondo.
-Lo sai fare almeno?- domanda ridacchiando.
Com'è bello sentirla ridere. Vorrei farla ridere più spesso, ma non sono una persona molto divertente. O meglio: so divertirmi, ma non so far divertire gli altri.
-Lo scopriremo solo se riuscirò a finirlo- dico.
-Mi piacerebbe provare, ma non sono molto brava nei lavori manuali- afferma.
-Ah si? E come farai quando sarai sposata e dovrai cucinare, stirare, lavare le camicie sporche di tuo marito, pulire la casa...? Vuoi venir meno ai tuoi doveri?-
-Queste cose le so fare e anche bene. Mi riferisco a lavori manuali come questi- dice, indicando il mio coltellino svizzero e il pezzo di legno.
-Come mai i tuoi genitori hanno voluto chiamarti Zelda? Si insomma, nome bellissimo, ma non molto ebreo- domando.
Scrolla le spalle.
-Mio padre voleva chiamarmi in tutt'altro modo, ma da quanto ho capito nel corso degli anni mia madre ha voluto darmi il nome che un suo amico, non so chi, avrebbe voluto dare a sua figlia. Non so perché, ma da quando sono nata, ogni volta che chiedo il perché abbiano scelto questo nome per me, tra i miei genitori aleggia sempre una certa tensione. Sono anni che voglio capire cosa sia, ma ogni volta che lo chiedevo uno dei due si arrabbiava e non rispondeva. Una volta però, riuscii a udire una loro conversazione, capendo che questo amico di mia madre mi considerava un po' sua figlia, perché riguardavo mia madre o una cosa simile. Non ricordo molto bene, ero piccola- dice.
-Non credevo ci fosse tanto dietro un nome- affermo.
-E invece... Passando a te, perché hanno voluto darti un nome così poco tedesco?-
Nell'esatto istante in cui apro bocca un piccolo ramo mi cade in testa.
Porto le mani alla testa lasciando cadere ciò che avevo in mano.
Vedo Zelda trattenere le risate, e sono felice di averla fatta ridere.
-Tutto bene?- domanda, con la sua bellissima voce, mentre la sua bellissima mano mi sfiora la testa.
-Ora si, prima...no- dico.
-Stavi per piangere dal dolore- dice, ridendo.
-Non è vero- rispondo divertito.
È vero.
-Si che è vero!- dice.
-No!-
-Si!-
-No!-
-Si!-
Rido. E ride anche lei.
-Sai, mi stavi facendo talmente tanta pena che stavo per abbracciarti- dice.
È seduta affianco a me, a qualche centimetro di distanza, eppure mi sembra di non averla mai avuta più vicina.
-Puoi farlo se vuoi...a me fa piacere- dico piano, sperando di non dovermi pentire di quanto ho detto.
Mi squadra velocemente, per poi abbracciarmi piano, ma per davvero!
Non ci metto molto a stringerla tra le mie braccia. Il suo corpo...il suo bellissimo corpo, che un giorno spero con tutto il cuore di poter far mio, mi sta stringendo. E lei mi sta abbracciando. E io credo che gioia più grande non abbia mai toccato il mio cuore.
Poso la testa sulla sua spalla, affondando appena nell'incavo del suo collo.
Il suo profumo...
Sono giorni che non ci laviamo, eppure lei conserva ancora quello che credo sia il suo profumo fuori da questo inferno.
Chiudo gli occhi, e tutto ciò non mi sembra vero.
Posa una mano sulla mia testa, e affonda la sua mano nei miei capelli, e fa qualcosa di simile a una carezza continua.
È un gesto talmente affettuoso nei miei confronti...
Mi sento un uomo orribile ricordando il male che le ho fatto: in faccia, come su corpo, sono ancora evidenti i segni della persona che volevo farle credere di essere.
Mi si offusca la vista: non ho intenzione di piangere davanti a lei, non voglio mostrarmi debole. Ma non ce la faccio più a sopportare tutto questo: le litigate con mio padre, Auschwitz, il freddo, la fame, il non riconoscere più il mio corpo, le cicatrici...non riesco a far finta di niente; non sono come Zelda: non riesco a vedere il bello in tutto, a ignorare tutto quello da cui stiamo scappando. Non ci riesco. Io non sono come lei. Io sono un codardo, qualcuno che scappa dai problemi, un ricco e viziato figlio di papà che ha sempre avuto tutto ciò che voleva, e che da piccolo non è mai riuscito a farsi molti amici a causa della sua superbia. Zelda invece...beh, lei è eccezionale: lei ha avuto il coraggio di affrontarmi, quella mattina, è riuscita, non ho idea di come, a scappare da Auschwitz, a perdonarmi, a volermi conoscere, ad avvicinarsi e a creare una sorta di legame. Io invece non ho fatto nulla di ciò; non ho neanche lontanamente il coraggio che ha lei.
-Bruce ma...stai piangendo?- sussurra.
Provo ad alzarmi per allontanarmi: non voglio farmi vedere da lei così.
Mi trattiene e chiede nuovamente se sto piangendo, tenendo la mia testa tra le sue mani e costringendomi a guardarla.
-Perché?- bisbiglia, asciugandomi le lacrime con i pollici.
Abbasso lo sguardo.
In questo momento vorrei solo baciarla; facendolo, dimenticherei tutto il resto.
-È colpa mia?- domanda, allarmata.
Scuoto la testa sforzandomi di sorridere.
-No. No, sta tranquilla. Tu sei l'unica cosa che mi fa stare bene...- dico, degludendo.
-Allora perché piangi?- domanda, perplessa.
Scuoto la testa.
-Se me lo dici, farò qualcosa per te- dice.
-Non voglio cos-
-Avanti- mi interrompe.
Sospiro guardandomi intorno.
-Non lo so neanche io...tutto questo, mio padre; ho fame e sono stanco. Devo chiederti anche scusa, perché io sono qui a lamentarmi mentre tu hai vissuto cose che neanche immagino e non ti sei mai lamentata-
Affondo nuovamente la testa tra l'incavo del suo collo, e lei mi stringe più forte, accarezzandomi la testa.
Sospira.
-Non è facile far finta di nulla, non lo è per niente.
Quando ho deciso di scappare da Auschwitz, mi sono chiesta più volte se valesse la pena salvare la mia vita oppure no.
Alla fine, ho pensato, mal che vada ci avrò provato; e morirò in pochi secondi anziché dopo una lunga, estenuante, agonia. Lo penso tutt'ora, ma ora ci sei tu a proteggermi.
La verità è che per fare quello che ho fatto io devi poter contare su qualcuno; e io ho potuto contare su me stessa.
Mi sono resa conto di aver finito le lacrime, poiché ne ho versate troppe per persone indegne di esse.
Per te piangerei, ma per il resto del mondo non più.
Così devi fare anche tu. Bisogna rassegnarsi alla possibilità di morire da un momento all'altro.
E se quella possibilità dovesse rivelarsi vera...beh, dovrai essere pronto. Dovremo-dice.
Parla piano, in tono malinconico.
-Zelda...non lasciarmi solo, non abbandonarmi anche tu, ti prego- biascico tra le lacrime.
-Non lo farei mai, lo sai bene- dice.
-Voglio sentirtelo ripetere-
-Non ti lascerò solo, non ti abbandonerò. Io non ho potuto contare su nessuno, ma tu puoi contare su di me per quel che vale- dice, costringendomi a guardarla.
-Oh, vale. Eccome se vale, Zelda! Dio solo sa quanto sono innamorato di te e sentirti di- mi interrompo, cosciente di aver appena detto qualcosa che non dovevo dire.
Lei già sa che sono innamorato di lei. In realtà sapeva che mi piaceva, non che fossi innamorato di lei, motivo per cui tutto questo finirà in tragedia per i miei sentimenti.
Dalla sua espressione, percepisco che Zelda è piacevolmente sorpresa, credo.
-Cosa stavi dicendo?- domanda, sorridendo.
La osservo scettico e perplesso. Sono anche confuso: che ora mi voglia?
-N...niente- rispondo, più a me che a lei.
-Sai Bruce, in questi giorni sei stato molto gentile con me e la mia opinione nei tuoi confronti è cambiata. Non credere che non abbia apprezzato i tuoi bei gesti o le tue belle parole, ma soprattutto che non le abbia notate, perché è così e sono state piacevolmente belle. Se ciò che non vuoi dire ora vorrai dirlo in un secondo momento a me va bene, ma sappi che mi piacerebbe ascoltare- dice, facendomi intendere, credo, che se dovessi nuovamente dichiararmi avrei un riscontro positivo.
Abbasso la testa.
-Ehi- dice, attirando la mia attenzione.
-Va bene- dico, degludendo.
Mi stringe forte a se, e io non perdo tempo a farmi consolare tra le sue braccia. Ho paura di stringerla troppo forte, perciò allento la presa, ma saperla così vicina è la cosa più bella del mondo.
-Grazie- sussurro.
Credevo che Zelda non avrebbe sorpassato il mio orgoglio, ma è stato così, e a me va bene.
Credo di amarla.
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Hello!
Il prossimo capitolo sarà molto, molto particolare, vi invito quindi a leggerlo.
Nel frattempo, commentate e ditemi cosa pensate di questo capitolo:)
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