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Se non fosse per te

Bugie




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Ho appena spaccato a terra un piatto di ceramica. E non me ne frega un corno di dover sentire le lagne del padrone di casa. Glielo ripago ben volentieri, a patto che ne se stia zitto. L'ennesimo piatto rotto, che purtroppo non placa il mio animo straziato.

Mi sono presentata come una ragazza solare, buona, disponibile, malleabile. Forse lunatica, ma voglio dire, chi non ha difetti? Ma stupida no, non sono una tonta a cui tirare un colpo basso come quello di mercoledì mattina. E francamente non credo neppure di meritarlo. Non bastano tutti i guai che ho, tutti i mille pensieri, i mille tormenti che mi affliggono. No, non bastano. Era necessario rincarare la dose, mettere ulteriore carne a cuocere. Altrimenti come facciamo impazzire Gioia.

Brutte teste di cazzo. Non sono abituata a francesismi del genere, ma quando è troppo, è troppo. E qui tutti hanno oltrepassato il limite.

Mi sono sentita un burattino, incapace di compiere una mossa. Di poter muoversi, dare vita ad un'azione. Un tocco di legno senza libero arbitrio.

Le pièce teatrali non mi sono mai piaciute. Non hanno mai incontrato i miei gusti. E non vi dico quando queste sceneggiate hanno me come protagonista. Mi fanno incazzare più del dovuto.

Ovviamente non me ne sono stata con le mani in mano. Non è da me. Un lato del mio carattere prevede la protezione di ciò che è mio. E se tocchi qualcosa che rientra nella mia sfera intima, allora sono cavoli amari.

Ho perpetuato la mia personale vendetta prima nei confronti di Giulio. Non ho seguito un ordine preciso, semplicemente è stato il primo soggetto con cui mi sono ritrovata in privato.

Gli ho lanciato la valigetta ventiquattr'ore sulla scalinata del mio monolocale. E gli ho mollato il dopobarba (che, detto tra noi, puzza a peste!) dietro la nuca. Gliene ho dette di santa ragione, svuotandomi come un palloncino privo d'aria.

Che lo avrei presentato ai miei cari, questo era un dato di fatto. Non frequento un uomo per tenerlo in un angolo ed usarlo a mio uso e consumo. Non sono una di quelle da toy boy o amichetto sessuale, quei tipini luridi che, una volta portati a letto, non servono neppure per spremere un limone. Sono una donna da relazioni serie. Una che combatte per il proprio amore.

Non c'era bisogno di accelerare così tanto i tempi. Poteva attendere il giusto istante per stare insieme e conoscere dignitosamente tutti, uno per uno.

Invece no, e no. L'avvocato tutto d'un pezzo doveva fare le presentazioni ufficiali con gli Autieri e friends. Doveva giocare a carte con quell'altro idiota. Ed ora ficcatele tutte lì, dove non batte il sole, le scope, l'asso di coppe e il tre di denari, stronzo!

È ritornato nella casetta in condivisione con il medico. Ieri sera avrà cenato a base di brodino vegetale e perette mediche.

Poi è stata la volta di Athina, che da madre avrebbe dovuto comprendere il mio imbarazzo. Ma no, neppure lei ne è stata capace, complice il mancato riposo. Dio, fa che Costas le spacchi i timpani con il pianto!
Con lei sono stata più magnanima, perché l'ho sentita sincera e affranta. Non desiderava farmi soffrire e ha creduto nella buona fede di Giulio. Inoltre le ho concesso il perdono in cambio di una dettagliata descrizione dei fatti ed accantonando la frase del "ci stiamo divertendo", c'è ben poco da imputarle.

Se devo essere sincera, io non penso che Giulio abbia agito con cattiveria o con secondo fine. Ha semplicemente sbagliato i tempi. Non è stato per nulla lungimirante. Lo ringrazio per la dichiarazione d'amore, ma poteva tranquillamente riservarla per un altro istante, magari privato.

È stato lui. La colpa è sua. È solo ed unicamente sua, del re della movida di Minori. Il belloccio tutto muscoli e pelle scura, proprietario del bar Miluna. Mister sex appeal, dalle notti infuocate. Ah no, ora che ci ripenso, ha cambiato nuovamente stile di vita, visto che da due settimane ha occhi solo per lei, Monia Ruocco. Monia frequenta un istituto di pasticceria in Svizzera, è qui da una quindicina di giorni in vacanza. Ne ha approfittato per stare accanto al padre che, ultimamente, non se la passa per nulla bene. Neanche il tempo di metter piede in quelli della Costiera che già si è fiondata tra le braccia del barista. E la gente mormora, mormora di brutto. Loro girano insieme per strada e i compaesani li guardano con sospetto. Si abbracciano ed inizia il vociare. Sorridono compiaciuti e le malelingue rincarano la dose. Glielo avevo riferito. Lo avevo pregato di lasciare in pace Monia Ruocco, ma Michele ha la testa dura come un asino. E a lavare la testa al ciuccio, sprechi solo acqua e sapone.

Si divertono a fare i fidanzati, i ragazzini che flirtano. Quel coglione, asino grosso di trent'anni, gioca con una ragazza dell'età del fratello. Idiota, idiota, idiota.

Neppure se gli avessi parlato in arabo, avrebbe capito che Monia non è cosa per lui. È bella, brava, dolce, simpatica, una giovane donna dai sani valori, ma non va bene. La famiglia Ruocco non va bene.
Non muoverò più un dito. Che se la spicciasse da se. Come ho detto, è grande e grosso. Ha le spalle larghe per affrontare anche quest altro inconveniente.

Michele crede che io di lui non sappia nulla. Quanto si sbaglia, quella zucca vuota. Sarà anche cresciuto, ma le sue passioni restano immutate. Soprattutto quella per la Azzurra, la barchetta che gli ha lasciato in eredità lo zio Fabrizio. La lucida, la leviga, gli passa vernice a non morire pur di non farla deteriorare.

I miei piedi sprofondano nella sabbia fredda. Questo lato della spiaggia è totalmente all'ombra di un costone della montagna. È una piccola lingua di terra ricca di granelli color grigio scuro, a cui si può accedere tramite una spaccatura nella roccia. Comunemente viene denominata la spiaggia spaccata ed è ad esclusivo appannaggio di chi paga una retta mensile. Il Comune l'ha reso un posto privato, sotto controllo di un vigilantes. Non c'è un motivo valido dietro questa decisione se non quello di fare cassa. E siccome si versano dieci euro al mese, Michele ha deciso di aderire. In compenso il sindaco permette agli abbonati di disporre di cabine private, collocate direttamente sulla sabbia, continua manutenzione, libertà di balneazione, ombrellone e sdraio, permesso di lasciare la propria imbarcazione a patto che non sfiori i limiti consentiti.

Poggio in religioso silenzio i sandali sulla pietra.

Michele ha tra le mani degli attrezzi in ferro. Li lucida, seduto su una sedia. Sembra un vero lupo di mare di ritorno dalla pesca. Il bermuda largo in blu oltremare e la polo rossa. I piedi nudi. È così attento a sistemare gli utensili nella cassetta che dopo un po' si accorge della mia presenza.

Sussulta, non appena mi vede e si alza. Viene nella mia direzione, senza proferire suono o parola, con i muscoli facciali tesi.

Non ci siamo che noi a mare. Solo io e lui e la spiaggia deserta. Nessuno dei soci è presente e il vigilantes, stravaccato sulla sedia, è cullato dalle braccia di Morfeo.

Ci veniamo incontro io e mio cugino. Occhi negli occhi. Così pieni quanto indecifrabili. Lui non capisce le mie intenzioni, ma io sì e tra le montagne rimbomba un fragoroso rumore. Quello scaturito dalla mia mano sulla sua guancia. Uno schiaffo in pieno viso, forte, carico di rabbia.

Michele si accarezza la pelle irritata, imperterrito, senza lasciar trasparire alcun turbamento. Calmo e padrone di se, come sempre.

Io, invece, sono accecata dall'ira. Quella che contraddistingue una donna in fase di arrabbiatura. Un vulcano in eruzione. Di quelle cosmiche.

"Che cazzo ti sei creduto di fare?"- comincio ad urlare, stringendo i pugni.

Mi para dinanzi la mano destra-"Gioia, stai calma".

"Sto calma un cazzo!"- il tono non si trasforma-"perché mi hai fatto questo?".

"Gioia, non volevo colpirti alle spalle"- replica.

Lo spintono con forza-"maledetta me che sono venuta da te. Stronzo"- faccio per mollargliene un altro di colpo, ma mi blocca, afferrando il polso-"tu, tu Michele...-" gli ringhio contro come un cane con la rabbia. Gli parlo a denti stretti-" tu sei la sciagura della mia vita".

Mi sposta con sottile violenza-"Gioia, non era mia intenzione ferirti..."

Gli punto l'indice contro. Gli occhi carichi di lacrime ed iniettati di sangue vivo-"è colpa tua"- mi asciugo il sudore dal viso con il braccio-"si, è tutta colpa tua".

"Ma che stai dicendo?"- avanza di un passo nella mia direzione.

Prendo un pugno di sabbia e gliela lancio contro-"stammi lontano, stronzo". Gli arti superiori ed inferiori mi tremano a ritmo incessante. Non rispondo più delle mie azioni-" è colpa tua se sette anni fa mio padre mi ha abbandonata, se non ho avuto più una famiglia, se sono stata sola come un cane".

Ci riprova. Si avvicina di nuovo e di nuovo faccio in modo che arretri. Le ginocchia non mi sostengono e quasi mi piego in avanti. Disperata, inveisco-"io mi sto innamorando di lui e tu vuoi rovinarmi tutto. Vuoi rendermi la vita misera come la tua. Io non sono come te. Io non faccio l'amore senza sentimento".

Colpito nell'orgoglio ed affondato. A voce sostenuta, risponde-"tu non sai quello che dici. Tu non sai niente della mia vita".

Questa forse è la prima volta che sono così isterica e in parte adesso comprendo il perché. Io davvero mi sto innamorando di Giulio, che senso avrebbe adirarsi in tali misure senza un valido motivo? Michele, con i suoi sguardi, con le continue frecciatine, con i suoi gesti sproporzionati, non fa altro che insinuare il dubbio in me. Non fa altro che addentrarsi nella mia quotidianità, no da cugino, ma da terzo incomodo che mina il terreno altrui. Metto la mano sul fuoco, lui sapeva che vederlo al tavolo con Giulio mi avrebbe creato non pochi dubbi. Sapeva che non avrei gradito. Ma, siamo onesti, chi avrebbe mai apprezzato un gesto del genere? Il tuo ex fidanzato che invita il tuo attuale compagno al bar per quattro chiacchiere. Perché è così che è andata: Giulio, per caso fortuito, si è imbattuto in Michele. Si sono salutati, si sono rivolti i soliti convenevoli e hanno dato vita alla loro nuova "amicizia". Nel frattempo Athina mi invia un messaggio su Whatsapp, mentre si avvia al bar con il passeggino. Si accomoda, effettua una prenotazione e dopo un po' vede uscire i due, Michele e Giulio, dall'interno del bar verso i tavoli all'esterno. Si salutano, Michele procede con le presentazioni e si siedono in disparte per non creare fastidio al bambino con il fumo delle sigarette. Tirano la prima giocata a carte e nel frattempo giungo io, che assisto alla scena, sconvolta. Uno stronzo con i fiocchi mio cugino, che tiro mancino. Ha approfittato delle coincidenze per aizzarmi contro Giulio

Tento di darmi un pò di contegno-"non me ne frega un cazzo della tua vita. Fai quello che ti pare, ma stammi lontano". Lo spintono- " non eri tu quello che desiderava una vita tranquilla? Guardati... Guarda quanto sei piccolo. Guarda le stronzate che hai fatto. Mi fai pena".

Riprendo i sandali e mi avvio verso la feritoia che fa da entrata ed uscita.

"Gioia, aspetta. Ti prego"- Michele mi rincorre, trattenendomi a se.

Mi libero con forza-"stammi lontano, ti ho detto. Ora basta. Non voglio sapere più niente di te"- e fuggo via.

Non permetterò più a nessuno di trattarmi in questo modo. Di usarmi e ferirmi come meglio crede. E Michele rientra nel gruppo.













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Fine ventunesimo capitolo.

Grazie e a presto.

Ho scritto questo capitolo ascoltando la canzone in allegato, una delle mie preferite!

Vi segnalo nuovamente il link del contest a cui sto partecipando. Grazie per l'aiuto.

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