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Se non fosse per te
Bugie
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Vorrei essere la luna. Mi piacerebbe essere lei, anche solo per una volta. Vorrei starmene li, in cielo, e splendere tra mille e mille stelle. Vorrei starmene in silenzio ma vigile, con un occhio chiuso ed uno aperto, come per non dare l'impressione di spiare tutto e tutti. Già, proprio così, ad osservare le vite altrui. Ad analizzare le azioni e le decisioni dei comuni mortali. Essere per un breve istante altro da me.
Non vorrei pensare. Non vorrei ricordare. Non vorrei soffrire. In realtà non dovrei farlo, ma capita. La mente umana è qualcosa di misterioso ed indecifrabile. Un istante rifletti sul pigiama da mettere, un altro rimurgini. Cinque minuti fa ho chiuso la telefonata con Helena, madre di Athina. La mia dolce amica ha appena dato alla luce il suo primo bambino, in modo e tempo del tutto inaspettato. Ha avuto le contrazioni prima del dovuto e in tarda serata: ad occhio e croce saranno le due di notte! Ridacchio al pensiero che questo sia un monito per il futuro: non dormirete mai più, cari i miei neo genitori!
È stata proprio Helena a cambiare, involontariamente, il mio umore. Presa dalla felicità ed emozione incontenibile, ha esclamato "mio marito è sconvolto esattamente come tuo padre quando nascesti".
Mio padre non esiste più. Il termine padre non è più contemplato nel mio vocabolario. Mio padre è un vigliacco, un poverino. Mio padre è assente. Non me l'ha mai perdonata la relazione con Michele e cosa più assurda, non ha mai chiesto spiegazioni. Un padre, uno diverso dal mio, l'avrebbe fatto. Avrebbe preteso delucidazioni. Si limitò a giudicarmi e a darmi la giusta sentenza quel giorno di Agosto, quando ci scoprì intenti a baciarci. Non disse nulla, riferì a mia madre quanto visto e la obbligò a fare i bagagli per andare via. Per sempre.
Se lo avessi qui di fronte, prima lo guarderei intensamente negli occhi. Non so più che faccia abbia. Quanto sia invecchiato. Poi gli urlerei contro, con tutta l'aria che ho nei polmoni, che io lo amavo. Io lo amavo. E lui me l'ha portato via e non contento mi ha lasciata sola. Io lo amavo con tutto il mio cuore Michele. Di un amore sincero. Di un amore che ti spezza le vene e ti fa sanguinare, se ti è lontano. Di un amore che se solo lui, papà, avesse ascoltato, sarebbe durato nel tempo. Un amore che, una volta morto, non può risorgere, perché di esso non è rimasto che dolore.
Non me lo nominate più, quel disgraziato. Non osate mai più associarlo a me. Non osate mai più dire che lui sia rimasto sconvolto il giorno della mia nascita. Lui non è mai diventato padre, non intimamente.
Lacrime di rabbia sgorgano come ruscelli sulle mie guance abbronzate. Pugni stretti. Vorrei spaccare il mondo intero. E vorrei essere la luna, per contemplare e non subire.
Sprofondo sul divanetto di vimini, comprato ieri al mercatino dell'usato sotto casa. Venti euro, compreso di cuscini rosso fuoco. Un vero affare per un ottimo usato.
Resto devastata dalla mia reazione non-reazione. In fondo, non ho mai rivelato nulla a mio padre. Me ne sono sempre stata zitta. Magari avessi avuto un po' di coraggio in passato, anche solo per comunicare il mio pensiero, a prescindere dall'esito.
Squilla il cellulare. Un messaggio: posso passare per festeggiare?
Strofino il braccio destro sotto il naso come solo una poppante sa fare. Mi asciugo le lacrime. Digito la risposta ed invio.
***
Sento rumori provenire dalla scalinata. Do una ricontrollata allo specchio: un bel getto d'acqua fredda è la giusta soluzione per rinvenire dopo un brutto momento. Lego due ciocche di capelli al centro della nuca con un fermaglio a forma di fiocco: cavolo, che ricrescita! L'effetto della permanente sta iniziando a svanire. Un ultimo accorgimento alla canotta bianca e al pantaloncino verde acqua. L'unico pigiama non ancora macchiato con il caffè. Che brutto vizio che ho!
Esco sulla terrazza, giusto il tempo utile per vederlo entusiasta. Con i suoi occhi buoni e il loro scintillio. Un sorriso che dà luce a tutto il suo bellissimo volto. Ha addosso ancora la divisa del bar e in mano una bottiglia di spumante freddo con due calici.
Poggia il tutto su una sedia in ferro battuto e mi viene incontro, allargando le sue braccia dove io sprofondo. Odore di buono, odore di casa e famiglia. Odore di caffè e sigarette. Di una giornata frenetica e di stanchezza. Odore, semplicemente, di Michele. Dopo cinque giorni da quel messaggio vocale in libreria, finalmente si fa vivo.
"Scusa se ti sono stato lontano"- sussurra al mio orecchio- "mi dispiace".
Scuoto la testa- "non devi"- lo guardo dritto negli occhi-"e poi so quanto lavori".
Annuisce- "ed ora che è nato Costas, ne avrò di più"- riprende la bottiglia e comincia a stapparla-" è giusto che Antonio stia con suo figlio e sua moglie".
Versa un po' di spumante nei bicchieri. Me ne porge uno-"brindiamo!".
Assecondo la sua contentezza.
Si raddrizza sulla schiena ed alza il calice- "a Costas, che la vita gli riservi solo gioie e successi".
Mi emoziono. Percepisco il cuore stringersi come sotto ad una morsa per l'allegria- "a Costas!".
Sto per bere, quando Michele mi ferma con una mano- "aspetta, aspetta... Non ho mica finito!".
Riprende la posizione assunta precedentemente- "ad Athina ed Antonio, due splendidi amici e fratelli... Cento di questi giorni! Ed ora mandiamo tutto giù, Gioia".
Sobbalzo, confusa- "hai capito cosa gli hai augurato?".
"Sì certo, perché? Che c'è di male, è una bella cosa"- non capisce dove io voglia arrivare.
"Cento di giorni in cui Athina ha partorito, rischiando di mettere al mondo il figlio per strada."- preciso- "Helena mi ha confessato che Titì ha resuscitato persino i morti con le sue urla". Mi sciolgo ripensando alla fotografia ricevuta poco fa- "però è bellissimo, è un amore. Andrò presto a coccolarlo".
"Antonio ha inviato anche a me la foto"- ci riflette su-" ogni uomo dovrebbe vivere una gioia così grande". Continua con il suo discorso-"comunque, mi è tutto chiaro, non voglio dettagli"- corregge il tiro, probabilmente dopo aver fantasticato sulla scena in sala operatoria- "allora cento di questi giorni a partire dal post-parto"- punta il dito-" e tu non fare la spiona con la tua amica, che se viene a conoscenza del mio augurio di cento parti, non so cosa possa farmi!"
Alzo le mani-"io sono innocente".
"Si ok, come no", sbotta.
Crolliamo entrambi come pere cotte sul sofà, ammirando il buio e il silenzio inoltratosi a Minori. Come piccoli puntini colorati appaiono i lampioni delle strade, che tratteggiano le linee del campanile della chiesa principale in piazza. Tutto tace, le attività commerciali sono finalmente chiuse per la gioia delle famiglie che, di questi tempi, poco si godono l'amore dei loro uomini. Il mare sembra un grosso buco nero infinito, del quale non si percepisce forma e dimensione. Salvo poi il riflettersi della luna, che crea un magico scintillio. Quante volte ce ne siamo stati così, avvolti dall'oscurità nostra complice. Quello si che era un istante memorabile. Uno in cui non si temeva la reazione di alcuno. In cui si era semplicemente noi, io e Michele. E al diavolo il resto del mondo.
Quante volte lo abbiamo ripetuto da soli o insieme, come un mantra per farci coraggio. Al diavolo il resto del mondo. E quante volte quel mondo ci ha schiacciati a tradimento.
Tutto ha avuto luogo inaspettatamente, in primis per noi. Io non ho mai dimorato a Minori, la mia vita, la mia quotidianità è sempre stata a Napoli con i miei genitori. Ma non c'era ricorrenza o festività che non trascorrevamo qui con ciò che restava delle famiglie dei miei. Era una continua festa, tra amici e parenti, che ci accoglievano con ogni ben di Dio. Ricordo come se fosse ieri le abbuffate di cibi fritti, la mia grandissima passione. E Michele, che affogava nei dolci e nei babà.
L'ho visto crescere. L'ho visto cambiare. L'ho visto peggiorare e diventare vittima di se stesso. Era così innocente, così indifeso. Sempre attaccato alla veste della mamma, piccolo con i pantaloncini corti e un orsetto tra le mani. I capelli tagliati in un orribile caschetto che, allora, spopolava tra i bambini. Aveva paura di ogni cosa, Michele. Sarà che lui è stato partorito nell'incertezza: sua madre fu abbandonata, incinta, dal ragazzetto dell'epoca. Uno scandalo, se si pensa alla realtà sociale in cui il fatto avvenne. Michele per molti anni è stato considerato il peccato, l'altro, finché Sonia non si sposò con un vedovo. Un matrimonio di convenienza per entrambe le parti e un padre molto dolce e tenero per Michele. Lo zio Fabrizio era davvero un gentiluomo con le tasche zeppe di caramelle alla frutta. Se n'è andato via da noi con una malattia al cuore, che lo affliggeva da molto.
Fu per colpa di questa tragedia se io e mio cugino ci avvicinammo. Se colpa si deve definire l'arte del saper amare. Da poco maggiorenne, acquistai il primo biglietto per l'autobus pur di consolare Michele, dilaniato dal dolore. Non faceva che ripetere che il destino era stato crudele con lui. Per giorni non ci muovemmo dal suo letto, stesi supini mano nella mano a sperare che qualcosa o qualcuno ci strappasse via il cuore. Preferivamo sentirci vuoti piuttosto che maledettamente vivi ed infelici. Preferivamo avere gli occhi spenti che colmi di lacrime. Ma si sa, c'è una forza più forte di noi. Una forza che difficilmente ascolta le nostre preghiere e che ti lascia lì, inerme, a contare i minuti che passano. L'inverno peggiore della nostra esistenza.
Rientrai a casa dopo un mese, mia madre era molto preoccupata per il rendimento scolastico e le prolungate assenze. Misi nel borsone tutto ciò che era mio e mi voltai per salutarlo. Gli sfiorai la guancia, graffiandomi con la barba ispida. Gli promisi che sarei ritornata presto. Non so dire cosa mi indusse a farlo. Non so dire se era già tutto scritto e se noi eravamo unicamente attori di una vita definita nottetempo. Sta di fatto che lo baciai. E non fu certo un bacio casto. Per niente. Fu uno sfiorare le labbra, un toccarsi per avere il suo permesso. Un inspirare il suo odore. Quello stesso odore che oggi potrei riconoscere tra una calca di persone. Un abbracciarsi, capendo che quello era l'ultimo pezzo del puzzle che mancava per essere se stessi. Per sentirsi vivi, non per un attimo, ma per tutta la vita. E le nostre bocche si aprirono, così come le nostre braccia ci univano ancor di più. C'è chi afferma che questi sono eventi in cui fermare il tempo. Io controbatto, suggerendo l'eternità del cuore e della mente.
Dopo quel bacio, ci rivedemmo i primi di Giugno e non ci lasciammo più, nonostante la preoccupazione di Athina ed Antonio. I nostri amici furono lungimiranti. Furono i nostri Cassandra, predissero la guerra prima che noi ce ne rendessimo conto. Ma eravamo così coinvolti, così presi da noi stessi. Dai sentimenti, dall'amore nel campo di limoni vicino casa. Dalle passeggiate notturne. Mai avremmo immaginato che proprio mio padre ci beccasse sul fatto, dove equivocare era pressoché impossibile.
Ed ora siamo qui, sette anni dopo, con le ferite ancora aperte che tentiamo di ricucire. Ecco, stiamo elaborando un nuovo lutto. Quello del nostro amore. Abbiamo fatto di tutto pur di lenire la sofferenza: io, alimentando la lontananza; lui, dandosi via come uno straccio, perennemente in letti diversi. L'ho odiato tanto quanto ho odiato me stessa. E ho nutrito puro schifo, immaginandolo nel corpo di un'altra donna. I primi tempi, si, rimanemmo in contatto, cercando il dialogo con i nostri genitori, soprattutto i miei. Meno di un mese e Michele scomparve. Ma non lo giudacai, non c'era molto altro da fare.
C'è chi crede in una seconda chance. Eppure la verità è che mi odio a sufficienza per riprovare e mi amo abbastanza per continuare a portare questa croce. E nel mio futuro non sono capace di ipotizzare la presenza di Michele nel mio stesso letto. Una condivisione di intimità. Non sono capace di identificare Michele come la mia nuova possibilità.
L'osservo con tenerezza come a volergli dire addio. Non posso, non voglio.
Ha un piede appoggiato sul divano, la gamba destra piegata. Sul ginocchio poggia il gomito. Tra le dita una sigaretta accesa da poco. Fuma in religioso silenzio, ammirando pensieroso il panorama. Le labbra si assottigliano non appena tira un'altra boccata. Poi, tutto d'un tratto, getta via la sigaretta. Tossisce e schiarisce la voce. Sono sicura che la sua mente è un turbinio di pensieri incessanti. Posa la bottiglia di spumante a terra, vuota. E tenendo conto che io ho bevuto poco, sono certa che sia non ubriaco ma di sicuro brillo.
Gli accarezzo la spalla più volte per sincerarmi della sua condizione- "Michele, cosa c'è?".
Si volta. Espressione mesta, occhi arrossati. Il suo dispiacere è palpabile, come il suo dolore-"voglio fare l'amore con te".
Resto di sasso. Copro il volto con le mani, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi e non riuscendo a credere a ciò che ho udito. E mi maledico per essere venuta qui. Per averlo coinvolto nuovamente nella mia vita. Per non avere coraggio. Per non rendermi mai conto di avere una certa responsabilità non solo nei miei confronti ma anche e soprattutto in quelli altrui. Ed ora dovrei anche rispondergli, dirgli qualcosa. Ferirlo con il mio rifiuto. Come se non fosse abbastanza.
Mi faccio forza e scopro il viso, restando di stucco. È andato via, lasciandomi sola su questo piccolo terrazzo, che mi appare enorme. Mi faccio più schifo di prima. E di lui non resta che lo spettro del tormento.
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Fine ottavo capitolo.
Grazie di cuore a tutti.
Vi segnalo giuliacalantoni, autrice brava e molto disponibile!
Da oggi in poi pubblicherò il nome di un'autrice a me cara per un po' di pubblicità!
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