INPUT-OUTPUT

Ieri sera non ho parlato con le ragazze, non ho chiamato mia madre. Ho finto un mal di testa e mi sono ficcata a letto a rimuginare sulla strana giornata appena passata, finché non mi sono addormentata.

Stamattina la solita storia: colazione e autobus fino in facoltà. Oggi mi aspettano due ore di fisica uno e due di analisi uno. Poteva andarmi peggio, poteva esserci ancora geometria. In più continuo a chiedermi se oggi rivedrò Corsi. Prima di andarsene ieri non mi ha detto quando ci saremmo rivisti. Sul se non ho alcun dubbio.

Ma devo arrivare fino all'ora di pranzo prima di scorgerlo ancora all'interno di un'aula da otto posti. Sto attraversando un corridoio in cui alcune porte sono chiuse, come quelle degli uffici dei professori per esempio, mentre altre sono spalancate e altre solo accostate. Ed è proprio attraverso una di queste che mi accorgo di una figura alta avvolta in un cappotto lungo e nero; in testa il solito cappello con la tesa.

Afferro la maniglia e apro completamente la porta: «È così che funziona? Appare e scompare quando le pare? E io dovrei vivere con l'ansia di lei che fa le improvvisate nella mia vita?»

Si volta verso di me e fissa la porta, come se volesse che io la chiudessi, ma non ci penso nemmeno.

«No, non è così che funziona. Lei sarà contattata di volta in volta e le verrà detto cosa fare. Dovrà seguire le istruzioni alla lettera e riferire quanto le verrà richiesto.»

Un moto di rabbia ha il sopravvento sul buon senso e mi fa chiedere: «Altrimenti?»

Non c'è bisogno che risponda. Il suo sorriso storto basta e avanza. Cosa potrebbe fare quell'uomo? A chi potrebbe arrivare pur di ottenere ciò che vuole?

Fa un gesto della mano e mi invita a sedermi a un banco. Riluttante obbedisco, non prima di assicurarmi che la porta rimanga ben aperta. Qualcuno passando dovrà pur vedermi con questo strano tizio, e se dovesse succedere qualcosa potrà testimoniare di aver notato qualcuno di sospetto.

I miei gesti sembrano divertirlo e ancora una volta mi ritrovo a chiedermi quanto potere abbia quest'uomo e quanto potrebbe riuscire a nascondere in un'indagine di qualsiasi tipo. In ogni caso si siede anche lui, dando le spalle alla porta, non posso fare a meno di notarlo.

Infilo le mani nella tasca del giubbotto e accendo il registratore che di solito uso a lezione. L'unico modo che ho trovato per avere una qualche prova della mia storia.

Lui mi fissa negli occhi in silenzio, finché sospira rassegnato e alza gli occhi al cielo. «Signorina De Santis, vuole cortesemente spegnerlo e metterlo sul tavolo?»

Cerco di nascondere ogni piccola traccia di stupore. Come diavolo ha fatto? I tasti non fanno il minimo rumore quando li schiaccio. Ma lui rimane lì senza dire un'altra parola, ad aspettare che gli obbedisca.

Alla fine vince lui: sbuffo rumorosamente, tiro fuori il registratore, lo spengo e lo lascio sul tavolo.

Ed ecco di nuovo il tono rassicurante nella voce: «Così va meglio. Quello che le sto per dire, così come ogni altra conversazione che avrà con la nostra agenzia, dovrà rimanere riservato. Lei è una ragazza molto perspicace, e avrà modo di riconoscere i nostri segnali. Seguendo i segnali potrà raggiungere la posizione in cui saranno depositate le istruzioni della sua operazione: il tipo di informazioni richieste, la tipologia di recupero e il deposito delle stesse. Dopodiché lei continuerà la sua vita come al solito, seguirà i corsi, uscirà con gli amici, tornerà a casa dai suoi genitori. Tutto accadrà come è sempre accaduto.»

«Fino a quando?» Non posso fare a meno di chiederglielo.

«Fino all'operazione successiva.»

Come temevo. Così insisto: «Fino a quando?»

«Finché sarà necessario. Finché l'Italia avrà bisogno del suo aiuto.»

Ancora quella frase fatta. Se mi conoscesse veramente, saprebbe che frasi del genere non fanno colpo su di me. Ma forse fanno parte del suo addestramento, o forse lui ci crede veramente.

«Tra qualche minuto lei scenderà nel laboratorio di fisica uno, accederà alla sua mail personale e navigherà per almeno tre minuti. Eseguirà il logout dalla mail e dal pc e andrà a pranzo.»

«Sta scherzando!» Se avevo qualche dubbio che fosse pazzo, ora ne ho la certezza. Che razza di operazione è?

«No.» Risposta più semplice non fu mai data. Si alza e fa per andarsene, quando si ferma sulla porta e si volta di nuovo verso di me: «Faccia come le dico. E siccome mi è sembrato di capire che gradisce un qualche genere di preavviso, la avverto che sarò fuori dalla mensa quando avrà finito il suo pranzo.» Un secondo dopo è già sparito.

E ora che faccio? Dovrei veramente andare in laboratorio a controllare la mia e-mail? Che se ne fanno di tre minuti del mio cazzeggiare in internet?

Continuo a scervellarmi e mi ritrovo mio malgrado davanti alla porta del laboratorio. Busso, apro, non c'è nessuno, sono andati tutti a pranzo.

Va bene, vediamo cosa potrebbe succedere, se mi siedo alla mia postazione. Niente.

D'accordo, login al pc e... niente. Apro Internet Explorer e accedo alla mail. Ancora niente.

In realtà non so nemmeno cosa dovrei aspettarmi. Qualche BIP relativo a un flusso di informazioni criptate? Una bomba associata a qualche tasto premuto? Ecco, adesso ho paura anche a digitare sulla tastiera. No, se avesse voluto farmi fuori, avrebbe avuto altre cento occasioni e non me ne sarei accorta. A meno che non sia un qualche attacco terroristico e io fossi il capro espiatorio.

O dio, come faccio ad andare avanti così? Guardo l'orologio del pc e mi accorgo che è passato solo un minuto, ma io già sudo freddo da mezz'ora.

La fa facile lui a dire che dovrei vivere come al solito, come se tutto questo non fosse mai successo. Ma come posso farlo?

Guardo sullo schermo l'elenco delle mail in arrivo. Che palle, ancora tutto quello SPAM. Seleziona, seleziona, seleziona. Segnala come SPAM. Ok. Invio. E un altro minuto è andato. E ora che faccio? Riordino le cartelle? Dico sempre che lo dovrei fare, ma rimando continuamente. Ma lì altro che un minuto, mi ci vuole almeno un'ora. Va bè, almeno svuoto il cestino.

Ed ecco un POP UP: nuova mail in arrivo. Vediamo di che si tratta. Nessun oggetto. Il mittente è [email protected]. Mai sentito. Più anonimo di così si muore. Si muore? Apro immediatamente l'e-mail e leggo due sole parole:

BUON PRANZO.

Maledetto bastardo! Che cavolo significa? Controllo l'orario e i tre minuti sono abbondantemente passati. Esco dall'e-mail, chiudo tutte le finestre ed eseguo il logout.

Risalgo le scale a due a due fino in mensa, lo cerco con lo sguardo, ma niente. Eppure non passa inosservato, il papavero. Continuo a maledirlo mentre mi metto in fila, di nuovo, per prendere il mio pasto, con un'altra data segnata sul mio tesserino in un quadratino sempre troppo piccolo per il suo scopo. In questo momento mi sento così, inadeguata al mio scopo.

Dopo essermi praticamente ingozzata a tempo di record, mollo il vassoio al volo su un carrello e mi dirigo all'uscita. Sto già attraversando il cortile che mi sento chiamare e mi volto.

«Ben fatto, signorina De Santis.»

La sicurezza fatta persona è in piedi di fronte a me. Io invece sto ribollendo e mentalmente preparo il calcio nello stinco. «Che significa? Cosa ho fatto? E soprattutto, cosa ha fatto lei?»

«Queste non sono domande che deve porre. Anzi, lei non deve porre alcuna domanda, deve solo eseguire le nostre istruzioni.»

«Bè, non sono una macchina, INPUT-OUTPUT. Se vuole che questa storia vada avanti mi dovrà spiegare quello che è successo venti minuti fa.»

Corsi si guarda intorno, anche se sa già che a quest'ora in cortile non c'è mai troppa gente, per quanto siano tutti impegnati a mangiare. Fa un passo verso di me e istintivamente mi ritraggo. Si ferma, tira fuori le mani dalle tasche del cappotto e le lascia cadere lungo i fianchi. Il messaggio è chiaro: non mi sta minacciando e non ha intenzione di farmi del male, vuole solo avvicinarsi per abbassare il volume della voce.

«Grazie all'accesso che ha eseguito siamo entrati nella rete dell'università.»

Spalanco la bocca dalla sorpresa. Io sono stata il cavallo di Troia. È La storia che si ripete. Mi viene da ridere... Com'è che si dice? Corsi e ricorsi della storia.

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