Vigliaccheria e coraggio

Le ore che seguono mi sembrano interminabili. Matteo si attacca al cellulare e fa una chiamata dopo l'altra, raccontando a chi sta dall'altra parte che mi ha portata via per farmi riprendere dallo shock di aver visto mio padre suicidarsi con una pistola su una panchina del parco.

Io so che non è la verità, ma i vari interlocutori sembrano credere a quella balla e al fatto che ero così sconvolta da non accorgermi che mio padre non avesse alcuna pistola tra le mani.

La parte più difficile però arriva quando Matteo mi dice di tornare a casa e che dovrò raccontare la stessa storiella a mia madre. Mia madre che di tutto questo casino non sa niente, mia madre che rimarrà devastata dalla morte di mio padre più di quanto potesse fare l'idea che una malattia se lo portasse via lentamente.

Così rientro a casa richiudendo lentamente la porta alle mie spalle. Mamma sente il rumore e viene fuori dalla cucina: «Finalmente. E tuo padre?»

Qualcosa nei miei occhi deve averla allarmata, perché si ritrae, ma coraggiosamente continua a chiedere: «Dov'è?»

Io comincio a piangere e lei mi segue: «Si è sentito male?» riesco a distinguere tra i singhiozzi.

Avrei voglia di dirle tutto, di confessarle che anche quella maledetta malattia non era reale, ma vigliaccamente riesco solo a scuotere la testa.

«E allora che è successo?» urla disperata.

Non riuscirò mai a capire da dove sia venuta la mia presenza di spirito, ma riesco a raccontarle tutta quella bella storiella sul suicidio, le racconto di come uscita da casa della mia amica abbia raggiunto mio padre sulla panchina nel parco e lo abbia trovato accasciato su se stesso con una pistola in mano e il volto dilaniato dalla ferita.

«Non era lui. Non tuo padre. E dove l'avrebbe presa una pistola, poi?» Anche mia madre rifiuta quell'assurda storia, anche lei si pone mille domande. Ma nessuna risposta potrà comunque cambiare il fatto che suo marito non c'è più.


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