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Se non fosse per te
Bugie


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Sono nata e cresciuta a Napoli, per venticinque anni. Mi sento così napoletana, così napoletana nel profondo del mio cuore, da aver speso tutte le mie vacanze estive qui a Minori. Sono così napoletana da aver passato ogni mio momento libero in questo piccolo paese della Costiera Amalfitana. E non perché Napoli sia una città che meriti il mio rifiuto totale, ci mancherebbe. Napoli è una piccola grande perla preziosa, che un bravo orafo tiene in segreto solo per sé, perché ne comprende l'inestimabile valore. Un valore assoluto, innumerabile.Ma ci devi nascere con questo amore profondo ed io per Napoli, in effetti, non l'ho mai provato. Ma per Minori sì. Un amore viscerale. Solo l'aria di questo posto riempie i miei polmoni e mi permette di respirare tanto da sentirmi viva. Sebbene poi Minori non sempre mi abbia vista felice.

Vivo di malinconia e di passato. Mai di presente. Quasi come se mi piacesse farmi del male. Come se ferirmi fosse il mio unico nutrimento. Ecco, sono qui per questo motivo. Per farmi male. Ancora una volta.

La sabbia brucia sotto un sole che regala 30 gradi di temperatura e un venticello così piacevole quanto traditore. La crema solare è il mio unico alleato, oltre al pontile sotto il quale ho trovato riparo. Un pontile abbastanza lungo, voluto fortemente dalla popolazione per le numerose barche colme di turisti. E voluto inoltre dai ragazzini che, da questo pontile, ci fanno i migliori tuffi della loro vita.

Osservo silenziosa la piccola lingua di spiaggia, scura come la pece a causa delle pietruzze. La spiaggia dei pescatori, gremita di reti e cassette zeppe di pescato fresco. Un uomo anziano pesa delle vongole su una rudimentale bilancia di rame. Ne muove i pesi, poi stanco, chiede all'acquirente, un inglese, una cifra irrisoria con tanto di sorriso smagliante sotto i baffi bianchi.

Porto una mano sulla fronte sino ai capelli, stretti in uno chignon non propriamente perfetto ma utile per il suo scopo. Mi rilasso scrollando le spalle, muovendole in senso circolare. Cerco di toccare con le mani le punte dei piedi. Respiro ed inspiro.

Il mare è una tavola cristallina. A riva l'acqua è trasparente, tanto da far risaltare i colori dei sassolini bianchi, neri, grigi, rossi. Qualche conchiglia vuota e granchi dalle minuscole dimensioni. Più profondo diviene il mare e più intenso è il suo colore. Azzurro, blu, blu scuro.

Come d'incanto, sbucano fuori quattro ragazzi. Quattro ragazzi insieme. Sussulto e metto a fuoco l'immagine, che, più che altro, appare come una visione. Tutti e quattro, due ragazzi e due ragazze, indossano dei costumi non più alla moda. Uno di loro ha dei capelli castano-biondi, mossi, che splendono come spighe di grano al sole. Fisico asciutto. Sono sicura non sappia cosa sia un peso da due chili in palestra. Ma è ben proporzionato e abbastanza alto. Gli si appoggia, piegata in due dalle risate, una bella giovane dalla carnagione scura, come i suoi capelli nerissimi. Con una mano si tiene la pancia. È visibilmente divertita, ma non capisco da cosa. Il secondo ragazzo, invece, cinge il corpo di una fanciulla. La sua imponenza fisica la nasconde da occhi indiscreti. Le bacia il collo con tenerezza e delicatezza. Poi gli occhi di lui si perdono in quelli di lei, come se non ci fossero che loro due su quella spiaggia. Il biondino molla una pacca sulla spalla del ragazzone. Entrambi ancora presi dalle incessanti risate. E iniziano a rincorrersi l'uno con l'altro. Li segue la bella mora. Per ultima la ragazza celata dall'omone. Toglie un elastico dal braccio e lega i capelli lisci e lunghi in un rudimentale chignon. Scrolla le spalle in movimenti circolari. Prima di raggiungere i suoi amici, si volta, come se avvertisse il mio sguardo curioso. Mi fissa, chiedendosi ancora perché io non abbia capito. È come se fosse avvolta da una nebbia. Quelle classiche visioni di tempi lontani che all'improvviso, per chissà quale ragione, vengono fuori per ricordarci la spensieratezza del passato. Istanti di una vita. Una felicità che non tornerà mai più. Un incubo. L'ennesimo.

Li avverto tutti i 30 gradi di oggi. Tutti, sul serio. Non riesco più a trovare aria per respirare. Il petto mi si gonfia e sgonfia a ritmo impercettibile. Velocemente. Porto la mano destra sul collo, sfiorando il mento. Piego la schiena.

La giovane donna, perché è questo che è, una giovane donna, viene distratta da una voce maschile.

Amore, dai, vieni.

Sì, vengo Michele.

Inizia a correre a riva, alzando un po' d'acqua con i piedi. Sparisce presto dalla vista così come si è palesata cinque secondi prima. E nella mia mente risuonano parole come una litania: "ma ancora non hai capito Gioia? Eri felice, vero?"

Il caldo mi tormenta. Come i ricordi. Stropiccio gli occhi con le mani. Chiudo, tra pollice e indice, gli zigomi. Respiro. E mi domando se sia stato poi giusto venire qui. Proprio qui. Ma non faccio a tempo a rispondermi che il cellulare suona. Un messaggio in bella vista.

"Allora, quanto devo aspettare ancora?
Fai presto! Baci...Athina!"




***

Athina è l'unica persona che non ha cambiato residenza. Vive nella stessa casa dove, ventotto anni fa, è nata. È sempre stata determinata, ha sempre saputo ciò che voleva dalla vita. E la cosa più assurda è che lei non è la classica presuntuosa da "mi prendo quello che desidero". Dolce, affettuosa, sempre sorridente, ha la capacità di rilassarsi anche nei momenti di ira funesta, perché non le va di esser sgarbata o di dire qualcosa fuori posto. Forse si controlla troppo o forse, come le ho sempre detto, un po' questo autocontrollo mi stava e mi sta sul cazzo. Qui c'è tutta la nostra diversità. Io sono sanguigna, battagliera, ribelle, passionale. E decisamente lunatica, così tanto da cambiare idea in un nanosecondo. O da aver bisogno incessantemente delle idee altrui. E sono anche insicura. Balbetto se sono in tensione, do in escandescenza sotto pressione. In realtà, neanche io ho ben capito chi sono. Vado a situazioni, mi adeguo probabilmente. Ma ciò non vale per i sentimenti. Un amico resta tale e va protetto, amato e difeso sempre, in ogni circostanza. Così come un amore. Poi dipende da che frutti dà.

Mi è bastato un suo messaggio stamane per farmi tornare alla mente instanti di una vita che credevo esser svanita nel tempo, come risucchiata da un vortice. Ma in realtà Athina (ed io, anche se non lo ammetterò mai) sa che non è così e dopo quattro giorni dal mio arrivo a Minori, ha creduto bene di prendere in mano la situazione e farsi viva. Spero solo non pensi che non avevo piacere nell'incontrarla.

Salgo un paio di gradini in marmo. L'affanno è indice della mia poca familiarità con l'attività fisica. Sono anche un bel po' pigra. Ma ho un pregio, uno almeno: sono una brava cuoca. Probabilmente è questo il motivo del mio corpo non molto rassodato: mangio. E molto. Devo render grazie a mia madre per il metabolismo attivissimo.

"Titì ci sei?"

La chiamo una volta terminata la rampa, cercando di intravederla sullo spiazzale dinanzi casa. Ed eccola là, come se non si fosse mai mossa. Come se non avesse mai accusato il passare degli anni. Seduta sul suo divanetto di vimini con cuscini bianchi e coperta dall'ombra di un ombrellone rosso fuoco. Un piccolo tavolino con una caraffa, che suda acqua e un paio di bicchieri.

"La miseria! Ti stavi preparando per la clausura a casa di Michele?"

L'abbraccio teneramente, tentando di controllare la forza impiegata. Ha un pancione enorme e già che si trova mi indica i piedi gonfi e doloranti. È prossima al parto, manca qualche mese alla nascita del suo primo bambino. Il caldo torrido non credo l'aiuti molto.
Mi accomodo al suo fianco, aiutandola a sdraiarsi così da stare più comoda e verso un po' di limonata per entrambe, sperando ci salvi.

"Si crepa oggi, Gioia. Il bambino mi riempie di calci. Già che ci sei, ti dispiace bagnarmi questi asciugamani?"

"Certo che no, figurati"- le rispondo, facendo quanto chiesto.

"Sono un po' stanca. Tutto questo caldo mi ammazza"- risponde, mentre porta un asciugamano sul ventre e uno in testa- "non ridere di me ora, Gioia, anche se sembro una vecchia bacucca".

Purtroppo la risata scappa e parte proprio da lei, che ha sempre avuto la battuta pronta. Da piccola, non riuscendo a pronunciare il suo nome, mi limitavo a chiamarla "Titì". E Titì è rimasta, anche per la madre, greca di nascita.

"Allora è maschio, femmina? Hai deciso il nome? Antonio sicuro è pazzo di felicità per il suo primo bimbo".

Si solleva sui gomiti- "No, Gioia, Antonio è partito per mondi lontani da quando gli ho detto di esser incinta. Dopo due mesi avevo la culla in casa, ti pare che sia normale?"

"Dai, di che ti lagni! Hai un marito d'oro"- le rispondo, come a voler rimproverare i suoi lamenti ingiustificati.

"Ad ogni modo, è un maschio. Antonio Junior"- mi dice piena di sé e con aria trionfante.

"Antonio Junior?"- controbatto perplessa.

"Antonio Junior"- ribadisce, sicura e tranquilla.

"Athina, è una cafonata!"- esclamo, volendo salvare questo bambino da un rituale ormai fuori moda.

"Lo chiamerò Costantino, Costas per gli amici"- una smorfia di dolore sul suo viso mentre tenta di alzarsi- "tengo alto l'onore greco. Mia madre è contentissima. Altro che Antonio Junior! Ho dovuto combattere con mio marito per questa cosa".

La guardo mentre rincasa per un attimo, chissà con quale motivo. Quanti schiamazzi ha visto questa terrazza. Quanti palloni sono caduti giù dal terrazzo e sulle teste dei passanti. Quante secchiate d'acqua. Ci siamo sempre divertite un sacco. Ha fatto bene Athina a restare in questo piccolo rifugio, dal quale si vede parte della Costiera. C'è una vista mozzafiato. Tutta l'insenatura sotto i miei occhi, che luccica grazie ai raggi del sole.

"Quando ho detto ai miei che eri qui, mi hanno dato questo. Oltre a tanti baci solo per te"- afferma, mentre poggia tra le mie mani un album fotografico.

"Cos'è?"- le chiedo, sbalordita.

I suoi occhi scuri brillano. Così come i suoi capelli neri e cortissimi. La gravidanza la rende di una bellezza mozzafiato. Le da una pace e una serenità mai vista.

"Sono foto scattate tempo fa. Le nostre ultime vacanze insieme"- mi sorride, pur sapendo che io di questa storia non ne voglio più parlare- Guardale con Michele".

"Athina ma sei impazzita? Proprio con Michele le devo guardare?"- avvampo per il calore- "Che poi neanche voglio vederle".

Si, esatto, non voglio vederle. Non ho intenzione di fare quanto suggeritomi. È un "no" categorico. È "no" perché conscia di quanto contiene questo album. Mi sono appena rivista, le ho appena riviste prima, nella mia allucinazione in spiaggia, le nostre ultime estati. Quei quattro ragazzi. Athina, Antonio suo marito. Io e Michele. Una volta. Una vita fa. Sette anni fa per la precisione. Il nostro ultimo anno tutti insieme.

"Tu sei sempre stata così Gioia. Vedi i guai? Scappi. Un problema? Fuggi via"

Mi sistemo meglio sul divano, in modo da poterla guardare negli occhi- "Athina, io non voglio scappare. É trascorso un sacco di tempo"- sospiro rattristata. Unisco i palmi delle mani, quasi a volerla implorare- " Che gli dico? Aspetta Michele, già che ci troviamo, guardiamo due foto di quando stavamo insieme?". Punto lo sguardo su di lei, attendendo una risposta che non ricevo: " Athina, dai! È inutile e fuori luogo".

Io e Michele stavamo insieme. Io e Michele. Insieme. Una coppia. Io e lui. Due cugini di secondo grado. Che poi incesto non è. E stavamo insieme. Non siamo andati contro nessun vincolo legale, contro nessuna legge o regola che vietasse di amarci. Poi mio padre ha scoperto tutto ed è finita. Basta. Questo è successo.

"Ma tu mi hai fatta venire qui per questo? Lo sai che per me è stato un peso per tanto tempo?"- le chiedo seria. Triste. Forse non sarei dovuta venire, se solo avessi saputo.

"No, Gioia"- risponde, abbracciandomi- "ma se resti qui, se resti da lui, sarebbe il caso di affrontare questo discorso. Che senso ha girarci attorno?"

Eccola Titì, la saggia Titì, dai pensieri sempre giusti. Dai consigli di cui non puoi fare a meno. Ed io, che di consigli validi, non ne ho più alcuno, dovrei fidarmi di lei e del suo punto di vista. Questa volta come in passato. Ma sarà davvero una buona idea?

"Facciamo così, prendo l'album e vediamo che ne esce fuori"- le dico quasi rassegnata.

"E dai! Vediamo che ne esce fuori!"- esordisce entusiasta della mia risposta.






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Fine terzo capitolo.

A presto e grazie.




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