Capitolo 18
Zelda ' s p.o.v.
Un bagno era quello che ci voleva.
Stamattina mi sono svegliata molto presto, e dato che Bruce dormiva ancora ne ho approfittato per lavarmi come meglio potevo.
L'acqua era piuttosto fredda, ma una volta abituata a quella temperatura è stato davvero piacevole.
Grazie ad un colpo di genio sono riuscita a lavare le mie mutande, che indossavo da quando sono arrivata ad Auschwitz, ed erano quindi sporche.
Il colpo di genio consiste nell'essere riuscita a piantare un bastone a terra dove poggiarle per farle asciugare. Si sono asciugate in fretta. Lo stesso per lo straccio che indosso.
Dopo essere uscita dall'acqua mi sono rivestita e mi sono messa al sole. Sono quasi del tutto asciutta ora, se non fosse per i capelli che sono ancora bagnati.
Ho fame. Molta fame. Diciamo che un trifoglio non è un pasto eccezionalmente buono. Ho pensato che potrei darmi alla pesca: basterà affilare il bastone che ho piantato a terra e avere pazienza. Ne ho visti di pesci, prenderne uno non sarà un'impresa. L'impresa sarà affilare il bastone. Forse Bruce può aiutarmi. Deve aiutarmi. E poi aveva detto che mi avrebbe insegnato a cacciare, ma dubito che sappia come si fa.
Non si sveglia, così gli dò una pacca sulla spalla, più forte della precedente. Sussulta. Poi mi vede e arrossisce.
Ma che problemi ha?
Abbassa lo sguardo e sbadiglia.
-Ho fame- affermo.
-E mi hai svegliato per questo? Perché hai fame? Non sei l'unica, eppure io non ti sveglio per fartelo sapere-
-Ci credo! Ti svegli sempre due o tre ore dopo di me!-
Fa per ribattere, ma poi distoglie lo sguardo e sta zitto.
-Pensavo che potremmo pescare...-
-Pescare?- torna a guardarmi.
-Si, pescare. Pensavo che potremmo affilare in qualche modo la punta di un bastone che ho trovato e usarla per pescare-
Sospira.
-Fammi vedere questo bastone- dice.
Sorrido.
-Si-
-Va bene?- gli domando mentre "esamina" il bastone.
-Che ne so?- fa spazientito.
-Che vuol dire "che ne so"?-
- Vuol dire che non sono un pescatore. Penso vada bene ma non ne sono sicuro. Dico io, per chi mi hai preso?-
-Per un essere "di razza superiore"-
Sbuffa.
-Tiri fuori questa storia solo quando ti fa comodo-
-Aspetta un attimo- dice.
Bagna l'estremità del bastone e torna a sedersi.
-Perché?- domando.
-Reggilo- me lo passa e si sfila quasi del tutto lo stivale destro. Lo osservo scettica.
Tira un po' su i pantaloni, all'altezza dell'estremità del calzino. Abbassa quest' ultimo ed estrae da esso un coltellino svizzero. Un coltellino svizzero! Perché lo teneva lì? E se fosse stato destinato a me? Se lo tenesse lì per uccidermi?
-Hai un coltellino svizzero!-
-Ehm...si- dice come fosse un'ovvietà.
-P - Perché non me lo hai detto?-
-A cosa ti sarebbe servito?-
-Be'...- a cosa mi sarebbe servito?
-Be' cosa?-
-Avrei tagliato meglio i trifogli!- perché dico queste assurdità?
Bruce scoppia a ridere. Una risata derisoria. Mi sento stupida.
-Certo...certo-
-Non parlarmi come se avessi cinque anni!- perché gli urlo contro come una bambina di cinque anni?
-Oh, scusa. La prossima volta ti dò una caramella per farti stare buona- dice a mo' di presa in giro.
-Ce l'hai davvero?- domando con forse troppo entusiasmo.
-No- alza gli occhi al cielo.
-Passami il bastone- mi ordina.
-Come si dice?- mi aspetto un "per favore".
Sbuffa.
-Per favore- fa con voce lamentosa. Mi sarei aspettata come minimo quindici minuti di protesta.
-Tieni- glielo passo e le nostre mani si sfiorano. Un brivido sale lungo la mia schiena. Lui sussulta appena, senza darlo a vedere.
A disagio, prendo uno dei tanti trifogli che ho raccolto e...Lo mangio.
-Che ore sono?- domando dopo qualche minuto.
-Non lo so- borbotta, continuando ad affilare la punta del bastone con il suo coltellino svizzero; senza alzare la testa.
Sospiro: deve sempre rendere tutto complicato.
-Di grazia, potresti vedere che ore sono?- provo a dire trattenendo la mia irritazione.
Mi guarda, e con l'evidente intenzione di accrescere la mia irritazione dice: -No- segue un sorriso beffardo e la ripresa del suo lavoro.
Sbuffo.
-Senti, non credere che ti parli perché mi stai simpatica o chissà cosa, ma voglio saperlo: come sei scappata?- domanda all'improvviso.
Questa domanda mi spiazza: dovrei dirglielo?
-Perché ti interessa saperlo? -
-Perché non mi capacito che tu sia riuscita a scappare. Come hai fatto?-
-Non so se ho voglia di dirtelo- affermo senza riflettere.
-In effetti non so mantenere segreti. Ma dimmelo comunque, tanto a chi potrei dirlo?- dice.
"A tuo padre" sussurra la mia coscienza.
Lo so cosa sta facendo: sta cercando di fare il gentile come meglio può per farsi dire come sono scappata, così poi correrà da suo padre a dirglielo.
-Non ho mai rivelato i miei segreti a nessuno, e tu non sarai di certo il primo- confesso, sperando che non insista.
-Si certo, al massimo ai paura del buio e non lo hai detto a nessuno- afferma sghignazzando.
-Non ci trovo nulla di male nell'avere paura del buio- affermo a disagio.
-Quindi tu hai paura del buio?- domanda soddisfatto.
-Si, e non me ne vergogno- affermo.
-Dovresti...-
-Parli tu che hai paura di tuo padre!- dico la prima cosa che mi viene in mente.
Sospira. Poi riprende ad affilare il bastone.
È vero? Ha paura di suo padre?
-Scusa- dico posando una mano sulla sua spalla. Non so perché l'ho fatto, però mi sembrava un gesto consono alla situazione.
A quel contatto sobbalza e si ferma. Vedo la sua incertezza nello sguardo.
"Devo ucciderla o devo lasciarla stare?" starà pensando.
Diventa rosso in viso. Ma cos'ha? Ha fatto così anche prima...
Boccheggia, in cerca di qualcosa da dire.
È forse la prima volta che lo vedo così esitante. Guarda a terra e degludisce.
-Che hai? Capisco che rifiuti qualsiasi contatto fisico con me, e mi sta bene, credimi, però così mi sembra esagerato- provo a...sdrammatizzare.
Con un movimento della spalla si toglie la mia mano di dosso, non lo fa per cattiveria, ma per imbarazzo.
-Come vuoi- dico -Scommetto che sei uno di quei ragazzi che si vanta tanto di tutte le ragazze che conquista, ma poi, in realtà, non ne guarda neanche una- dico sghignazzando.
-Senti Bruce, lo so che...Le circostanza fanno sì che io e te...be'...dobbiamo odiarci, ma non deve essere per forza così. Qui nessuno ti vede: se mi parlassi senza urlarmi contro mi farebbe piacere. Saresti anche più rilassato tu. È inutile che ti ostini tanto a sembrare il bravo tedesco: lo sei-
-No che non lo sono. Sto parlando, seduto affianco a te. Avrei dovuto ucciderti quando ne avevo l'opportunità. Mi sarei risparmiato questa situazione di merda!-
-Magari non è una brutta situazione: pensaci bene: stiamo imparando a sopravvivere nel bosco. Magari ci tornerà utile- dico ridendo.
-Quando mi sarà utile una cosa del genere?- domanda con superiorità.
-Potresti insegnarlo ai tuoi figli, un giorno. Io non vivrò abbastanza tempo per averli: mi ucciderai o mi uccideranno prima-
-Non dire così- dice con voce dura.
Sono stupita da questa risposta.
-E come o cosa dovrei dire?-
-Non lo so, ma è deprimente sentire una ragazza dire che non vivrà abbastanza per avere figli. Nel senso che se un uomo dice di non volere figli non mi fa alcun effetto. Ma detto da una ragazza...È triste- dice tornando ad affilare il bastone.
Rifletto alcuni istanti su ciò che ha detto. Non mi aspettavo questa confessione.
-Tu li vuoi, dei figli?-
-Si- risponde come fosse un'ovvietà.
-Quanti ne vorresti avere?-
-Mi spieghi che cazzo tu frega?- sbotta.
Mi rabbuio.
-Ecco. Ci risiamo: non appena siamo sul punto di fare una conversazione torni a essere il solito scorbutico. Tutto perché hai paura di lasciarti andare ad una conversazione!- sbotto.
Sbuffa e si volta verso di me.
-Si, voglio dei figli! Ne voglio cinque! E saranno tutti figli di due buoni tedeschi!- mi urla contro.
-Non volevo costringerti a dirlo- bisbiglio.
-E no eh! Tu volevi che io ti rispondessi! E ormai ti conosco abbastanza bene da sapere che non mi avresti lasciato un attimo di tregua se non ti avessi risposto!- dice per poi tornare al suo lavoro.
Ci sono alcuni istanti di silenzio.
-Hai ragione, probabilmente avrei insistito- dico a bassa voce ridacchiando.
Non batte ciglio.
-Tu non mi chiedi quanti figli voglio avere?- domando.
-Non me ne frega un cazzo di quanti figli vuoi avere- afferma.
-Sai che anche io ne voglio cinque? Bella coincidenza! Vorrei fossero due maschi e tre femmine, o forse tre maschi e due femmine! Ancora non mi decido. Saranno belli come il papà, che sarà un uomo dolce e affettuoso, e mi tratterà come se fossi una principessa! Giocherà tanto con i nostri figli e sarà sempre presente. Sarà un uomo rispettabile e ammirato, e farà continuamente regali alla sua famiglia. Avrà un buon lavoro e sarà molto diligente. Quando faremo l'amore, mi sussurrerà continuamente "Ti amo" , e io lo sussurrerò a lui. Mi abbraccierà anche quando sarò completamente nuda, perché mi dirà che ama vedermi in quel modo. Desidererà il mio corpo e io desidererò il suo a tal punto da non poter più vivere senza fare l'amore due, o anche tre, volte al giorno. I nostri figli cresceranno in un ambiente felice: in una grande casa con un grandissimo giardino. Avranno tutto ciò di cui hanno bisogno dei bambini per crescere felici, e ogni sera pregherò perché ciascuno di loro possa avere una vita felice-
Detto questo, passano alcuni istanti prima che Bruce dica qualcosa.
-Sai che non accadrà nulla di ciò che hai detto, vero?-
-Si invece, andrà così!-
-Chi mai ti potrebbe desiderarti a tal punto da voler fare l'amore con te tre volte al giorno? Basta guardarti per vomitare...- Lo dice come se mi avesse fatto un complimento.
-Parli così solo perché sono ebrea- ho la voce rotta, e le lacrime vogliono uscire.
-No, parlo così perché è questa la verità! Apri gli occhi: nessuno si innamorerà di te, non ti sposerai e non avrai neanche un figlio. Tuo marito non desidererà mai te ma il tuo corpo. Morirai sola!- dice guardandomi negli occhi.
Comincio a far scendere le lacrime, incurante del fatto che mi sta guardando.
-Ma perché adesso piangi? Non lo capisci che ciò che vuoi è irrealizzabile?- domanda con tono lamentoso e superficiale.
-Ma perché devi essere così cattivo?- domando singhozzando.
-Non sono cattivo, sono realista- afferma.
-No, sei solo cattivo!-
-Pensala come vuoi. Ma d'altronde, chi mai potrebbe volerti?- domanda divertito.
La mia autostima è a pezzi, grazie a lui. L'ultima cosa che ha detto poi...È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Improvvisamente il mio dolore diventa rabbia, e si sà, quando si è arrabbiati non si ragiona lucidamente.
Gli dò una forte spinta, che lo sbilancia a terra. Mi guarda con espressione interrogativa.
-Non provare a dire niente: te lo meriti!- gli urlo contro mentre torna a sedere.
-Probabilmente- afferma.
Sono spiazzata da questa risposta: qualche giorno fa mi avrebbe preso a pugni per aver detto una cosa del genere. In un certo senso sono contenta di questa risposta.
Torna al suo lavoro, e io a mangiare trifogli.
-Domani camminiamo: mi ai rallentato troppo- affermo con tono duro.
-Come vuoi, stronza- dice senza battere ciglio.
Lo osservo: perché ha detto così?
Si accorge che lo sto osservando con sguardo interrogativo.
-Non provare a guardarmi così! Ringrazia solamente che non ti abbia presa a pugni! Almeno questo concedimelo!- dice per poi tornare ad affilare.
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