Epilogo

Se non fosse per te

Bugie


42

Epilogo


Nella letteratura italiana e straniera, le strade adiacenti alle stazioni ferroviarie venivano descritte come luoghi in cui bivaccavano i derelitti. Prostitute si vendevano per pochi spicci in tuguri sporchi e maleodoranti. Ladri e zingare girovagavano in cerca del signore da derubare. Ricettatori esponevano la refurtiva in compro oro gestiti da uomini di malaffare.
Strade dove tutto era lecito, terra di nessuno, in totale anarchia. Qua e là trasfertisti, lavoratori e viaggiatori camminavano velocemente con sguardo basso, pur di non attrarre l'attenzione dei truffatori.

Acqua oleosa e densa sgorgava in un tombino sotto il marciapiede. Del fumo usciva fuori da una marmitta. Spense il motore, alzò la visiera e scrutò a destra e sinistra. Osservò l'orologio, compiacendosi del fatto di essere in anticipo.
Faceva decisamente caldo, ma mantenne il casco in testa per evitare di esser riconosciuto. Salerno era un grande paese, una città dalle mille attrattive. Ma con la fortuna che aveva, era quasi certo di imbattersi in un conoscente. No, nessuno doveva sapere di lui oggi. Nessuno doveva esser a conoscenza di questo incontro, eccezione fatta per lei, che aveva richiesto la sua presenza in un vicolo alle spalle della stazione. Un luogo trafficato, vespe sfrecciavano senza prestare ben che minima attenzione alla segnaletica stradale. Auto in doppia fila, i parcheggi erano un lusso anche a pagamento.

La buona sorte fu dalla sua parte, dinanzi un gran portone aveva trovato spazio per se e per lei. In sella alla motocicletta, si domandava che viso lei avesse. Se fosse alta, bassa, magra. Se fosse esattamente come l'aveva immaginata solo ascoltandola a telefono: acida e determinata. Le rosse disponevano di un grande fascino, ma gli erano sempre piaciute le more.

La questione che più lo tormentava riguardava il perché di quella richiesta. Venire, incontrarsi qui come due fuggiaschi, ma a pro di cosa? Tutto era proceduto come doveva, o meglio in parte. La conclusione del loro piano, almeno per lui, aveva assunto una piega inaspettata. Ma anche in quel caso, la soluzione era quasi delineata.

Aveva imparato sin da piccolo ad escogitare una risoluzione. Quella vita colma di imprevisti lo aveva aiutato ad aguzzare la vista e l'ingegno. Laddove gli altri si fermavano sconfitti, lui si intestardiva. Come un toro impazzito, sbatteva le corna contro il muro sino a ridurlo in polvere.

All'età di ventitré anni, dopo esser stato preso abbondantemente a calci dal fato, si era posto un obiettivo: conquistare sempre e comunque, a qualsiasi costo.

No, non poteva perdere. Non poteva starsene lì a subire il corso degli eventi. Non poteva permettere a nessuno di togliergli il pane da sotto i denti. Non ora che viveva dignitosamente, non ora che gli mancava solo un dettaglio, il più prezioso, per esser felice.

Da poco gli era guarita la caviglia destra. Nel pieno dell'impeto e della rabbia sorda e cieca, aveva sferrato calci contro qualunque oggetto gli si palesasse dinanzi. Nessuno era riuscito a placarlo, avevano tentato, ma invano. Era pressoché impossibile. Quindi avevano desistito, auspicando che il nervosismo finisse. E così era stato, con la differenza che questa volta non poteva contattare nessuno. Non poteva eleggere nessuno come suo nuovo braccio destro. Il piano si era chiuso a cerchio, come progettato, ma il punto di giuntura non era stato lui.

Aveva immaginato tutto come due punti che prendono direzioni diverse sino ad incontrarsi nuovamente, per legarsi per sempre. Era successo proprio così, si erano ritrovati, erano esattamente sulla stessa linea di partenza. La vita aveva segnalato l'inizio della gara e loro avevano proceduto con una corsa estenuante, costellata da salti e slalom. Da persone incontrate, lasciate, evitate. La competizione prevedeva una vittoria, lui aveva tagliato per primo il traguardo. Prese fiato, genuflettendosi. Respirò a fondo, salvo poi notare di esser solo. Nessuno sugli spalti ad applaudirlo, nessuno ad incoronarlo, nessuno a congratularsi. Ma soprattutto nessuno giunto dopo di lui. Si era voltato, arrivando a conclusione che lei non c'era. Lei, il suo punto di giuntura alla fine del piano, si era tirata indietro. Stufa di quel gioco.

Da allora non faceva che tormentarsi, come un bambino a cui viene negato il gioco nuovo. La rivoleva, la voleva nuovamente al suo fianco. Come un tempo.

Si, era stato stronzo, stupido, poco lungimirante. Si era fatto trasportare dell'impeto. Ma su una cosa non poteva esser criticato: come l'amava lui, non l'amava nessuno.

Se gli avessero chiesto perché proprio lei, di certo avrebbe risposto con la frase "sono nato per ...".
Non un modo di dire per silenziare l'altro, ma una netta dichiarazione d'amore. Lui era nato perché destinato a lei. Perché in tutta la sua esistenza non aveva che fatto quello, venerarla come si fa per qualcosa di inestimabile.

Lei non se ne rendeva conto, ma lui la osservava sottecchi in ogni occasione. Mentre lavorava, mentre cucinava, mentre scansava le onde a mare. Mentre si abbronzava, mentre dipingeva, mentre sorrideva. Quanto rimpiangeva i giorni passati, quando saette infuocate fulminavano i loro occhi in un incedere di sesso e amore. Aveva ritrovato quei brividi per meri secondi e quasi se l'era fatta sotto nelle mutande come un adolescente.

"Io ti amo"- non faceva che ripeterlo-"ti amo e non ti perderò per una seconda volta. E se dovrò combattere, lo farò, anche contro di te. Contro ciò che tu credi io ti abbia fatto".

Già, quello che lui aveva fatto. Bazzecole confronto a quel coglione incravattato. Come avrebbe voluto prenderlo a pugni, pestarlo anche dopo aver udito le sue suppliche. Lo detestava da quando gli aveva stretto la mano, ma dinanzi a lei si era dovuto arrendere a buon viso a cattivo gioco. Poi aveva scacciato l'idea di loro due a letto insieme, lui che possedeva quel corpo che era stato suo. Aveva tentato di farselo amico, ma lei non aveva gradito e in fondo lui neppure, quel damerino gli stava sul cazzo. Questa era la sentenza.
Una prima coltellata era stata la dichiarazione di lei, che a pieni polmoni gli aveva gridato che si stava innamorando di quell'impomatato. Ma come? Innamorarsi di lui? Come poteva riuscirci? Ed infine il bacio. Si, lo aveva intravisto, ma al diavolo il mondo. L'aveva baciata perché stava impazzendo e inconsciamente lei pure.

Tutto aveva avuto inizio in quell'istante, quando lei si allontanò con lui. Prese il suo smartphone e cercò il nome della sua attuale complice sui social. Il paese è piccolo tanto che chiunque è a conoscenza della privacy altrui. Aveva chiesto informazioni ad un cliente, a quanto pare l'unico ad essere al corrente di quel nome. L'aveva contatta in privato, allegandole il suo numero di telefono e una fotografia.

Così Michele Autieri si era attivato per stanare Giulio Gori, il suo rivale in amore. Spedendo alla compagna di quest'ultimo, Lara, una fotografia di lui con Gioia, abbracciati. Era seguita una telefonata, una breve presentazione e una promessa.

"Non preoccuparti, Michele"-lo aveva rassicurato-"ci penso io a Giulio".

Eppure dopo esser riuscito ad estorcere la verità ad Athina, dopo giorni dalla partenza di Gioia, Michele si domandava se "quel ci penso io" di Lara non fosse stato troppo per sua cugina. D'altronde, si, Gioia aveva fatto male i conti con quell'avvocato, ma l'infedele era lui, no lei. Non c'era bisogno di accanirsi con quelle foto oscene. Addirittura con l'ecografia. Meritava di sapere la verità, no di essere schernita ed umiliata.

Anche Lara Splendore era amante del perfetto orario. Ingessata in un completo che risaltava le sue forme generose. Le strinse la mano. Restarono in piedi dinanzi la moto, a suggellare il primo ed ultimo incontro nella loro vita.

"Perché mi hai fatto venire qui?".

"Per vedere che faccia avevi".

"Contenta?".

"Non sei migliore di me, Michele".

Che affermazione becera. Certo che era migliore di lei. Lei che comprava quotidianamente il suo uomo. Proprio non si capacitava, Michele. Perché mai una donna di successo, benestante e sensuale doveva accontentarsi di uno come Giulio? Possibile mai che non ci fossero per lei dei corteggiatori? Ma in fondo erano fatti suoi, ognuno ha ciò che merita e se a Lara il destino riservava il Gori, un motivo c'era!

Dopo aver provato compassione per lei, si rimise sulla moto. Questo incontro non doveva aver luogo. Piegandosi alla sua volontà, voleva scongiurare eventuali problemi in futuro.

"Non abbiamo più nulla da spartire io e te, Lara. Tu hai aiutato me, io te. Finisce qui quanto concordato".

Avrebbe voluto dirle che era una lurida donnetta priva di dignità. Che poteva comprare tutto tranne l'eleganza, la compostezza, la trasparenza di Gioia. Che Giulio aveva fiuto, perché sua cugina poteva ficcarsi Lara degnamente in tasca. Esatto, Lara con quell'assurda idea delle foto non aveva che mostrato la sua fragilità. Gioia non era come quelle sciaquette mezze nude, le amanti di Giulio. Gioia era altro, la donna che concretamente poteva portarglielo via per sempre. Altro che pensieri e distrazione, Giulio, da quando frequentava la bella Autieri, era su un altro mondo. Distaccato, freddo, ma soprattutto sereno. Non ci metteva la mano sul fuoco per timore di bruciarsi, ma scommetteva che Giulio fosse sinceramente invaghito di Gioia. Più di quanto fosse accaduto con la sarda e via discorrendo. Per questo Lara era stata così truce e senza scrupoli. Umiliarla nel profondo per sentirsi ancora padrona di qualcuno che le stava sfuggendo di mano.

"Sono d'accordo, ora che Giulio è a casa con me. Piuttosto tu che farai con Gioia?"

"Andrò a riprendermela. È questo ciò che fa un uomo innamorato"

Lara aveva incassato. Un uomo innamorato, sicuro non il suo, che se ne stava a Salerno per senso del dovere e non dell'amore. Quanto disprezzo nutriva per Michele e per quella Gioia, che trasudavano sentimenti e coraggio. Lei, Lara, che faceva i conti con la forza del suo cuore solo grazie alle sedute dal cardiologo della palestra che frequentava. Sapeva di averne uno di cuore poiché i macchinari ne registravano i battiti. Per il resto era un organo secondario. Le bastava il cervello attivo. Era con quello che metteva su progetti ingegnosi al fine di far rigare dritto il suo compagno.

"Guardati bene alle spalle, Autieri, non vorrei che Gioia venisse a conoscenza del tuo accordo con suo padre".

Michele aveva incassato con nonchalance. Era sicuro che lei, attraverso il suoi agganci, avesse cercato quante più informazioni sul suo conto. Quasi voleva complimentarsi, la vicenda a cui alludeva era nota unicamente a tre attori: lui, suo zio, la banca. Ma un avvocato penalista ti scuoia vivo e Lara il suo mestiere lo svolgeva superbamente. Un solo appunto Michele si sentiva di fare e questa volta non si zittì. Meglio scoprire le carte e presentarsi per ciò che si è. Anche lui, del resto, aveva le sue amicizie e gli erano bastati dieci minuti nello studio di Lucrezia, ginecologa di Minori. Un giro di telefonate atte a confermare ogni notizia. Aveva il sentore che qualcosa non quadrasse. Tutto troppo lineare, troppo spiegato. Tutto troppo accaduto al momento giusto. Lui, che a compromessi era sceso tempo fa, considerava quella gravidanza sospetta. Si erano telefonati più volte, Lara non ne aveva mai fatto cenno. L'avvocatessa mica poteva correre il rischio che Gioia, in un istante di irrazionalità, perdonasse Giulio! A conti fatti poteva, magari mettendo il Gori con spalle al muro: "o me, o Lara e la vostra vita di merda".
Occorreva qualcosa di forte, qualcosa di non preventivato. Qualcosa che spingesse Gioia ad allontanare Giulio definitivamente. E chi più di un bebè in arrivo?
I conti non quadravano e col cavolo che Lara Splendore faceva fesso e contento Michele Autieri.

"Tu pensa a farti mettere incita. Ai fatti miei ci penso io".

E per come era sbiancata Lara, Michele aveva compreso di aver avuto la giusta intuizione. L'aveva stupita, l'aveva tramortita e messa in guardia. Non poteva ricattarlo e non doveva farlo. Avrebbe perso all'istante Giulio se solo fosse venuto a galla che il suo ventre era vuoto come la sua persona.

Michele mise in moto e sgattaiolò via. Lara entrò in auto e fece ritorno allo studio legale, arrovellando il cervello con il prossimo step: fare sesso non protetto. L'apoteosi delle battaglie femministe.

Ognuno avrebbe proseguito individualmente, il grosso era stato fatto. E i punti stavano per riunirsi, ancora una volta. Michele si faceva coraggio, rivolgeva le sue riflessioni a Gioia. La sua unica Gioia.

" Gioia mia".

Di nuovo, una ritrovata possibilità. Ancora, un'altra occasione. Un'altra opportunità in un mare di bugie.


----------------

Fine

"Se non fosse per te-bugie"

un racconto di Carla Volturi.

Nota autrice

Non so da dove cominciare. L'unica cosa certa è che questa prima parte è terminata, portando con sé un po' del mio cuore.
Mi dispiace, mi mancano le parole. Vorrei dirvi così tanto da non riuscire a scrivere nulla.
Vi ringrazio tutte, non c'è una sola parola che non sia stata pensata tenendo voi in considerazione. Non so se ho svolto bene il mio lavoro di autrice, mi basta unicamente sapere di non aver deluso le vostre aspettative. Contate più di quanto immaginate, siete più di semplici lettrici. Siete i miei pozzi dove trovare l'acqua quando sono assetata. Le mie miniere d'oro quando sono senza idee. Siete semplicemente le persone più buone che io abbia conosciuto qui.
Grazie con tutto il cuore, so che è poco, ma credetemi quando vi dico che i vostri commenti sono stati la mia salvezza.
Dedico a voi "Se non fosse per te-bugie":

___sere___ LaylasDreams raffit96
raffalibri MichelaGiacomo Giu_08 CC_MEUNIER Ery_87 CHRYSALIS72 @ch210989 alinadumitru_ Bejina
kissenlove LunaPerTe LinBett
MelissaSpadoni franca86 shamyfolk ...e chi mi ha onorata con letture, commenti e voti.

Vi segnalo il collage con tutti i personaggi di "Se non fosse per te-bugie": in alto Michele, a seguire Gioia e Giulio, in basso Vittorio, Monia, Athina, Antonio, Lara.

Lascerò qui un avviso quando pubblicherò il sequel.

A presto amiche mie,

un bacio da Carla!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top