Capitolo 13
-Stai bene così?-
-Si-
-Non ti fa male niente?-
-No-
-Sicuro?-
-Smettila! Ho detto che sto bene!-
-Non puoi parlarmi così, non dopo averti anche aiutato!-
Non dice niente, resta lì, poggiato all'albero. Mi siedo affianco a lui, e il suo sguardo trasuda stupore (ammesso che non abbia interpretato male la sua espressione: magari è disgustato, e da lui me lo aspetto).
-Perché fai così?-
-Così come?- domanda irritato.
-Perché non hai mai una buona parola per me? Io ti sto aiutando, mi sto preocupando per te e tu mi tratti così...-
-Così come? Ti tratto come dovresti essere trattata. Sei solo un'ebrea! Ricordatelo.- sputa acido. Sospiro.
-E togliti da qui, mi dai sui nervi-.
Scuoto la testa, orami cosciente del motivo che detta il suo comportamento.
-Io lo so perché fai così-
Si volta senza capire.
-Tu non sai niente di me! Chiaro?-
-Sò come ti chiami, e sò che tuo padre è un ufficiale- volevo tanto aggiungere l'aggettivo "puttaniere" per descrivere suo padre, ma ho pensato che non mi convenisse.
-Questo non vuol dire niente, e ora lasciami stare schifosa di un'ebrea!- urla.
Non mi contengo più: gli dò un sonoro schiaffo, simile a quelli che mi venivano dati da bambina quando disubbidivo ai miei genitori o ero maleducata, e io disubbidivo sempre ai miei genitori...diciamo pure che mi hanno tirata su a suon di schiaffi, ma non posso certo dire che erano cattivi genitori: non mi hanno mai fatto mancare nulla.
Lentamente si volta verso di me, con sguardo fuoribondo.
-Non farlo mai più. Se ne avessi le forze, credimi, ti pesterei a sangue-
-Non ne dubito-
-Smettila!-
-Di fare cosa?- domando innocente.
-Di provocarmi! Dio solo sa quanto mi dai sui nervi-
-Io? Darti sui nervi? Ma se sono la persona più simpatica che conosci!- affermo con aria di sfida. Se il mio sguardo potesse uccidere, ora Bruce sarebbe morto.
Sospira snervanto. Nel mentre, un forte bisogno di mangiare si fa spazio nel mio stomaco. Vado a prendere quel trifoglio che avevo colto poco prima di "medicare" Bruce. Mi fa strano chiamarlo per nome, non so se mi ci abituerò mai.
-Come...Come faccio a...A...mangiarlo?- Domando tornado a sedermi vicino a lui, mantenendo comunque una minima, ma essenziale, distanza.
Non mi risponde.
-Che fai ora? Non mi rispondi?- Non risponde, continua a tenere la testa china sulla terra.
-Comportamento molto maturo, oserei dire- affermo guardandolo.
-Cos'è? Hai fatto voto di silenzio?- sarcastica in quelle parole. Poi però rifletto un attimo: è se non fosse un male, il fatto che non stia parlando?
-Sai che ti dico: ok, non parlare. Sarà bello fare qualche monologo mentre mi ascolti, ammesso che tu mi ascolti, ma lo farai: dopo un po' ti annoierai di sicuro senza poter parlare, ma in questo caso ascoltare, qualcuno. E poi sono una persona estremamente estroversa, sai? Sono simpatica, ho...avevo, anzi, ho ancora tanti- mi interrompo per qualche istante, prendendo coscienza del fatto che probabilmente non rivedrò mai più i miei amici.
-Amici- sibilo. Gli amici. I miei amici. Quelli che ci sono sempre stati per me nel momento del bisogno, e che ora stanno lottando tra la vita e la morte...là, dove la morte aleggia padrona, dove la disperazione entra nelle anime e non ne esce più. Là, quel posto...quell'inferno. Sono "felice" (per quanto lo si possa essere nella mia situazione) di essere riuscita a scappare prima che la disperazione diventasse parte di me. Al suo posto però, ora c'è soltanto un gran senso di vuoto, un senso di disperazione silenziosa che mi tormenta, e che la notte non mi lascia riposare. Ormai però ci sono abituata, e per consolazione mi ripeto che se morirò accadrà dignitosamente, e soprattutto non per mano dei tedeschi.
Avvicino il trifoglio alla mia bocca, che si contorce in una smorfia schifata. Non credo sia il momento di fare la schizzinosa. Chiudo gli occhi e...mordo una foglia. La tengo in bocca per qualche istante, troppa codardia mi impedisce di "masticare" (per quanto una foglia di possa masticare) o ingerire la foglia. Mi fa schifo, non ci posso fare niente; ma mi devo accontentare se voglio vivere. Con una lentezza che definirei estenuante mi decido: con moooolta calma mordo questa foglia, aprendo gli occhi. Non so definire il suo sapore: ha un retrogusto di terra ed è amarognola, però non è immangiabile. Continuo a masticare riducendo la foglia in piccoli frammenti, in modo tale da poterla ingerire senza il rischio di soffocare; perché dopo quel che ho fatto per arrivare fin qui, mi sembra davvero ridicolo morire per mano di una foglia (di un "petalo" (se si può definire così) di un trifoglio).
Ingerisco e il mio stomaco brontola, ma perché finalmente mangio qualcosa di diverso rispetto al pane secco. Se solo ora avessi dell'acqua...non potrei chiedere di meglio, davvero.
Così come il primo, anche il secondo è il terzo dei "petali" finiscono nel mio stomaco. Avendo ancora fame, né colgo altri, lì dove avevo colto il primo, e "mangio" anche quelli. Mai in vita mia avevo pensato che mi sarei ridotta così, e invece...La vita è proprio piena di sorprese!
Senza farmi notare provo a vedere l'ora dall'orologio di...Bruce. Non mi abituerò mai al suo nome.
Sono le sette e mezzo, bene: è quasi sera, e sono davvero stanca. Mi chiedo se Bruce sia ancora cosciente, dato che non ha proferito parola tutto il giorno.
-Bruce...stai...Bene? È tutto il giorno che non parli...Ma non fraintendermi: la cosa non mi dispiace affatto, sappilo-
Si volta piano e sfoggia uno dei suoi sorrisi più falsi, per poi voltarsi nuovamente.
-Ok- affermo capendo che non simpatizzerà con me.
Da quella cosa che non si può definire "conversazione" con Bruce, non ho più detto niente: sono rimasta lì, seduta a debita distanza da lui, a riflettere, a ricordare momenti d'infanzia, a riflettere sulla vita, a fare teorie, a ricordare le mie letture...facendo niente, insomma.
-Hai mai letto "Cime Tempestose"?- domando avvolta nei miei pensieri, ma con un velo di curiosità.
Nessuna risposta.
-È un bel libro, sai? Nel caso non l'avessi letto ti riassumo in breve di cosa parla: ci sono questi due, che si chiamano Catherine e Heatcliff; praticamente sono innamorati l'uno dell'altra, e la storia ruota intorno al loro tormentato amore. In effetti il loro è proprio un amore strano: cioè Catherine, per quanto bella sia, è una tutta viziata. Però è simpatica, quando vuole...Poi c'è Heatcliff, è un po' stronzo, ma non con Catherine: con gli altri; sopratutto dopo il comportamento che ha avuto con Isabella, ma vabbè: parer mio. Leggilo quando ti capita, è bello; che poi mi dirai qual è il tuo personaggio preferito; il mio è il signor Loockwood, nonostante nella storia sia presente davvero poco. Non so perché, però mi è simpatico: ha quel non so che, che me lo rende perfetto. Ecco: io uno così me lo sposerei; Loockwood è educato, ricco e di bella presenza, l'uomo perfetto. Peccato che non esista...- Non si volta nemmeno, però sono sicura che sta ascoltando.
-Tu che bambino eri?- ecco che parte la me che ha voglia di parlare senza neanche sapere di cosa -nel senso: io ero una tutta vivace, e lo sono tutt'ora. Ma tu com'eri? Eri timido, estroverso, introverso, di poche parole?...-
Perché devo ridurmi a fare discorsi del genere? Il bisogno di socializzare sta prendendo il sopravvento.
-Dato che non rispondi povero ad indovinare: allora...Secondo me eri uno timido, di poche parole e viziato allo schifo, giusto?-
Nessuna risposta.
-Interpreterò il tuo silenzio come un si; del resto, se fossi realmente timido non affermaresti la tua timidezza, o la tua introversione nei confronti del mondo. In effetti è un po' strano considerarti uno timido dopo il modo in cui ti sei comportato con me, ma credo che la sicurezza ti venga conferita dalla divisa che indossi...che indossavi. Sai una cosa mezza psicologica? Nel senso che magari la divisa ti fa sentire più...Più potente; ma per poter affermare una cosa così dovrei sapere se per te tuo padre è un modello d'uomo a cui vorresti somigliare, perché se così fosse magari l'indossare la divisa ti fa sentire più simile a lui.
Però ora sono stanca, ho voglia di dormire. Tu però ragiona su ciò che ti ho detto. Buonanotte.- e così, dopo essermi sistemata, mi addormento.
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