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Un intenso aroma di zucchero filato e mandorle caramellate aleggia tra le viuzze di Minori. Migliaia di cavi elettrici (con il benestare delle norme in vigore) penzolano tra un balcone e l'altro. Sedie di legno, basse e non propriamente comode, sparse alla cieca. Netturbini impegnatissimi, con enormi bustoni color petrolio, alla ricerca di bicchieri ed ogni altro oggetto da cestinare. 

La festa della santa patrona, San Trofimena, ha origini antichissime, esattamente da quando il Cristianesimo si è introdotto nell'esigua comunità. Puntualmente il sindaco, grandissimo festaiolo abbigliato con paramenti degni di una papessa, rinnova la tradizione, imponendo a chiunque la chiusura dell'attività e disseminando nella città giocolieri, pagliacci, gonfiabili per l'intrattenimento dei bimbi e carretti zeppi di cibi nostrani per gli adulti. 

Dotata Minori di discese e salite, ho optato per un classico paia di ballerine in modo da potermi muovere agilmente senza alcun intoppo. Costas è tra le mie braccia, con occhioni sgranati e ciuccio in bella vista. Adoro la meraviglia palesatasi sul suo viso, quello stupore e quella sorpresa che attanagliano il suo cuore. È così felice da rendere una routine paesana un evento indimenticabile da trascrivere negli annali. Athina passeggia sotto braccio con Antonio. Ogni tanto lui gli stampa un bacio sul capo e lei lo solleva sorridendogli. 

Ho preso il bambino con me non solo per puro egoismo, ma per dare ai miei amici un attimo di privacy, un attimo di coppia che si riduce con la nascita di un figlio e con due attività importanti come le loro. Quando si è decisamente indaffarati, solo il rispetto e l'amore tengono vivo un rapporto. Li invidio. Sono nati e cresciuti con me. Sono stati capaci di creare un'esistenza limpida come le acque del nostro mare.

Osservo lo smartphone. Michele mi ha avvisata in merito al suo ritardo. È impegnato con i fratelli. A quanto pare Monia e Vittorio sono ancora attanagliati dalla scuola e dalle innumerevoli prove da sostenere, dunque il soggiorno a Minori è bello che lontano. Di conseguenza Michele deve accontentarsi delle videochiamate, peraltro effettuate in base agli orari dei due ragazzi. Eravamo quasi tutti consci della puntualità svizzera, ma non fin quando i due hanno intrapreso gli studi. Capitò, una volta, che Vittorio entrasse con cinque minuti di ritardo in classe a causa di una telefonata con la zia Sonia, sua madre. Gli sono costati una nota in pagella, grosso demerito per l'alunno tipo. Si cerca, quindi, di stare alla pari con le loro esigenze per non compromettere la buona riuscita del corso e dell'esame finale. 

Non vedo l'ora di riabbracciare i miei cugini. Vittorio è splendido con la divisa, sono certa che suscita gran interesse nel gentil sesso. In lui rivedo il fratello, Michele con quei sorrisi unici, spensierati, persisi negli strascichi della vita.
E Monia, così portata per la pasticceria, ha imparato a modellare il cioccolato creando delle sculture bellissime come le sue guance paffute. Zurigo le ha donato dei chili in più che le calzano meravigliosamente. Prevedo per entrambi un futuro luminoso e colmo di successi.

Due braccia muscolose cingono il mio addome, stringendomi. Un profumo facilmente riconoscibile e un bacio sotto il mento. Poggia il suo volto nell'incavo della mia spalla, annusando la pelle. Lo bacio tra i capelli. Costas, in tutta risposta, batte le manine sulla testa di Michele, ridendo e scalpitando.

Sembra che qualcuno voglia giocare con te- gli sussurro.

Si lascia andare ad una smorfia- il guaio è che quando inizia, non smette più.

Michele prende Costas, lo culla, lo bacia con veemenza sul pancino, gli fa il solletico. Poi, d'un tratto, lo lancia leggermente in aria, riafferrandolo. Mi sale il cuore in gola per lo spavento. Gli poso la mano sul polso.

Ti prego, così no

Strabuzza gli occhi, tentando di rasserenarmi- non si fa male.

Annuisco- si, lo so, ma ho paura.

Fidati di me- esclama, godendosi l'ilarità di Costas- e poi ho visto te fare lo stesso.

Resto interdetta, non capendo bene le sue parole. Michele mi chiede di fermarmi vicino ad un angolo di strada, richiama l'attenzione di Antonio e gli porge il figlio. Tití mi saluta da lontano e ricambio il suo gesto.

Michele si avvicina nuovamente, con tenerezza.

Non ci giro attorno, tanto te lo avrei detto prima o poi- emana un gran fascino con la sua camicia arrotolata e il pantalone scuro- mi trovavo a Firenze per un corso di formazione, ero in stazione quando mi sono imbattuto in un treno per Milano e ci  sono salito su- chiude le mie mani tra le sue- sono venuto da te, mi mancavi, volevo vederti anche solo per un attimo. Anche solo da lontano.

Eri fuori la biblioteca?- domando incredula, come a voler dar conferma a quella strana sensazione che mi indusse quel pomeriggio a lasciar tutto ed uscire fuori dalla struttura come impossessata da un presagio. 

Si, ero lì. Ti ho osservata per un po', il tempo utile per comprendere che eri contenta e per accorgermi che i tuoi occhi non erano poi così tristi come quando sei stata con me- sospira, lo sguardo mesto- io lo so che tu mi ami ed io amo te, tanto. Ma so pure io chi sono, cosa sono stato e cosa sono nella tua esistenza. Se fossi entrato e se ci fossimo trovati faccia a faccia, ti avrei riportata in quel mondo dal quale sei fuggita. 

Io ci sono ritornata in questo mondo, Michè- esordisco.

Si, ma per scelta tua. Ci sei tornata perché lo volevi tu e non io- mi abbraccia forte a se- io ti amo, Gioia, non volevo che tu mi odiassi per essermi introdotto nella tua quotidianità senza chiedere se potessi.

Respiro intensamente, abbassando le palpebre. Nelle mie orecchie fischiano le voci dei ricordi, di Jessica e suo marito, dei ragazzini che frequentavano villa Affori, delle colleghe. E l'immagine di quell'ombra scura, così familiare. Quel profumo troppo, troppo noto. Ed ora tutto questo, la confessione di Michele, che, per una volta, ha anteposto me a se stesso. Apprezzo il suo gesto, quell'esser scomparso così come è apparso. Non avrei apprezzato, diversamente, allora. L'avrei vista come una violenza gratuita. Non era ancora il momento giusto. Non lo era per entrambi. Non era questo momento, con queste parole, con questo amore.


***

Le due di notte e la festa ancora nel pieno del suo compimento. Camminiamo mano nella mano, la mia testa appoggiata alla sua spalla.

La luna brilla, una luna piena, tonda, di quelle che non si vedono sempre. La leggenda dice che uno spettacolo naturale del genere presagisce follia, pazzia e baccanali. Incespico, le gambe si aggrovigliano tra loro.

Da non crederci, non cambierai mai- sentenzia, ridendo sotto i baffi.

Perché?-rispondo.

Mezzo bicchiere di birra- mi sostiene con un braccio attorno la vita- che faceva pure schifo e sei brilla.

Sbotto, contrariata- non sono brilla.

Michele agita la mano- no, infatti. 

Una mano sotto il ginocchio e men che non si dica mi ritrovo sospesa tra le sue braccia.

Ma che fai?- esclamo.

Evito che tu possa cadere, Gioia mia.

Lontani dalla piazzetta, ci muoviamo nella solitudine del lungomare. La fontana centrale getta acqua fresca e potabile a fiotti. Il lido di Michele è chiuso al pubblico, ma con l'insegna ancora luminosa. Nessun pescatore in attività, le barchette sono ormeggiate e si godono il meritato riposo. 

Peso?- domando.

Non più di quando eri diciottenne- mi dice, svelando l'arcano e rivolgendomi il miglior complimento che una donna possa ricevere- per me resterai sempre la Gioia di anni fa.

Sono una persona diversa, non sono più la Gioia di prima- e in effetti è così, gli anni cambiano così come le persone. Non si è più le donne, gli uomini di una volta.

Avrei voluto che il tempo si fosse fermato a quell'estate. Certo, papà era morto da poco, ma tu hai fermato il dolore. Mi hai reso felice.

Gli accarezzo la guancia- ci saranno altre estati, Michele, altri inverni. Altri anni. È così, tutto cambia, tutto muta. Non siamo più ragazzi, quei ragazzi.

Annuisce, dandomi ragione- lo so, amore.

Ci dirigiamo verso casa sua a passo svelto. Suppongo di aver intuito dove e con chi trascorrerò la notte. Il vicoletto è illuminato in parte dai lampioni. Le scale che danno alla casa di Michele sono avvolte dalle tenebre. 

Sempre accoccolata al suo petto, aguzzo la vista, scorgendo una sagoma. Piccola, esile, se ne sta ferma nei pressi di casa Autieri. Mi pare che abbia lunghi capelli e mani congiunte. Una ragazza.

Michè, ma chi è?

Fa spallucce- forse la figlia di Concetta, si mette sempre lì quando fuma, così la madre non la scopre.

Ci avviciniamo sempre più e dinanzi al nostro incedere, la ragazza fugge via, voltandosi le spalle. Scomparendo nel buio profondo. Noi accediamo in casa, tranquillamente. 

Non mi sento al sicuro. Non mi sento calma. C'è qualcosa in moto, lo percepisco nelle vibrazioni segrete del paese. C'è qualcosa in moto che mi riguarda ma non sono capace di capire cosa sia. Quella non era la vicina di casa di Michele, ne sono certa.









Fine

Alla prossima settimana. 

Con affetto,

Carla.


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