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Se non fosse per te
Bugie

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Beatitudine. Solo questo. Un forte, fortissimo senso di beatitudine. Silenzio, calma piatta e la testa vuota. Libera da ogni pensiero. Gli occhi chiusi e rilassati; chiusi non per paura ma per pace pura. E l'acqua cristallina, che avvolge tutto il mio corpo come per coccolarlo. Un paio di bracciate e resto ferma. Questa volta aziono la vista e mi guardo attorno: non c'è niente. Solo acqua, solo mare. E solo io. Forse se nuoto un altro po'...

Sì, credo di essermi spinta oltre il dovuto. Mi piace molto nuotare, da quando ero piccola. Eppure la mamma mi ha sempre pregata di non allontanarmi molto. "Può esser pericoloso, Gioia! E se io non ci fossi in quel momento con te?".

Nuoto ancora a grandi bracciate. Il sole sembra essere al centro del cielo con i suoi raggi caldi e luminosi. Fa caldo stamane, decisamente caldo. Così tanto che il mare sembra andare in ebollizione. Devo muovermi. Devo darmi una mossa per trovare una grotta, un punto al fresco. Per trovare un po' di ombra. Aguzzo di nuovo la vista, ma anche questa volta il vuoto intorno a me.

Cerco di bagnare il capo. Sento i capelli friggere in testa. E mi immergo, alla disperata ricerca di quel benessere che prima avevo trovato ma che ora, inspiegabilmente, sembro aver perso. Un paio di bracciate e riemergo per prender fiato.

Fisso il cielo. Scruto con mano ben salda sugli occhi. Il sole mi acceca e per qualche ragione sembra abbassarsi verso di me. Niente nuvole, solo un fascio di luce così chiaro, quasi trasparente.

In questa visione quasi celestiale, ho come l'impressione di scorgere il nulla della mia vita. Tutto appare così puro, così autentico e privo di ogni cosa che a dir poco mi angoscia. Tutto questo esser incontaminato mi terrorizza.

Inizio a non sentirmi bene. Il cuore batte a ritmo incessante, come mai finora. Lo immagino muoversi irrefrenabilmente nel mio corpo. I ventricoli che pulsano a ritmi incessanti. Un principio di tachicardia. E manca il fiato...

Mi manca il fiato, nonostante bocca e narici ben aperte.

Cosa mi sta accadendo?

Mi inoltro di nuovo in mare per un po' di fresco. Forse troppo. L'acqua è fredda, gelida. Mi si accappona la pelle e mi si rizza la peluria sulle braccia. Mi piego come in posizione fetale: ho paura.

Il cuore va a vento. Non respiro più.

Di nuovo a galla. Inizio a piangere a singhiozzi, guardandomi attorno. Osservando con panico ogni angolo di questa vastità che non ha fine.

Dove sono? Come sono arrivata sin qui? Perché?

Aiuto!

Il sole punta la sua traiettoria contro di me e il mare diviene profondo, un abisso. Due forze, entrambe malvagie, stanno per scontrarsi ed io sono nel mezzo.

Onde alte e scure. Nere, come la mia paura.

Mi dispero.

Vi prego, aiutatemi.

Mamma, se tu fossi qui con me.

Mi aveva avvisata. Mi aveva detto di non andare troppo lontano. Mi aveva detto che non ci sarebbe stata. Sono adulta ora, devo contare unicamente su me stessa. Sulle mie forze. Ma quali? Non ho fatto mai niente da sola. Ora me ne rendo conto di quanto io sia stata egoista. Di quanto io poi in fondo non mi sia mai presa una misera responsabilità in vita mia. Mi faccio pena. Provo pena e tristezza per la Gioia del passato, insicura e la Gioia del futuro, l'incertezza fatta persona.

Ora capisco perché il mare vuole inghiottirmi e il sole vuole ardermi. Sarà questa la mia fine? Divorata dalla vita e bruciata dagli eventi? Forse, chi lo sa. Chissà se in questa vastità ci sarà una mano tesa.

All'improvviso percepisco sollievo sulle mie spalle. Un lieve refrigero.

Mi volto.

È una montagna quella? Un'altura? Cos'è?

Sono sorpresa, risollevata: è la mia salvezza. Nuoto forte. Nuoto combattendo contro i cavalloni giganti e i raggi solari che, in un nanosecondo, asciugano la mia pelle bagnata, arrossandola.

Un uomo in cima. Mi fermo: è mio padre. È mio padre, ne sono sicura.

È tornato! È tornato da me per salvarmi.

Papà. Ti prego, aiutami.

Grido e piango. Piango e grido. Bevo acqua salata. La gola brucia tanto. Invoco il suo aiuto una volta ed un'altra ancora.

Mio padre mi fissa, severo. Come se avessi commesso il peggiore dei peccati. Come sei io meritassi di morire là, tra gli abissi ed il fuoco. Come se io meritassi di esplodere nell'incontro tra cielo e mare.

Papà.

In ogni dove il mio urlo senza speranza. Sono esausta e lui è fermo lì, su quei passi che ho capito non vuole compiere. Non vuole salvarmi.

Ed io mi pento. Forse perché pentita lo sono davvero. Forse perché farlo può darmi un'opportunità. Sono una vigliacca.

Papà, non volevo.

Ma lui non mi crede. Mi osserva ancora un po' e va via, voltandomi le spalle. Cammina e scompare nella fitta nebbia.

Papà.

Il mio cuore si contorce e si arrende, mentre tutto sta per finire. Il sole è sulla mia testa.

Papà, non volevo...

Vado giù. Il mio atto estremo ed ultimo. La luce incontra l'oscurità. L'incandescenza con l'abisso. Il caldo con il freddo. Si sfiorano, si cercano. Si uniscono. E tutto esplode. In un secondo.

Papà, non volevo... Michele...

***

- Cazzo, Gioia!

Mi sento scuotere tutta. Con vigore. Il mio corpo oscilla a secondo della forza. Forte, molto forte. Avverto pesantezza in ogni centimetro quadrato della mia pelle. Sono esplosa. Sono davvero esplosa.

Apro lentamente gli occhi umidi, mentre cerco di rinvenire. Intontita, metto a fuoco. Quella del punto fisso è la mia specialità. Questa volta, anziché la montagna, mi affascinano gli occhi di Michele.

Mi piacerebbe dirgli qualcosa, chiedergli qualcosa, ma vengo pervasa da un brutto senso di nausea. Neanche il tempo di avvertire lo stomaco in gola che mi piego su me stessa, colta da spasmi.

Sono una vigliacca. Sono una debole. Sono vuota.

***

Un budino rosa afflosciato su una sedia di legno, ecco cosa sono. Il braccio destro piegato è il mio unico sostegno. È da due giorni che non mi guardo allo specchio ed ora che ne prendo atto, voglio non farlo. La camicia da notte con piccoli ricami in merletto è completamente fracida: se la strizzassi, sgorgherebbero litri di limonata. L'unica bevanda mandata giù dal mio arrivo.

Sono ridotta ad uno straccio, con labbra screpolate e occhiaie così evidenti da poterci ficcare un dito dentro. E i capelli puzzano.

- E pensare che una volta, in questa casa, stavamo da schifo per l'alcol!

Per Michele il mio stato deve essere una sconfitta morale. Insolazione solare ha battuto vodka uno a zero. Che darei ora per portare indietro le lancette dell'orologio e magari rivivere la mia prima mattinata in Costiera. Magari avrei potuto mangiare un gelato in uno chalet, comprare un nuovo costume, fare un bagno a mare. Sì, come no, magari come quello del mio incubo. Già, l'incubo appena vissuto. Mi tremano le mani solo a pensarci. Non credevo di sentirmi così colpevole. Non al punto di sognare il mio affogamento o mio morire arsa viva. Senza dimenticare la scena di mio padre. Che scena patetica ed atroce.

La cucina, in cui mi ritrovo, è abitabile, un po' come il bilocale di Michele. Non troppo grande, ma pieno di ogni comfort. Tenendo conto, tuttavia, che in quest'abitazione ci abita un uomo che non avrà mai e sottolineo mai le stesse esigenze di una donna.

Mi dà le spalle, intento a fare non so cosa accanto al lavandino. È rimasto un belvedere, non si può dire altro. Ricordo che già da piccoli si distingueva dai suoi coetanei e da me per l'altezza. Un vero gigante, dai piedi e dalle mani grosse. Tanto alto quanto dolce, tranquillo e posato. Mai una parola fuori posto, ma un'imprecazione. Mai una cattiveria. Il classico bambino buono. Almeno fin quando non è diventato consapevole della sua bellezza. Di quei occhi castani che richiamano terre d'Oriente invase dalla sabbia rovente. Quelle labbra carnose, che chissà quante bocche hanno baciato. E quei ricci scuri, tirati indietro con tanto gel. Fiero, sicuro di sé, con sguardo di chi sa che può attrarti in meno che non si dica. Ha perso tutta la sua innocenza e l'ha affidata a me, che anni fa ero l'indisciplinata del gruppo di amici.

Mio padre, una volta, stava seriamente rischiando di morire d'infarto, quando, presa dalla costante ricerca "dell'altro", mi tuffai da un trampolino in bella mostra sugli scogli. Ero incosciente, totalmente. Ed ero curiosa, il che non guasta mica. Ma se queste due caratteristiche si insinuano in un'unica persona, allora i guai sono ben serviti.

Volevo provare tutto ciò che era nelle mie possibilità. Poi mi sono spinta oltre, in sentieri pericolosi, colmi di rose rosse con le spine. La rosa è un fiore magnifico per la sua bellezza e per il suo profumo, ti attira a sé proprio come le sirene cantatrici. Hanno un odore che penetra subdolo nelle narici. Attanagliano il tuo cuore e la tua mente, completamente annebbiata. E mentre ti seducono, ti pungono maligne. Tu le ammiri e loro ti feriscono.

Ma quando sei figlia, il dolore per la ferita non lo avverti solo tu. C'è tua madre, tuo padre. Un'intera famiglia. E si soffre. Molto. Da allora non tocco più nessuna rosa, per quanto preziosa possa essere.

- Tieni. Mangia una mela, ti farà bene.

Michele poggia un piatto e un paio di tovaglioli sul tavolo. Afferro un pezzetto e lo porto vicino la bocca, nonostante non ne abbia poi così voglia. Mangio per fargli piacere.

Distrattamente noto una maglia nera da donna, piegata in malo modo sulla base di una moderna cristalliera bianca. Di certo non è la mia. Odio il nero, è un colore che, oltre a starmi male, mi provoca tristezza. È il colore della morte. Poi ho dinanzi l'immagine di Martina, la guida turistica fidanzata di mio cugino. Ecco spiegato, forse, l'abbigliamento così formale.

- Se io dormo nella camera da letto, tu e Martina dove vi siete messi?

Michele solleva il sopracciglio destro sorpreso e si appoggia ad un mobile, incrociando le braccia.

- Martina non vive con me. Ed io sto comodo sul mio divano.

Credevo convivessero, dato la maglia. Quindi l'ha dimenticata qui probabilmente. Bevo un po' d'acqua e guardo il piatto vuoto: ho finito la mela. Sospiro: sono stanchissima, ma ho bisogno di una doccia. Mi incammino verso il bagno a piedi nudi, dopo avergli sorriso leggermente. Un modo semplice per ringraziarlo della sua ospitalità.

- Ma non credere che lei sia felice della tua presenza.

Mi blocco di scatto accanto lo stipite della porta solo il tempo utile per udire quanto serve. Dopodiché, ancora di spalle, mi dirigo in bagno. Martin sa, ne sono certa. E ciò che è ancor più sicuro è incompatibilità reciproca.

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Fine secondo capitolo.

A presto.

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