La partita a scacchi
«Mi chiamo Stefano Corsi e lavoro per l'AISI.»
Probabilmente la mia faccia dice tutto e cioè che non ho la più pallida idea di cosa sia l'AISI, perché lui mette una mano sotto il cappotto e tira fuori il portafogli, lo apre a metà rivelando una specie di distintivo, con uno stemma bianco e nero e una foto che lo ritrae qualche anno fa; me ne accorgo solo perché non distinguo tutte le rughe che vedo adesso sul suo volto e non ci sono i capelli grigi vicino alle tempie. Il nome riportato corrisponde a quello che mi ha appena detto, ma per me continua a non significare niente. Non ho la minima idea di come sia fatto un distintivo dell'AISI proprio perché non so cos'è. Inoltre il nome, così come lo stesso distintivo potrebbero essere falsi. Torno a guardarlo e ad aspettare che ricominci a parlare. Mi accontenta subito: «Non sa cos'è l'AISI, vero? È l'intelligence italiana.»
A questo punto scoppio a ridere. Ma non una risata sommessa, rido proprio di gusto. Altro che uomo americano a un funerale, altro che protagonista di noir. Il-tizio è il tipico agente della CIA.
Tra un sussulto e l'altro vedo che si muove nervosamente sulla sedia, molto probabilmente non si aspettava che gli scoppiassi a ridere in faccia, ma almeno adesso so con chi ho a che fare: con un pazzo. Mi calmo un attimo dunque, giusto il tempo per rendermi conto che nel bar i ragazzi di prima sono andati via solo per essere sostituiti da una coppia di amiche; le sento ridacchiare mentre guardano verso il nostro tavolo. Dobbiamo essere proprio divertenti, noi due, una coppia davvero stranamente assortita.
Il signor Stefano-tizio-Corsi allora riprende: «Signorina De Santis, immagino che la situazione le risulti quantomeno particolare, ma le chiedo comunque di ascoltarmi.»
Il fatto che mi chiami di nuovo per nome mi fa risuonare un campanello di allarme in testa: pazzo quanto può essere, sa come mi chiamo. Torno però a guardarlo con l'espressione più scettica di cui sono capace.
«Come le dicevo, lavoro per il governo. Al momento non sono autorizzato a scendere nei dettagli con lei, ma abbiamo bisogno di una cosa e, dalle ricerche svolte è emerso il suo nome, signorina De Santis. Il suo coinvolgimento in questo caso ha suscitato il nostro interesse.»
Nella mia testa si affollano già un milione di domande, ma voglio vedere dove va a parare prima di contrattaccare.
«Sappiamo che quest'anno si è iscritta qui a L'Aquila alla facoltà di fisica. Sappiamo che ha mostrato un particolare interesse per la lettura di gialli e thriller. Sappiamo quali film va a vedere al cinema e quali serie guarda in tv. Sappiamo di suo padre, di come abbia dovuto vendere il bar per curarsi. Sappiamo delle richieste che sua madre ha inoltrato per l'invalidità.»
Forse sono sbiancata, non lo so, ma di sicuro sono spaventata. Io non ho mai raccontato queste cose, qui, a qualcuno. Sul serio, chi è quest'uomo? Non posso credere davvero alla storia dei servizi segreti. Come dice lui, ne ho già lette troppe di cose simili nei romanzi gialli per pensare che una cosa del genere possa accadere veramente a qualcuno.
Ovviamente sa di aver fatto colpo con quelle informazioni su di me sciorinate come il menu di un ristorante da due soldi, infatti sorride in un ghigno.
«Potrei andare avanti ancora per molto, se dovesse servire a convincerla di quello che sono e di ciò che rappresento, ma credo che non sarà necessario.» Per la prima volta da quando l'ho visto sembra rilassarsi, poggiando la schiena alla sedia: «Abbiamo bisogno di lei. Il suo Paese ha bisogno di lei.»
Trattengo a stento un altro scoppio di ilarità a quella frase fatta, solo perché adesso voglio cominciare a parlare io. Voglio riprendere in mano il controllo della situazione, come quando eravamo in biblioteca, così accavallo le gambe e incrocio di nuovo le braccia: «Signor Corsi, ammettendo che questo sia il suo vero nome.» Faccio una pausa durante la quale lo guardo sottecchi. Mi sembra di aver riconosciuto un sussulto; forse ci ho azzeccato e Stefano Corsi è un nome falso, vuoi per la storia dell'AISI, vuoi perché è il nome inventato da un pazzo. «Devo ammettere che mi ha colpito con la sua bella storiella. La parte più curiosa del mio carattere è rimasta sicuramente intrigata. Per quanto riguarda le informazioni su di me e sulla mia famiglia, non so ancora bene come abbia fatto, ma è molto probabile che sia bravo a far parlare la gente o che abbia conoscenze negli uffici giusti, ma questo significherebbe che lei sta tenendo d'occhio me e la mia famiglia da molto tempo e da molto lontano. Alcune sono informazioni molto riservate, quindi credo che questo basterebbe per incriminarla per stalking.»
Cavolo, ora sono io che non me l'aspettavo: sta ridendo. Non come me, certo, che rido quasi sguaiata; la sua è una risata profonda, ma lo capisco benissimo che si sta divertendo a mie spese.
«Signorina De Santis, il dossier che ho letto su di lei, benché completo, non rendeva a pieno la sua capacità di seguire un filo logico di pensieri e di trarne conclusioni, avventate ed ovviamente errate, ma devo ammettere che lei si sta confermando la risorsa di cui abbiamo bisogno.»
Che significa? Che non può essere arrestato? Che non è uno stalker? Se adesso gridassi aiuto, se adesso chiedessi al barista urlando e piangendo di chiamare la polizia, cosa succederebbe? Devo credere sul serio che esistono nella realtà agenti del governo in grado di insabbiare fatti spiacevoli? Persone al di sopra di ogni legge? Persone dietro la legge?
Dovrei alzarmi e andarmene, ma sono ancora seduta qui, a guardare negli occhi Stefano-tizio-Corsi ed è vero, è la curiosità a tenermi ancora inchiodata a questa sedia, non la paura.
«Ok, facciamo finta che io creda che il suo nome sia Stefano Corsi. Facciamo finta che io creda che sia un agente segreto, che lavori per questa AISI. Facciamo finta che io non voglia farla arrestare in questo preciso momento. Cosa vuole da me? Cosa posso avere di così importante da far scomodare un agente del governo? E soprattutto, cosa le fa credere che io glielo consegni?»
Il-tizio è tornato a rilassarsi sulla sedia: finalmente gli ho fatto le domande che si aspettava. Ma invece di rispondere chiama il barista e chiede un bicchiere d'acqua. Beve un sorso con tutta la calma di questo mondo, ormai il gioco è di nuovo nelle sue mani. Mi sembra di giocare una partita a scacchi: ho fatto la mia mossa e ho fatto partire il suo timer. Stiamo andando avanti così da stamattina, chissà quando finiremo. E chissà chi farà scacco matto alla fine.
«Lei sa qual è il motto dell'AISI? No, certo che no, visto che non conosce l'agenzia. "Scientia rerum reipublicae salus". Sa cosa significa?»
Scuoto la testa. Odio il latino e probabilmente lui lo sa già, lo avrà letto nel mio dossier.
«Vuol dire "La conoscenza delle cose è la salvezza della Repubblica".»
Mi dà un momento per farmi afferrare il concetto. E io lo afferro: «Informazioni.»
Sembra piacevolmente colpito: «Esatto, signorina De Santis. Informazioni.»
Non capisco: «Ma se avete addirittura un dossier su tutta la mia vita, cosa non sapete?»
Beve un altro sorso. Mi sta snervando: è solo un maledettissimo bicchiere d'acqua, quanto pensa di impiegarci a mandarlo giù?
«Non ho detto che le informazioni riguardino lei.»
«Chi allora?»
«Non oggi.»
«Di che diavolo sta parlando? Io ne ho già abbastanza adesso e lei vuole incontrarmi un'altra volta?» Sono davvero alterata e comincio ad alzare la voce. La cosa però viene camuffata dal chiacchiericcio che gli avventori del bar stanno producendo. Deve essere scattata la pausa del pomeriggio, perché c'è almeno una decina di persone intorno a noi e vedo arrivarne altre dal corridoio.
Il-tizio invece sembra calmo e pacato e con il suo tono rassicurante, che a questo punto attribuisco al suo lavoro, cerca di spiegarmi la situazione come se fossi una bambina capricciosa: «Se quello che ho letto di lei è vero, mi aspetto che la prima cosa che farà uscita da qui, sarà effettuare delle ricerche sull'AISI e sul nome Stefano Corsi. Dopodiché cercherà di raccontare questa storia a qualcuno, ma comincerà ad escludere parenti e amici di volta in volta. Ai suoi genitori non può dirlo, per non farli preoccupare, alle sue coinquiline non racconterebbe mai una cosa così personale, con gli altri studenti non ha una confidenza tale da poter raccontare tutto, anche solo per scherzo. Le do un consiglio, signorina De Santis: dovrebbe lavorare di più sulla sua autostima. Le assicuro che è capacissima di districarsi da situazioni complicate senza l'aiuto di nessuno.»
Beve finalmente l'ultimo sorso d'acqua, liberando il bicchiere da quel fardello, lascia cinque euro sul tavolo, decisamente troppi considerando anche una mancia, recupera il cappello con la tesa, si alza e se ne va, senza aggiungere nessun'altra parola, né rassicurante, né di conforto, né di minaccia.
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