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Per i diciotto anni, mio padre acquisto una Vespa. Non una qualunque, non una Vespa usata, di seconda mano. Una Vespa nuova, candida, fresca di fabbrica. Una Vespa che non aveva conosciuto altre mani al di fuori di chi stava per riceverla. Bella, bellissima, verniciata rosso fuoco sfavillante, con un motore che, col tempo, non diede mai alcun problema. Era nuova, era un regalo ed era del neo diciottenne della famiglia. Ci affacciammo tutti al balcone, meravigliati. Nessuno sapeva nulla a proposito. Tacevamo per la sorpresa, consapevoli della reazione che quel regalo avrebbe suscitato nel cuore del destinatario. Papà si fermò sotto casa, spense il motorino. Si accostò vicino. Indossava una polo verde. Mio padre è stato sempre un bell'uomo, sempre con i capelli tirati indietro dal gel. Sempre distinto. Un bel padre, un bell'uomo, un bel punto di riferimento. Un bello in tutto, che tutto era tranne che mio. Alzò il braccio, agitò le chiavi. Papà lo guardò, sollevando lo sguardo, entusiasta. Lui, dal suo canto, sgranò le pupille e si affrettò giù. Scese le scale a due a due, compiendo salti alti. Non lo si vedeva straripare di gioia spesso. Era un periodo particolare quello. Era il periodo del chi sono e di chi sono. Quella felicità consolava tanto noi quanto papà. E zio Fabrizio, amato sì, ma impotente dinanzi il grande Paolo.

Scese giù e lo abbracciò. Mio padre gli diede una pacca sulla spalla. Gli pose le grandi mani sul volto e lo guardò dritto negli occhi. Dritto e fitto come fa un padre con un figlio. Solo che quello era mio padre e il figlio era Michele. E di me neppure l'ombra. 

I diciott'anni di Michele furono una festa. Dei miei, un ricordo sbiadito tra gli eventi della famiglia Autieri. Papà tornò tardi da lavoro la sera dei miei diciott'anni. 

Sfoglio l'album di famiglia, uno dei tanti nascosti da mia madre nel ripostiglio della nostra vecchia casa napoletana. L'ho portato con me, qui a Minori e un anno fa a Milano per rimembrare chi ero e chi eravamo. 

Ho sempre saputo che eravamo diversi noi Autieri,  in tutto e per tutto, nessuno escluso. La zia Sonia adolescente con un uomo più grande, abbandonata, sedotta ed incinta; i miei, genitori a metà, innamorati a metà; due cugini persi l'un dell'altro; un padre acquisito morto; un fratello sulle spalle; una sorella, compagna di giochi, della quale non conosci il legame di sangue. Ed infine tuo zio, che ti offre un dono un cospicuo assegno pur di allontanarti da sua figlia, con la paradossale motivazione di proteggere te e non lei. Perché, in fondo, io sua figlia lo sono stata solo biologicamente parlando. Con un assegno mio padre ha evitato scandali e chiacchiericcio. E l'amore, quello sano e duraturo, tra di noi. Con un assegno, ci ha sacrificati sull'altare delle lacrime e del vuoto.

Come stai tesoro?

Fisso il mare, con il braccio stesso sul muretto della terrazza e il mento sprofondato nell'incavo del gomito. La brezza marina scompiglia i capelli.

Voglio rinascere, Athina.

Mi piacerebbe molto poterlo fare. Rinascere dalle ceneri di una famiglia così complessa. Così silenziosamente assassina. Una famiglia che mi ha tolto tutto, che mi porta al fondo di un mare di desolazione, bugie. Bugie divenute rivelazioni e rivelazioni che fanno male. Sarebbe stato meglio ignorare? Vivere non sapendo?

Starai meglio, Gioia.

Si abbassa su di me, baciandomi il capo. Affettuosa come sempre lo è stata. Sincera e disinteressata, non ha mai preteso nulla. Non ha mai chiesto nulla in cambio.
Mi sono rifugiata qui, ancora una volta, in casa sua, dopo l'incontro con Giulio. In preda a delirio, ho trovato rifugio nell'unico luogo dove ero sicura di scovare solidarietà.
Le ho raccontato ogni particolare. Particolari che giacciono sepolti in una cartellina sul tavolo della sua cucina. Faticavo a deglutire. Faticavo a capacitarmi. Faticavo ad accettare. Come se semplice sia farsene una ragione. 
Ho trascorso la notte in questa casa, attendendo Antonio, marito di Athina. Ho sperato che avesse intuito qualcosa. Che potesse aiutarmi. Che magari, dinanzi a quel bar acquistato in quattro e quattr'otto, si fosse posto un quesito. Ma il suo stupore ha dato risposta ad ogni mia domanda. Michele ha sempre goduto della nostra stima. Perché mai avremmo dovuto dubitare di lui? Perché mai avremmo dovuto dubitare che quei soldi fossero l'eredità di zio Fabrizio? 
Michele ha taciuto con tutti. Ha mantenuto il segreto. Ha mantenuto il patto con mio padre. Ha incassato quel maledetto assegno, ha avviato la sua attività commerciale. Ha fatto fortuna, ha mantenuto una famiglia e ha permesso al suo migliore amico di fare lo stesso. Ha messo in piedi un luogo di ritrovo per i ragazzi del posto, ha creato una piccola movida locale e intrattenimento per i turisti. A conti fatti, la vendita del nostro amore ha fruttato bene. Ma Michele è un uomo smanioso, uno di quelli che si sazia momentaneamente. È un irrequieto, con l'animo in continuo affanno. Un lupo alla ricerca della preda che gli scappa perennemente. Ha pensato bene di poter riprendere la sua relazione con me, vista l'assenza di mio padre, di mia madre. Tutto era a suo favore, tutto come desiderava lui. Ma la vita è un susseguirsi di sorprese. Mai sottovalutare la vita e il corso degli eventi. I suoi inganni sono venuti alla luce e galleggiano sulle acque della verità.

Alzo lo sguardo verso la mia amica- mi fa male il cuore, ma devo dirglielo che non tornerò più indietro. Che non ci sarà mai più un futuro. Che è un perdente.

Mi incammino verso la scalinata di casa, non senza aver fatta mia la cartellina con foto e documenti dati da Giulio. Athina mi segue, fermandomi delicatamente per un braccio.

Perché non ti prendi altro tempo per metabolizzare?- trattiene un respiro, strizzando le palpebre- e se ne parlassi con tuo padre. Lui...- si trattiene.

Sono a conoscenza del fatto che i carabinieri hanno convocato Paolo quando ho subito l'aggressione di Martina. So che si è messo a completa disposizione per la firma di documenti e per tutto ciò che comportava la mia degenza in ospedale e il post. So che, economicamente, si è mostrato volenteroso a partecipare. Non ho voluto un soldo da lui, reo di non aver sfruttato forse l'ultima occasione di avvicinamento che la vita gli ha servito su un piatto d'argento. Non ho nulla di cui conversare con lui.

Ho preso e perso tanto tempo, Titì, va bene così. Doveva andare così. - l'allontano- voglio solo Michele ora.

E vado via, direzione lungomare. Lo troverò li, circondato da turisti, ragazze, amici da bar. Circondato da saluti, complimenti, sorrisi. Luci, cocktail, aperitivi sulla spiaggia. Il rumore del mare, la sabbia sui piedi, la pelle abbronzata. Il divertimento mattutino che fa da apripista a quello serale. E il vuoto dell'anima. 

Fine capitolo

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