Capitolo 12

-Stai...stai meglio?- domando a...Lui. Dopo averlo bendato siamo rimasti per un indecifrabile lasso di tempo in silenzio, lasciando che i nostri doloranti respiri riempissero l'aria.
Udendo la mia domanda apre gli occhi e cerca il mio sguardo; non appena lo trova mi osserva, volendo dire qualcosa che non esce dalla sua bocca. Accenno un sorriso, che cessa di esistere non appena notandolo lui si volta dall'altra parte. Comincio a pensare che non riuscirò mai ad entrare nelle sue grazie.
-A...aiutami ad alzarmi- sibila.
-Ok- rispondo a bassa voce. -Come dovrei fare a...spostarti?-
-Aiutami a mettermi a sedere-
-Ok ehm...Adesso provo ad alzarti la schiena, se...Se ti fa male dimmelo che mi fermo, ok?-
-Si- risponde senza guardarmi. Sbuffo sonoramente.
-Perché non mi guardi? Cos'ho fatto ora? È perché ti ha salvato un'ebrea? È per questo che non mi guardi? Ti ho salvato la vita e neanche un briciolo di gratitudine, grazie. Davvero, grazie!- sbotto. Lui sorride e scuote la testa, per poi girarsi verso di me. Improvvisamente torna serio.
-Se non ti guardo è per rispetto...Anche se non ne meriteresti neanche un briciolo, razza di- sospira, non finendo la frase.
-Cosa c'entra il rispetto?- domando al limite della sopportazione, e, dopo avermi squadrata da capo a piedi, mi guarda negli occhi.
-Hai il seno scoperto. Non fraintendermi: non che mi scandalizzi nel vederlo ma...Per...diciamo rispetto- pronuncia quelle parole con estrema fatica e malvolentieri- ho preferito voltarmi- risponde continuando a guardarmi negli occhi, senza abbassare lo sguardo.
Pronunciate quelle parole mi copro imbarazzata il seno con le braccia, riuscendo a nascondere ben poco. In effetti, dopo aver sfilato la benda/fascia non ho pensato a riabbottonare lo straccio che ho addosso. Il suo sguardo si abbassa lentamente tentando di scrutare ciò che v'è oltre le mie braccia.
-Però hai un bel seno. Questo te lo concedo.- afferma senza un briciolo di malizia, lo dice senza doppi scopi, e lo apprezzo. Però mi imbarazza comunque.
-A...Adesso mi sistemo, un...Un minuto- affermo molto imbarazzata mentre, goffamente, riabbottono i bottoni. Che brutto gioco di parole.
-Non sentirti in imbarazzo. Di puttane nude ne ho viste. Mio padre si dà spesso alla pazza gioia, sai? Porta a casa le peggio sgualdrine. Tipe che non appena hanno fatto il loro lavoro vanno in giro per casa nude cercando i loro vestiti- afferma divertito senza staccare gli occhi dal mio seno ormai coperto, come se quanto detto, fosse un'argomentazione del tutto normale.
-Mi stai dando della puttana?- domando offesa. Fa un sorriso derisorio, e credo di aver appena capito la risposta.
-Mi consideri una puttana...nonostante ti abbia appena allontanato dalla morte tu mi consideri una puttana...ancora- affermo amaramente. Sento gli occhi pizzicare e farsi lucidi, la vista annebbiata dalle lacrime in procinto di liberarsi.
Mi alzo: non voglio mostrarmi debole davanti a lui. Non adesso.
Sono seduta sotto l'albero dove mi ero poggiata questa notte per dormire, quando perle bianche solcano i miei lineamenti. Mi ha ferita, né sono consapevole, motivo per cui mi sento umiliata. Di puttane nude ne ho viste, ha detto. Che mi stesse dando della sgualdrina? Probabile, molto probabile, ma non voglio credere che sia così: io, io una sgualdrina? Io che i ragazzi non li ho mai osservati per più di due secondi? No, non può offendermi in questo modo, non glielo permetto. Non è nessuno per farl- Ah no, mi sto sbagliando, qualcuno è: "Il figlio dell'ufficiale". Mai in vita mia ho mai pensato che sarei stata umiliata così, persino nei campi di concentramento mi trattavano meglio! Beh oddio...Non ne sono proprio convinta, anzi non era proprio così, ma ho reso l'idea...
-Vieni ad aiutarmi!- mi ordina il viziato.
-Il figlio dell'ufficiale non vorrà mica farsi aiutare da una sgualdrina ebrea, vero? Ah no, mi sto sbagliando, perché di puttane nude tu ne hai viste tante- rispondo con la gola secca. Ho assolutamente bisogno di mangiare. Lui sospira, chiaramente snervanto.
-Quanto sei difficile...vieni qui, cazzo!- stavolta non urla, probabilmente ha capito che nelle sue condizioni non è il massimo. Furente mi dirigo dinnanzi a lui, che mi guarda scettico.
-Sono qui, eccomi Herr Kommandant- affermo sarcastica.
- Aiutami!-
-Pensavo non volessi l'aiuto di un'ebrea- sarcastica più di prima. Sospira.
-Ma cosa credi? Che non volessi aiutarti? Che non ti sarei stata accanto? Pensi che io sia stronza come voi tedeschi ma ti sbagli, perché nessuno mi obbligava ad aiutarti! Ti ricordo che se ora sei vivo è grazie a me! A me! Un'ebrea, non una tedesca! Sei un irriconoscente del cazzo, ecco cosa sei! Senza fare storie accetto di aiutarti e tu mi dai della puttana! Lo vedi il sangue che ho in faccia? Lo vedi! Nonostante tu mi abbia picchiata io ero lì, li per aiutarti! Ma non ne vale la pena...- faccio una breve pausa. -Cristo Santo ma lo vedi che mi hai fatto in faccia? Lo sai quanto mi fa male il labbro?!-
-Bruce- borbotta non guardandomi negli occhi.
-Chi è Bruce?- domando innervosita. Che sia un qualcuno di cui avere paura?
-È il mio nome. Mi chiamo Bruce.- Ah.
Sono confusa: perché mi sta dicendo come si chiama? Per rispondere alla domanda che gli ho fatto prima. Ma perché proprio ora? Vuole evitare questo discorso? Beh se è così non ci riuscirà...
-Pe - Perché mi stai dicendo questo?-
-Non volevi saperlo?- stizzito in quelle parole.
-Si ma...Adesso stavo dicendo un'altra cosa!- sembro una bambina capricciosa...
-Lo so- afferma beffardo.
-Se lo sai perché mi hai interrotta?-
-Perché non mi andava di sentirti. Non ci vuole tanto a capirlo- dannatamente sincero in quelle parole.
-Sei...Sei...Uno stronzo! Sei uno stronzo!- ecco la bambina capricciosa che è in me uscire fuori.
-Lo so- afferma divertito aspettando una mia reazione. Sospiro esasperata.
-Perché fai così?-
-Così come?-
-Perché sei così...lunatico? E...emotivamente instabile e...cat- mi interrompo.
-Continua-
-No non...Ho detto quello che dovevo dire-
-Ti sei interrotta, continua...finisci la frase. Non te lo chiederò un'altra volta-
-Ho detto quello che dovevo dire- ribadisco il concetto.
-Me lo dirai...In un modo o nell'altro- afferma sicuro.
-Non credo proprio-
-Non esserne sicura: sò essere molto convincente...O persuasivo- ghigna squadrandomi.
-Non mi lascerò abbindolare da uno come te. Non sarò una delle tante...Ho capito cosa intendevi, sai?-
-Dimmelo-
-Dirti cosa?-
-Quello che intendevo. Dimmi cosa hai capito, sono curioso-
-Lo sai benissimo cosa hai detto-
-Io non voglio sentirti ripetere ciò che ho detto; voglio sapere come hai interpretato ciò che ho detto-
-Ma cosa? Tu...tu sei strano, ma tanto. E non ho intenzione di partecipare al tuo gioco sadico-
-Come vuoi-

Voglio sapere che ore sono: dopo la discussione con Bruce (ammesso che si chiami realmente così) non ci siamo più parlati ed è passato diverso tempo. Non l'ho aiutato ad alzarsi, è nella stessa posizione in cui l'ho lasciato prima.
-Posso vedere che ore sono?-
-No-
-Vuoi che te lo strappi quell'orologio?-
-Devi solo provarci, razza di stronza!-
-Oddio quanto sei snervante!-
-Se mi aiuti ad alzarmi ti faccio vedere l'ora-
-Quando dici "alzarmi" intendi "sedermi", spero-
-Non puntualizzare tutto e vieni ad aiutarmi: da solo non ce la faccio-
-Quindi vuoi l'aiuto di un'ebrea?-
Sospira.
-Si- conferma rassegnato.
-Dillo: dillo che vuoi il mio aiuto, l'aiuto di un'ebrea, altrimenti non ti aiuto-
Sospira nuovamente.
-Ho...bisogno...dell'aiuto di un...di un...di un'ebrea- afferma controvoglia, come se dire quella frase gli causasse un dolore fisico.
-Non ci voleva tanto, visto?- dico per poi andare ad aiutarlo.

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