Il diavolo, le pentole e i coperchi

Dicembre, Barletta

Passo i giorni incollata ai telegiornali e su internet a cercare notizie sull'India e sul Pakistan, ma non trovo niente, chiedendomi ancora una volta a che livello viene deciso di divulgare una notizia al popolino e in quale misura dire la verità sull'accaduto. Potrebbe essere successo di tutto al confine e soltanto i prescelti potrebbero esserne al corrente. Senza dimenticare che posso sempre aver sbagliato l'interpretazione del messaggio e aver riposto in Taalsar false speranze. Non sono mica un genio.

Non ho più rivisto Corsi né Matteo, né ho ricevuto altri messaggi strani o telefonate inspiegabili, per quanto me ne sia accorta io. Ho passato le ultime due settimane a studiare per gli esami e contro ogni previsione ho superato geometria, anche se ovviamente con diciotto, ma chi si lamenta?

Sono tornata a casa, in Puglia, per godermi le vacanze natalizie, lontano dai libri e da qualsiasi agente AISI che possa contattarmi, anche se nel mio intimo temo che possano raggiungermi ovunque. Mio padre sta abbastanza bene, esce di casa e guida ancora, anche se per poco tempo, per non stancarsi. Mia madre come al solito sta appresso ai fornelli, cercando di scaricare la sua tensione e il suo dolore in cucina, ma soprattutto cercando di rendere felici noi.

Le feste ci fanno sempre questo effetto: come tutti vogliamo stare in famiglia, ma per noi è come se ogni anno dovesse essere l'ultimo e ogni anno ringraziamo di averne visto un altro. Ora capisco gli americani con la loro Festa del Ringraziamento: è un bel modo per rendere grazie di quello che hai e di farlo sapere alle persone che ti sono vicine, di fargli sapere che gli vuoi bene e che vorresti passare un altro anno con loro, anche se dovesse essere duro, triste e doloroso, ma serbando sempre la speranza che sarà gioioso e pieno di novità positive.

Oggi è il ventisei dicembre, Santo Stefano, e, aprendo gli occhi nel mio letto di quando ero piccola, non posso fare a meno di associare questo giorno direttamente a Stefano-tizio-Corsi. Una strana inquietudine si impossessa di me al solo pensiero, così cerco di ricacciarla indietro, insieme al sonno della notte appena trascorsa. Ripenso a ieri che è stato Natale e alla fantastica chiavetta USB che mi ha portato Babbo Natale: la confezione era così strana che ci ho messo una vita a fare il pacchetto, ma in compenso è stato facilissimo distruggere la carta quando abbiamo aperto i regali sotto l'albero nel salone. A papà abbiamo regalato una maglia intima di lana, più va avanti e più dice di sentire freddo in continuazione; a mamma invece abbiamo preso una pentola a pressione, che continuava a indicare intimorita, come se il diavolo oltre ad aver fatto la pentola avesse creato anche il coperchio con tutte le sue strane valvole. Spero che cambi idea, perché secondo me le può davvero rivoluzionare la vita in cucina.

Tiro giù le coperte e tiro giù i piedi dal letto, passo in bagno e vado in cucina a fare colazione. Trovo mamma già ai fornelli e noto con piacere che su uno dei fuochi accesi sta andando la pentola a pressione. Lei si tiene a debita distanza, ma dice di aver trovato una ricetta per un pollo che può essere cotto in quindici minuti in quel modo invece che trenta. È contenta e sono contenta anch'io.

Papà viene fuori dalla camera da letto con passo lento e incerto e si siede a tavola, mamma gli porge il tè, le fette biscottate e la marmellata; lui mette la marmellata sulle fette, creando poi una specie di panino che poi inzuppa nel tè bollente. Lo guardo e ancora una volta mi chiedo come faccia a non scottarsi le dita.

Mi squilla il cellulare e vado in camera a recuperarlo; sul display non riconosco il numero e mi accorgo che ora mi trema la mano: «Pronto.»

Dall'altra parte mi arriva la voce squillante di una ragazza che potrebbe avere la mia età: «Ciao Giulia, come stai? Scusa se non ti ho fatto gli auguri ieri, ma sai com'è con i parenti a casa... Va bè, comunque mi riscatto oggi per ieri e anticipo anche quelli per Capodanno, così sto sicura.»

Chi è questa ragazza, non la conosco, lo so. Non riconosco la voce, ma lei sa il mio nome e dentro di me so che è un'altra persona che ha a che fare con l'AISI. Quindi avevo ragione, possono raggiungermi dove e quando vogliono. E se possono arrivare a me, possono arrivare ai miei. Stringo il telefono nella mano ancora tremante, ma per la rabbia questa volta.

«Sì, non preoccuparti, lo capisco. Auguri anche a te.»

Fino ad ora non credo mi abbia dato qualche indizio su dove debba andare e cosa fare, così torno ad ascoltare.

«Senti, lo so che siamo in vacanza, ma io comunque me li sono portata dietro i libri per l'esame di laboratorio e ho finito di studiare. Poi magari quando torno a L'Aquila ripasso tre giorni prima dell'appello. Ti va di ripassare insieme?»

Tre giorni prima dell'esame? Sarebbe il sette gennaio. Sì, potrei essere a L'Aquila per quel giorno.

«Sì, va bene.» confermo.

«Ma quindi hai già studiato pure tu?» La sua voce ha un tono di incredulità.

«No, veramente non mi sono portata i libri dietro. Pensavo solo alle vacanze.» Perché continua a tirarla così per le lunghe? Ho capito che ci dobbiamo vedere il sette.

«Ah, ma allora ti conviene venire a prendere i miei, così ti porti avanti con lo studio e quando ci vediamo su dobbiamo solo ripassare.»

Ecco perché: l'appuntamento è qui. Mi schiarisco la gola, ormai non ho più saliva. «Ho capito, ti ringrazio. Quando posso passare a prenderli?»

«Guarda, se potessi venire oggi mi faresti un gran favore, perché da domani dovremmo andare a trovare dei parenti in Molise e mica ho capito quando i miei intendono tornare. Ce la fai a venire prima di pranzo?»

«Certo, dammi l'indirizzo.» Forse sto rischiando a farla esporre così, ma non so davvero dove dovrei andare.

«Via Sant'Antonio, davanti a piazza Federico II, accanto al negozio di giocattoli.»

«D'accordo. Citofono?» Sempre più pericoloso, lo so.

«No, guarda, è l'unico campanello, non ti puoi sbagliare. A più tardi allora. Ciao.»

La comunicazione si interrompe e immediatamente vado nella lista chiamate ricevute, seleziono l'ultimo numero e lo ricompongo: la solita vocina automatica, questa volta della Tim, mi avverte che il numero selezionato è inesistente. Sono passati solo pochi secondi da quando ha riattaccato, come diavolo è possibile?

Devo andare. Devo andare a prendere questi libri. Passo in cucina e avverto i miei che sto per uscire. «Adesso?» chiede mia madre incredula.

«Sì, devo andare a prendere dei libri da un'amica, perché lei poi parte.»

«E chi è quest'amica? Dell'università?»

«Sì.» Cerco di rimanere sul vago, ma mia madre insiste: «Non mi avevi detto che c'era anche un'altra ragazza di Barletta a L'Aquila.»

«Si è trasferita da poco, prima stava a Roma.»

«E dove abita?» O Dio, quanto è esasperante dover mentire a mia madre!

«Via Sant'Antonio. Non ci metterò tanto, vado e torno prima di pranzo.»

«Ti posso accompagnare io.» La voce di mio padre mi coglie di sorpresa.

«Ma no, non c'è bisogno.»

«Tanto volevo andare a fare un giro. Accompagno te, è la stessa cosa.»

Perché ho così tanta paura? Finora avevo fatto tutto da sola, il pensiero che qualcun altro possa essere coinvolto in questa storia mi terrorizza. Però non trovo nessun motivo plausibile per costringere mio padre a rimanere a casa o comunque a non accompagnarmi dalla mia simpaticissima amica, così accetto.

Ci prepariamo e usciamo. Fa freddo anche qui, anche se non come a L'Aquila, ma almeno è una bella giornata di sole, col cielo celeste e non grigio topo. Papà mette in moto la macchina e si immette nel poco traffico che c'è in questa giornata di festa. Già, che bella festa che l'AISI mi sta facendo passare. Non se li potevano prendere da soli quei libri? O non potevano spedirli al diretto interessato? Lo so che sto solo facendo i capricci, ma ancora non capisco cosa ci guadagno io da tutta questa storia, perché fino ad ora vedo solo le scocciature.

In pochi minuti arriviamo in via Sant'Antonio e mio padre accosta per farmi scendere. «Senti, fai con calma. Io vado a parcheggiare e ti aspetto a una delle panchine della piazza.»

Faccio un cenno di assenso con la testa e mi dirigo verso il negozio di giocattoli, che ovviamente oggi è chiuso; a sinistra del negozio c'è un bar pasticceria, in cui è appena entrata una coppia, probabilmente per farsi preparare un vassoio di pasticcini da portare a pranzo a casa di qualcuno; sulla destra invece c'è la vetrina di un locale, solo che non è un esercizio commerciale e in più i vetri sono opachi, tanto che dall'interno non arriva nessun riflesso. La porticina con la maniglia di plastica è fatta dello stesso vetro smerigliato. Su questa palazzina non sono presenti altri accessi, quindi escludo il bar e decido che la mia destinazione debba essere necessariamente la vetrina. Mi avvicino e sulla destra della porta c'è un unico campanello rettangolare, nessun citofono. Mi convinco che è il posto giusto. Suono e dopo qualche secondo una donna mi apre la porta accogliendomi con un imperativo: «Vieni. Lui non c'è.»

La prima cosa che mi chiedo è "Lui chi?". La seconda è una specie di ballottaggio tra Corsi e Matteo, ma credo che la tipa si riferisca al primo, che comunque non mi aspettavo di incontrare.

In ogni caso entro e la seguo in uno spazio completamente aperto, senza muri divisori, ma pieno zeppo di scrivanie, computer e archivi. E persone, tante persone, che si muovono avanti e indietro da una postazione all'altra, spostando laptop o documenti. Mi sembra di essere finita in un alveare e che ciascuna di queste persone sia in realtà un'ape intenta a svolgere la sua mansione, con rapidità ed efficienza. Ci credo che la tipa non aveva tempo di dirmi buon giorno!

Mi conduce ad una scrivania e mi fa accomodare semplicemente indicandomi una sedia; mi porge un paio di cuffie e mi dice di ascoltare attentamente. Obbedisco e mi concentro. Attraverso la spugna delle cuffie sento prima un ronzio, poi la voce di un uomo che dice: «Sei sicuro che non si possa fare niente?»

Ed ecco una seconda voce, sempre maschile, che risponde al primo: «Ti dico che ci ho provato, ma io non ne sono capace. Se tu conosci qualcuno, accomodati pure.» Sembra irritato e credo che voglia sbolognare il problema, qualunque sia, all'altro tizio.

Allora il primo ribatte: «D'accordo, credo di sapere a chi possiamo rivolgerci.»

«Ok, fammi sapere.»

La comunicazione si interrompe e io sento di nuovo il fruscio. Guardo disorientata oltre la scrivania perché mi accorgo che la donna che mi ha aperto la porta non è più lì.

Una mano che si posa sulla mia spalla mi fa sussultare; mi giro e vedo Matteo in piedi dietro di me: «Ciao.» mi saluta col suo caldo sorriso.

La vista di una faccia amica, almeno spero, mi porta a rispondere al sorriso.

«Hai sentito tutto?» mi chiede indicandosi l'orecchio con un dito, facendo riferimento alle cuffie che ho in testa. Faccio di sì con la testa, ma ancora non riesco a parlare.

«Bene. Togli quelle e prendi queste.» Mi porge un altro paio di cuffie e mi accorgo che il filo corre sul pavimento verso una direzione diversa da quello delle prime. Chissà dove vanno a finire tutti questi fili, a cosa sono collegati e soprattutto chi sto ascoltando.

Infilo l'altro paio di cuffie e torno a sentire l'ormai familiare fruscio del rumore bianco, poi c'è un rumore quasi metallico, come quando si alza il ricevitore di un vecchio telefono fisso e sento di nuovo la voce del primo uomo dell'intercettazione precedente: «Sono io. Devi farlo tu.»

«Mi confermi la sua presenza?» Questa volta l'uomo con cui sta parlando ha una voce sgradevole, quasi gracchiante.

«Sì.»

E di nuovo il rumore di fondo. Possibile? Solo questo? Guardo Matteo che nel frattempo si è seduto accanto a me e mi osserva.

«Hanno finito.» gli dico.

Un'ombra attraversa il suo viso. Mi porge carta e penna e mi chiede di trascrivere tutto quello che ho sentito, compresi eventuali commenti personali o dettagli che ho notato. Faccio del mio meglio e gli restituisco il foglio con una ventina di misere righe scritte di mio pugno. Non so davvero a cosa potrebbero servire. Lui le legge attentamente e mi sembra che una certa fretta lo stia assalendo. Si scusa e si allontana lasciandomi lì seduta ad aspettare.

Torna dopo qualche minuto con un paio di libri in mano che mi porge: leggo i titoli e noto che sono i testi di fisica uno su cui dovrei studiare per l'esame. Questo significa che la mia operazione è finita e che posso tornare a casa con la copertura intatta.

Mentre mi accompagna all'uscita mi accorgo di un certo fervore nella sala, non semplice indaffaramento, come quando sono arrivata, ma li vedo tutti un po' troppo agitati. Guardando meglio noto che la maggior parte delle persone alle scrivanie sta staccando monitor e pc, oppure infila diversi fascicoli in grossi scatoloni; altri raccolgono le cose messe da parte dai primi e le fanno sparire dirigendosi sul retro dell'edificio. Sento il rumoredi un motore acceso, forse di un camion perché è più intenso di quello di un furgone. Stanno sloggiando. E tutto è partito quando Matteo è scomparso dopo aver letto la trascrizione delle intercettazioni. Quando mi dice "Grazie." prima di richiudere la porta e di lasciarmi di nuovo fuori su via Sant'Antonio, mi sento come se mi avesse sbattuto fuori. Mi sento esclusa. Perché non mi dicono cosa succede? Perché tenermi sempre all'oscuro di tutto? E non avevano qualcun altro a cui far sentire quelle conversazioni? O un super-cervellone che le trascrivesse per loro? Ancora una volta mi chiedo, perché io?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top