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Afferro il portellone del mini frigo sotto il lavabo. Do una sbirciata, alla ricerca della bottiglia in vetro satinato dove conservo il caffè freddo. L'estate, stagione dei frutti maturi e succulenti, viene identificata dal napoletano tipo come un giardino incantato, con animali candidi e deliziosi e siepi ben curate con fiorellini rosa pallido. Una distesa di erba, puntellata da rugiada che evapora sotto il tocco dei raggi solari. Gli uccellini cinguettano e i passerotti sgranocchiano qualche ghianda. Poi il dramma, il bivio. Il giardino si dristica in due sentieri ed il napoletano tipo si chiede cosa fare, cosa ne sarà di lui. Perché quel giardino così paradisiaco gli pone dinanzi la dura realtà: con temperature torride ed un caldo infernale, in che modo si può mandare giù un espresso bollente? 

Pensateci bene, il caffè è il padre delle bevande. Senza caffè non si cantano messe. Perché per quanto possa essere sveglio, intelligente, scaltro, istruito, il napoletano non si attiva senza caffè. Senza quell'aroma inconfondibile che sale nelle narici. Senza quel gusto dolce o amaro che scende come ruscello lungo l'esofago. Il caffè, l'essenza, la vita, la casa del napoletano. 

Poggio, su un piatto piano di ceramica rossa, la bottiglia e due tazzine. Con attenzione e maestria, mi reco verso la terrazza di casa mia. Sul divano superstite della scorsa stagione, se ne sta stravaccato Michele, a piedi scalzi e bermuda comodo. Indossa una polo giallo paglierino. Si passa una mano tra i capelli. Sbadiglia. Se non erro, l'orologio segna l'una di notte che, comprenderete bene, non è il massimo per un ragazzo che inizia il suo lavoro alle sei del mattino.

Ho inviato un whatsapp a Mario- esclama, non appena poggio il tutto su una sedia- gli ho chiesto di aprire lui lo stabilimento. 

Mario è il ragazzo che aiuta mio cugino al lido. Ha poco più di diciotto anni e una voglia di apprendere e lavorare fuori dal comune. Perennemente indaffarato, è in grado anche di occuparsi di faccende non di sua competenza. Un gran lavoratore, uno dei pochi che si guadagnano a pieno il salario. Da aggiungere il suo senso di gratitudine e dunque fedeltà. Minori è un piccolo centro e in quanto tale offre possibilità di lavoro esigue, se non minime, unicamente in alta stagione. Disporre oggi della possibilità di lavorare vicino casa, senza dover trasferirsi altrove, è quasi un lusso. E Mario questo l'ha capito, tanto da aiutare Michele in tutto. E Michele, non potendo più fare a meno di un tale aiuto, lo premia i tutti i modi possibili. Anche se, in questa immensa situazione positiva, manca qualcuno e quel qualcuno è Antonio, il marito di Titì, ormai gestore del bar. Quando può, Michele si reca al Miluna solo per rivivere la grande scalata nel mondo dell'economia minorese con il suo amico fraterno. Accede al bar con grande entusiasmo e ne esce con malinconia.

Hai fatto bene- gli rispondo, mentre gli porgo la tazzina- hai bisogno di risposo.

Sorseggia un po'- ho bisogno di trovare il coglione che è entrato in casa tua. 

Mi siedo di fronte, allungando le gambe, i piedi privi di infradito, sbuffando rumorosamente.

Domani chiamo il proprietario e gli chiedo di cambiare la serratura sia al cancello giù che qui- replico, indicando la porta di casa.

Michele è visibilmente irritato. Freme e si mordicchia il labbro- deve cambiare la serratura immediatamente- gesticola in balia della sua agitazione- ma proprio subito- picchietta sul bracciolo del divano- e poi scopro chi è il coglione che ci ha fatto questo regalo.

Fa segno alle foto buttate in un angolo a terra. Le guarda con sguardo truce, adirato. Il mio tono di voce agitato, l'ha indotto, qualche ora fa, a precipitarsi a casa, imbattendosi in un collage strano. Sulla porta erano affisse più foto, che ritraevano Michele con sue vecchie fiamme, ragazze con cui ha avuto brevi relazioni in passato, con l'ex fidanzata Martina e l'attuale, Lucia. E nuovamente quelle frasi. E tu? Tu dove sei?

Il primo biglietto, trovato nella buca della posta, non era nessun messaggio romantico al figlio del ristoratore. Era per me, era solo per me. Solo ed unicamente per me. 

Avresti dovuto dirmi del primo messaggio- mi rimprovera.

Michè, ma che cavolo ne sapevo io. Ma che cavolo c'entro io- sbotto, stufa del suo continuo ripetere sempre la stessa storia- vuoi vedere che sono contenta all'idea che uno mi sia entrato in casa per fare cosa, poi? 

Per rompere il cazzo. Per farti vedere che non sei nella mia vita- commenta a caldo. 

Michele, il principe dell'ovvio, contro il re dell'idiozia. Sono ancora sgomenta. Ciò che più mi turba è la violazione della mia intimità. Sapere che un soggetto qualsiasi si sia intrufolato furtivamente nel mio privato senza autorizzazione alcuna. E ciò che più mi angoscia è l'idea che questa stessa persona possa conoscere i miei spostamenti. Possibile mai che gli sia andata di lusso due volte? Che nessuno, per due volte in tre giorni, non abbia notato spostamenti strani?

E l'ammetto, si, sono sempre stata al corrente delle prodezze sentimentali di Michele. Potrei citarvi il nome di ognuna di quelle ragazze. Con alcune ci sono praticamente cresciuta. Comprenderete che non vi fossero molti adolescenti ne allora ne oggi. Ma Lucia non la conosco, sette anni ci dividono, suppongo per entrambe cruciali. Per entrambe di crescita. Ha un bellissimo sorriso, luminoso, fresco. Una luce scintillante negli occhi. È libera, priva di zavorre, con problemi e dinamiche che appartengono alla sua età. Ora percepisco il significato delle parole di Titì.

Faccio spallucce, scacciando lo spettro di Lucia- vorrei capire solo chi sia. Perché ha organizzato tutto questo- lo osservo preoccupata- e soprattutto se devo aspettarmi dell'altro. 

Non lo so Gioia, ma non voglio che resti da sola in casa. Vieni da me, io lavoro sempre, l'appartamento è vuoto. E Monia e Vittorio non sono ancora di ritorno.

Ci penserò- tiro corto.

Michele sgrana le pupille- e a cosa dovresti pensare? 

Michè, non me la sento. E tu hai le cose tue- tento di rassicurarlo- parlerò con il proprietario e gli spiegherò in parte quanto accaduto. Poi, Michè, diciamocela tutta, se l'obiettivo di questa persona è spaventarmi o non so cos'altro, ci riuscirà ovunque io sarò.

E tu mi vuoi far schiattare in corpo all'idea che qualcuno ti possa far del male?- il tono di voce è sostenuto- non se ne parla, Giò. 

Michè, lasciami fare.

Si alza dal divano, iniziando a gironzolare per il terrazzo come una trottola- lasciami fare? Ma tu si' pazza, Gioia?- mi punta l'indice contro- domani parlo con Athina, lei di sicuro ti farà cambiare idea. Ormai ascolti solo lei.

Michele, era meglio se non ti avessi chiamato. Se avessi strappato tutto e via.

Al suono di queste parole, si abbandona in una sfuriata utile a liberarsi l'anima- ci sarà un motivo dietro la tua telefonata, no?! Eri agitata, Gioia, avevi paura.

Lo so, Michele, l'ho detto io in primis, ma non voglio stravolgere nuovamente la mia quotidianità- mi impongo con autorevolezza.

E tu questo non me lo devi dire- pronuncia a denti stretti- non me lo devi dire. Io non ti ho mai cacciata, non ti ho mai respinta. Tu mi hai lasciato...

Tu mi hai tradita- gli urlo in faccia, stanca del suo vittimismo- tu hai tradito la mia fiducia.

E cosa pretendevi da me, che accettassi la tua relazione con quello stronzo. Ma tu veramente vai?- a malapena mantiene la sua ira- io avrei voluto prenderlo a calci in culo, avrei voluto riempirlo di pugni. Io sto male- si flette sulle gambe- sto da cani senza di te. Non sopporto più niente, perché te ne vai, sempre. Perché entri ed esci, entri ed esci da questa cazzo di vita mia con tutti i nostri problemi, con tutte le questioni non risolte. Sto male Gioia senza di te. Sto male come un anno fa, cinque anni fa, perché senza di te non trovo pace.

Si abbassa, raccoglie una fotografia- è per lei che non vieni? Non vuoi venire per Lucia? Quale altro problema c'è tra di noi oltre a quelli che già abbiamo?  - mi spiaccica la foto sotto il naso- la frequento perché mi fa rivivere quella spensieratezza che avevi tu. Per un attimo mi fa pensare che tutta questa non sia la mia vita, che ho ancora vent'anni e che tu arriverai con il tuo vestito rosso a pois all'improvviso, come facevi sempre, stringendomi forte a te.

Mi afferra delicatamente per i polsi- Gioia voglio solo te, solo te- mi stampa un bacio caldo, forte, carnale sulle labbra. Uno di quelli che percepisci anche una volta terminati- sono stanco, sono stanco morto. Ridammi la tranquillità, ridammi la felicità e la mia vita.

Michele, aspetta...

Le parole mi si strozzano in gola e il desiderio avvampa. Un desiderio represso che sa di calore, di un sentimento così profondo, così radicato nel cuore, così doloroso. Ci fiondiamo sul divano, illuminati unicamente dalla luce della luna, dalle stelle, che ne hanno viste tante tra me e Michele e che ancora non si stancano di mirarci.





Fine 

Grazie mille a tutti

Dedico questo capitolo alla mia lettrice JessicaBarone5

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