24
Athina
Avete presente quei momenti in cui si spremono le meningi come fossero agrumi al fine di ricordare un dettaglio dato sempre per scontato, ma oggi di fondamentale importanza? Ecco, appunto, comprendete tranquillamente di cosa sto parlando. Chi più, chi meno, tutti abbiamo avuto questa strana sensazione. Una sensazione strana, che ti rende impotente.
Chiudo alle mie spalle la porta bianca della stanza cinque, quella in cui riposa Gioia. È accaduto tutto in un attimo. Tutto velocemente. Ancora non me ne capacito.
Mi accomodo su una di quelle sedie asettiche e fredde nei corridoi lunghi degli ospedali. Certo, qui la storia è diversa, eppure non ci scovo molta differenza tra un ambulatorio e un ospedale. Entrambi i posti sono governati da un aria di sofferenza, apprensione. Non mettevo piede in uno di questi luoghi dalla nascita di Costas, la felicità della mia esistenza.
Quando si è insinuata nelle nostre vite? Quando Martina ha creduto bene che potesse esser nostra amica? E quando noi abbiamo confermato il suo pensiero?
Era alle mie nozze. Faceva caldo quel giorno, eravamo tutti pregni di sudore. Gioia era accompagnata da sua madre. Io perennemente sotto braccio di mio marito. Michele in disparte, ubriaco. Era precisamente tardo pomeriggio, gli invitati si congedavano all'unisono. Gioia e Serena ci salutavano con sguardi festanti dalla loro auto. Ritornavano a Napoli. Le fissavo con gratitudine emestizia. Chissà quando le avrei rincontrate. Chissà quando avrei rincontrato Gioia.
Il mio vestito era sporco, lo strascico di tre metri un accumulo di polvere. Antonio aveva allentato il nodo della cravatta. Michele era devastato. Aveva gli occhi rossi e il gilet aperto sulla camicia bianca. Quell'istante lo rimembro come se fosse ora, come se la fine della cerimonia si stesse svolgendo ora. Ci faceva pietà, Michele. Era un involucro di tristezza. Osservava noi, la nostra felicità, il principio del nostro percorso matrimoniale e noi ricambiavamo, preoccupati per lui. Martina faceva da cornice ad un quadro disastrato. Aveva le pupille dilatate. Incrudela, aveva assemblato i pezzi di un puzzle difficilissimo. Il giorno del mio matrimonio Martina aveva dato il giusto peso alla distanza che Michele aveva imposto nel loro rapporto di coppia. Ma non si limitò a questo. La allontanò quando lei si avvicinò, urlandole in pieno viso che amava lei, Gioia, di un amore devastante, unico, irripetibile.
Penso proprio che quel giorno abbia sancito la discesa di molti di noi.
Gioia è stata ritrovata da Carmelina, la proprietaria della merceria, svenuta sul ciglio della strada. Ci conosciamo abbastanza bene io e Carmelina da avere l'una il recapito telefonico dell'altra. Non appena mi ha spiegato il motivo della sua agitazione, mi sono fidata da lei, dalla mia amica soccorsa dall'ambulanza. Vederla sdraiata su quella barella mi ha angosciata. Nella mia mente quell'immagine si associava alle parole di Carmelina. L'ho trovata per strada. Gioia, la mia migliore amica, mia sorella, da sola, svenuta. Lei, da sola.
Il secondo step è stato rappresentato dalla domanda che cosa è accaduto. Ma in questo caso, la risposta mi è stata fornita con sorpresa finale.
Appoggio i gomiti sulle ginocchia e custodisco il viso tra i palmi delle mani. Il giorno del mio matrimonio ha segnato la fine di ogni freno inibitorio. Michele è impazzito, Martina ha iniziato a covare il suo odio e Gioia si è addentrata nel vortice dalla disperazione. E ne avrà per molto ancora.
Il portellone d'acciaio si spalanca. Michele avanza a passo svelto. Antonio lo segue, tentando di fermarlo. Non conosco il motivo principale che lo induce a tale gesto, ma sono consapevole che, nel mio sguardo truce, mio marito abbia letto la mia prossima reazione.
Mi alzo di scatto, spalle dritte. Avanzo spedita, sicura. Il braccio destro leggermente indietro, spalanco la mano.
Athina, dov'è Gioia?- domanda ansioso Michele.
Athina, no- mi ammonisce mio marito.
Antonio non riesce a bloccare Michele, sul cui volto si stampa un sonoro schiaffo. Inaspettato, lo stordisce.
Gli urlo contro. Squarcio la mia bocca con un grido di rabbia, tensione e sfinimento. Il mio corpo si accartoccia come un foglio di carta maltrattato. Do sfogo alla drammaticità degli eventi.
Bastardo- strillo- devi sparire dalle nostre vite.
Athina, calmati- mi abbraccia Antonio- calmati. Qui ci mandano via se esageri.
Mi dimeno come un pesce appena catturato- hanno chiamato suo padre, stronzo. Hai capito? I carabinieri hanno chiamato suo padre. Capisci cosa significhi questo per lei?
Tento di scansare Antonio, mio malgrado non riesco- tu-gli punto il dito contro-sei tu ad aver rovinato tutto. Sei tu ad aver distrutto ogni cosa".
Il veleno sputatogli addosso non lo uccidono. Piuttosto è la rivelazione della presenza di Paolo che lo turba.
Michele arretra. Un passo, un altro. Un visibile sussulto lungo il corpo. Arretra nuovamente sino ad andare via da dove era venuto. Come se mi aspettassi di più da lui.
Guardo Antonio, piangendo- se Gioia vede il padre è la fine. È la fine, Antonio. È così indifesa, così stanca...
Stai tranquilla, Paolo è in contatto con i medici, ma non ha chiesto di vederla. È anche lui un medico e comprende la situazione- mi fa accomodare nuovamente sulla sedia.
E Martina?- domando.
È con i carabinieri- replica premuroso nei miei riguardi.
Cosa sia realmente accaduto probabilmente non lo sapremo mai. Gioia a stento ricorda. Le telecamere, poste lungo la strada, hanno in parte soddisfatto la nostra voglia di conoscenza. Hanno mostrato l'intera sequenza. Gioia per conti suoi, ad un tratto si ferma, si scruta attorno. Tempo qualche secondo, compare Martina. Le due parlano, l'una di fronte l'altra. Sino a quando Martina strattona Gioia, che compie dei passi indietro, inciampando sul marciapiede. Cade e batte la testa. Martina si sporge, le mani sul viso. Scappa via, terrorizzata.
Non so se avrei preferito sapere che l'aveva aggredita piuttosto che riscontrare ulteriormente la sua vigliaccheria. L'ha lasciata lì, sul ciglio della strada, senza riflettere sulle ripercussioni di quella caduta. L'ha lasciata e ha pensato unicamente a se stessa.
I carabinieri l'hanno rintracciata a casa sua, in compagnia di Lorenzo, figlio del proprietario di casa di Gioia. Ora si che sappiamo come Martina si sia introdotta nel monolocale di Gioia, tappezzandolo di fotografie e messaggi. Lorenzo e il padre erano e tutt'ora sono sconvolti all'idea di esser stati usati senza troppe remore.
Affondo lo sguardo in quello di mio marito, dove riesco a trovare un alito di respiro. L'unico in grado di coltivare tregua nella mia vita.
Se ilbnostro matrimonio ha decretato l'inizio della fine, per noi due ha stabilito la complicità eterna.
Chissà se anche lui si pone lo stesso quesito. Se anche lui si chiede com'è possibile che gli eventi abbiano preso questa piega. In fondo eravamo quattro amici, colmi di aspettative, pieni di vita. Pieni d'amore. Volevamo vivere, volevamo amare.
Sento nel profondo di me stessa che ogni cosa è terminata, che è impossibile recuperare noi. Non esistiamo più, non ci siamo più. Restano di quei quattro ragazzi pezzi di promesse infrante.
Antonio bacia la mia fronte- andiamo da Gioia, amore. Teniamole compagnia. Penseremo dopo a suo padre, Michele, Martina.
Annuisco, dandogli ragione. Si, penseremo a loro, ma non ora.
Fine capitolo
Grazie mille e scusate il ritardo!
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