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Premessa: per ringraziarvi tutte della vostra presenza (nonostante i miei sporadici aggiornamenti), ecco il tanto atteso nuovo capitolo. Lungo e ci tengo a precisarlo!
Vi anticipo che la voce narrante cambia, questa volta ci sono io a parlarvi di Gioia e Michele. Spero vi piaccia.
Con tutto il cuore,
Carla.
Affanno. Tachicardia e pulsazioni irrefrenabili del cuore. I piedi sollevano la sabbia. La luce del giorno fa scintillare lo smalto sui piedi che non smettono di correre. La pelle abbronzata puntellata da gocce d'acqua marina. I capelli sciolti si agitano in virtù dei movimenti. La spiaggia è deserta, l'alba è da poco sbocciata come un girasole lungo, grande, che offre a chiunque la bellezza dei suoi petali. Una città intera dorme, echeggia solo la risata di una ragazza che corre. Una ragazza felice. Il vento sottile accarezza l'epidermide, bacia le sue gote rosse. Corre svelta, pur conscia che dovrà fermarsi. La spiaggia di Minori è incastonata nella montagna. Tra non breve si ritroverà dinanzi la roccia e non ci sarà più modo di fuggire. Una fuga bellissima, stupenda, priva di pericolo. Una fuga sognata tra le lenzuola bagnate del letto. Tra la lettura delle pagine di un libro, tra le chiacchiere con l'amica fidata. Una fuga agognata ad occhi aperti, perché non si è soli. La classica fuga di una giovane diciottenne che non vuole fuggire, ma solo esser trattenuta.
La notte, un momento terribile, colmo di se e ma. Traboccante di incertezze. Fissava il ventilatore girare, gli infissi del balcone spalancati. Si voltava tra le lenzuola con solo indosso una vestaglia di cotone. Le mani aperte in viso, il malessere dell'attesa. L'orologio segnava la mezzanotte oltrepassata. Nessuno era sveglio, dormivano tutti. Poi il suono della parola tanto attesa.
Amore.
Gioia, quella notte, balzò alla vista di Michele. Gli andò incontro e lo tirò a se, non senza aver chiuso le imposte del balcone dal quale era venuto. Ebbene sì, Michele sgaiattolava dalla sua camera, lasciando suo fratello Vittorio tra le braccia di Morfeo. Che poi, a dirla tutta, Vittorio qualcosa l'aveva intuito, ma era il classico adolescente a cazzi suoi, quindi spia non l'avrebbe fatta. Senza contare che ci moriva per quella cugina così affettuosa.
Michele si abbassò il boxer, restando nudo dinanzi Gioia, che lo seguitò.
Sono come mi vedi, Gioia.
Lei lo vedeva bellissimo, lo contemplava. Il corpo scolpito dalla corsa e dai lavori estivi. I capelli corti scuri, le guance rasate accuratamente. Gli occhi velati dal lutto subito brillavano e prendevano vita quando erano con lei. Gioia si domandava se fosse giusto amare un consanguineo. Se, tra tanti ragazzi, dovesse proprio creare progetti su di lui. Poi rifletteva sui suoi genitori, che si erano incontrati tramite amici di amici. Tò, osserva loro, non sono parenti e si fanno una impercettibile guerra. Io Michele lo conosco, diceva tra se e se, conosco i suoi pregi e difetti.
Sei andato con altre donne?
Ecco, questo era il suo punto debole. Altro che tallone di Achille, era davvero la debolezza di Michele. Le donne lo avevano sempre amato, sempre da quando era nato. La madre, la zia, le vicine di casa, le maestre di scuola. E le donne, quelle adulte, quelle sue coetanee. Quelle che un giorno iniziarono a scrutarlo come un uomo fatto e non più un bel bambino da vantare a sua madre. Un uomo, uno che ti fa avvampare. Uno che un istante di follia ce lo passi anche più di una volta. Aveva imparo bene, Michele, la storia del mettere le mani davanti: sesso senza convenevoli amorosi. "Vengo a prenderti io in motorino. Vuoi un caffè? Ok. Vuoi un cocktail? Ok. La cena e il pranzo no, mangio a casa mia. Andiamo a casa tua? Lo facciamo in macchina, sulla spiaggia? Ok, ma sappi che ti riaccompagnerò dove ti ho trovata. Ti bacerò sulla guancia, ti sorriderò, ti parlerò, ti rispetterò. Ti tratterò con considerazione, con guanti di seta. Ma non ti amerò, perché non amerò mai te."
Non vado con altre da quando ho capito di essermi innamorato di te. Sono come mi vedi. Te lo giuro, non amerò nessuna come te. Te lo giuro sulla mia vita.
Gioia lo accarezzò. Si fidava ciecamente di lui. Era il suo compagno di giochi, di marachelle. Il suo confidente ed ora il suo grande amore. Lo condusse a letto. Lei sotto, lui sopra. Si fissarono, lo sguardo di uno fuso in quello dell'altro. Gioia sapeva cosa Michele le stesse chiedendo in quell'istante, sebbene non avesse emesso parola. E Michele comprese la risposta di Gioia, ascoltando i battiti del suo cuore. Si addentrò in lei con delicatezza, chiedendole il permesso per farlo. Crollò nell'incavo della spalla di lei, tanta era l'emozione e il desiderio. Un affondo dietro l'altro, stava perdendo il controllo di sé. Gioia assecondava il suo incedere, posava le sue labbra su quelle di lui.
Rimasero abbracciati per lungo tempo, ancora nudi. Il capo di lei sul petto di lui, che le sfiorava i capelli.
Hai paura che...
Gioia fece spallucce- so solo che ti amo.
Michele la strinse a sè. Al diavolo il mondo, a fanculo tutti. Si sarebbe assunto le sue responsabilità. Col cazzo che era stato incosciente. D'altronde, lui aveva ventitré anni e lei diciotto. Lei era giustificabile, lui no, vista l'età. Era stato amore e basta. Solo amore.
Gioia, quella notte, non rimase incinta e la corsa sulla spiaggia non fu arrestata da nessuno. Michele non la inseguì fino in fondo. Si bloccò, si pietrificò sotto il severo giudizio di suo zio. Gioia si voltò e nella disperazione non si rese conto che era troppo tardi per contare sulle proprie forze. Non riuscì a fermarsi. Si disintegrò contro il costone della montagna, lasciando di sè frammenti di una donna che aveva amato un uomo per quello che era.
***
Lo scrittore francese Marcel Proust fondò un'intera carriera sui ricordi. Siamo tutti, in un modo o in altro, prigionieri del nostro passato. Lo sa bene Gioia, con il naso all'insù e la vista proiettata in direzione di quella che era la vecchia dimora di sua zia Sonia. Il terrazzo, che univa la stanza sua e di Michele, è ben visibile dalla strada. Lasciata Athina, ha creduto bene di portarsi sul lungomare. Giustamente, viste le innumerevoli attività di suo cugino, dove altro può scovarlo? Il bar Miluna, o meglio lei stessa sotto forma di assegno ben speso, è ormai gestito da Antonio. Ecco un buon paragone: Michele ha usato così tanto lei e quel bar che ora non sa proprio che farsene. Meglio che se ne prenda cura qualcun altro. Bello schifo.
Si fa spazio tra i turisti del lido, saluta con un cenno di testa il ragazzo che aiuta Michele. Trova un tavolo di legno in un angolo stretto e decide che li va bene per dirgliene quattro. Dargliene anche quattro non sarebbe male. Afferra due sedie e le posiziona. Si siede su una di esse e attende, tanto lo stronzo uscirà prima o poi. Michele è il prototipo dello stronzo tipo, colui il quale danneggia terzi per il bene proprio. In questo è un eccellenza, dato lo svolgimento dei fatti. Gioia si domanda cosa deve farsene di quell'essere inutile. Se debba prenderlo a calci nel sedere. Se debba limitarsi ad insultarlo.
Michele, sorpreso, la mira. Non si incontrano dall'incidente di Gioia e per lui quella è la migliore delle sorprese. È conscio di essere un idiota, ma un idiota innamorato. Nonostante gli sbagli, la promessa di quella notte è ancora attiva. Più che mai.
Ciao- esclama, attirando l'attenzione di sua cugina.
Siediti- risponde lei, facendogli capire che non tira aria.
Le si pone dinanzi, posando una bottiglia d'acqua gelida con due bicchieri. In mancanza di salivazione, l'acqua può tornare utile.
Come stai?
Gioia si focalizza su di lui con espressione marmorea. È convinta che quella non sia la classica frase di circostanza. Lui seriamente vuole sapere se sta bene o se sta male. Le fissa la cicatrice sul braccio. Come posso mai stare, gli vorrebbe urlare.
Michele percepisce la puzza di guai in vista. Apre la bottiglia, versa il contenuto nel bicchiere e manda giù il tutto, neppure fosse un chupito.
Ti ricordi quando facemmo l'amore quella sera?
Il Scala intuisce immediatamente a quale sera Gioia fa allusione. Così denominarono l'evento, quella sera. Quella sera li fece sospirare per quasi un mese.
Si
Gioia annuisce- bene. Ti ricordi che ebbi un ritardo...- le si strozzano le parole in gola, perché lei sa a cosa sta per puntare.
Si- il respiro di Michele diviene pesante e beve un altro goccio d'acqua- volevo parlare con tuo padre...
Per?- incalza Gioia.
Per dirgli che se eri incinta, io avrei fatto tutto per te. Ti avrei sposata.
Un sorriso beffardo sul viso di Gioia- e certo, Michele. Mi avresti sposata- tira fuori dalla cartellina la copia dell'assegno- questi poi glieli avresti chiesti come dote? Per mantenere me e tuo figlio?- gli lancia in faccia il foglio.
Michele lo prende a volo e compreso di cosa si tratta, sprofonda tra i palmi delle sue mani- maledizione! Vaffanculo! Come hai avuto...
Gioia lo zittisce- come se fosse importante questo. Sono qui solo per comprendere il perché. Perché mi hai venduta così.
Io non ti ho venduta- la voce di Michele esplode- mai- delle persone si voltano, attirati dall'urlo.
Si, mi hai venduta. Hai accettato l'assegno e ti ci sei comprato quel maledettissimo bar.
Tuo padre ci aveva scoperto, non voleva che stessimo insieme. Ti ha portata via, ha portato tutti via da qui- i suoi occhi si gonfiano di lacrime- mio padre era morto, mia madre tirava avanti con quattro spicci, mio fratello era piccolo. Ma tu lo sai cosa significhi sentire il peso della famiglia sulle proprie spalle?
Gioia dà un pugno sul tavolo- e cosa cazzo credi che io abbia fatto? Mio padre ci ha abbandonate. Io e mia madre abbiamo tirato avanti da sole. Io ho sempre lavorato. Ho lavorato e ho vissuto con il senso di colpa. Dovevi dirmi cosa stava succedendo. Era un mio diritto sapere.
Era un mio dovere badare alla mia famiglia e salvare la tua- replica Michele.
Le lacrime rigano il viso di Gioia. Due ragazzi hanno sacrificato il loro amore per proteggere gli adulti che avrebbero dovuto prendersi cura di loro. Adulti non in grado di trarre conclusioni sensate da quel gesto.
Michele tace, schiacciato dal risentimento verso se stesso e verso la sua famiglia. Gioia e Michele, dopo anni, nutrono nuovamente lo stesso sentimento, nello stesso luogo, nello stesso istante: la frustrazione e l'incapacità di metabolizzare le debolezze altrui. L'incapacità di affrontare anche questa peripezia.
Il petto di Michele si gonfia di disperazione. Copre gli occhi. Con aria rimessa pronuncia un secco- io ti devo parlare.
Non c'è bisogno che tu lo faccia- annuncia Gioia, mostrandogli l'istantanea di lui in compagnia di Lara, moglie di Giulio- so tutto. Reputati libero da ogni ricatto.
La foto permette a Michele di chiudere il cerchio- è stata Lara?
È stato Giulio, ma poco conta. Giudicare loro è inutile, equivarrebbe a giudicare noi. È già sappiamo noi cosa siamo.
Non avrebbe dovuto prendersi questo ardire- pronuncia Michele a denti stretti- chi diavolo è lui per entrare nelle nostre vite ancora una volta?
È uno che si è voluto pulire la coscienza- suggerisce refrattaria Gioia.
È uno stronzo, questo è!
Gioia fa un cenno col mento verso Michele- tu sei uno stronzo, da sempre. Ecco come sei.
Sono uno stronzo che ti ama. Ho sbagliato...
Tu hai sempre e solo sbagliato. Non mi parlare di amore
Ti devo parlare Gioia- Michele ripete la frase di prima.
Stiamo parlando, Michele- Gioia rincara la dose- cos'altro hai da confessare? Quale altro grande sacrificio hai compiuto? Quale altra grande magagna hai combinato?
Lucia è incinta.
La rivelazione di Michele risuona tra le mura del locale. È un onda d'urto che esplode nei cuori dei due. Lei guarda lui e lui guarda lei. Lei lo odia, lo disprezza; lui è consapevole che l'ha persa. Lui sa di aver errato in tutto. Che dai ventitré anni la sua condotta l'ha portato in sentieri colmi di spine. E per quanto è vero che il suo cuore è lei, allora quelle spine non hanno fatto altro che infliggere dolore a Gioia, che ora incassa il colpo più duro di tutti. È vero, è devastata a fronte delle bugie del passato. Disorientata, lacerata. Ma un figlio, un figlio da un'altra donna. Da quella donna che sembra essere il suo clone. Michele ha ricercato con Lucia quella notte, nella lotta disperata di mitigare il suo disagio, il suo rimorso e riprendere in mano una vita vissuta è volata via.
Gioia abbassa le palpebre, arresa- ero convinta di aver sbagliato a stabilirmi nuovamente qui, ma ora... Doveva andare così tra noi due. Da un grande amore non poteva che nascere un grande male- sposta la sedia, alzandosi lentamente- io sono come sono, Michele e tu sei come sei. Siamo noi, non siamo più i ragazzini di anni fa. E del Michele di oggi io non scovo che vuoto.
Michele fa per incedere. Gioia lo ferma- no. No, Michele.
Non ci sarà un mio solo respiro che non sarà rivolto a te- conclude lui, distrutto dal dolore.
Gioia lo fissa ancora per un istante- salvati da te stesso prima che sia troppo tardi.
La mattina, prima che suo padre la costringesse a salire in auto alla volta di Napoli, Gioia ebbe tempo per salutare Michele. In preda all'incertezza del futuro, lui le disse che sarebbe tornato. Che avrebbe messo tutto a posto.
Varcata l'uscita del lido, Gioia indossa occhiali da sole scuri, lasciando che quella promessa se la porti via il vento di Minori e questa volta per sempre.
Fine capitolo
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