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Se non fosse per te
Bugie
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Sono maledettamente fortunata. Almeno dal punto di vista professionale. Non solo ho come datrice la mia migliore amica, un contratto e uno stipendio ben pagato a fine mese, ma anche un aiutante. Angelo nuovamente mi ha proposto la domenica di riposo. Baderà lui alla libreria. Ormai con sua moglie non abita più a Minori da anni, tempo fa optò per un trasferimento a Salerno, pur di portare a termine un progetto tanto desiderato: fondare una casa editrice. Una di quelle piccole, minori, che giocano un ruolo determinante nella vita di aspiranti autori in cerca di qualcuno che creda in loro. E da buona volpe, Angelo, tra un manoscritto ed un file digitale, ha scovato veri capolavori, come quello di un giovane beneventano e suoi racconti ad alto tasso erotico. Certo, non fu di primo acchito molto entusiasta. Immaginate un uomo piuttosto in là con gli anni che ha a che fare con bondage, nastri isolanti, catene. Gli sembrava tutto tremendamente irreale, tutto umiliate e materiale per chi dell'amore sacro ne ha fatto una missione. Ma se questo è ciò che i miei lettori vogliono, allora glielo darò. Non senza soffrirne per questa scelta. D'altronde, lui è rimasto all'epoca dei prati in fiore e della sua passione casta per la greca Helena. Intanto, però, il beneventano vende a ritmi incalcolabili. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano, complice anche il prezzo.
Ad ogni modo, ho approfittato della situazione per tener fede a quanto promesso a Michele: mi prenderò cura di Vittorio. E non è per niente semplice!
Somiglia spudoratamente a suo padre, lo zio Fabrizio, con quei ricci stretti e neri, così folti e così dannatamente in contrasto con gli occhi azzurri. Per avere vent'anni, appare più grande, data l'altezza e la fisicità. Che io sappia, non è fisicato. Questo andrebbe anche contro ogni logica. Il suo motto è "un bravo cuoco ci dà di panza, no di addominali".
Ma suppongo che con il tempo abbandonerà il suo amato mantra per adottarne uno nuovo. Per il momento, questo gli calza a pennello, visto il più che valido metabolismo.
I miei cugini sono nati e cresciuti in cucina. Mia zia adorava sfornare torte, pizze e pranzi luculliani per la famiglia. Noi approfittavamo tutti e suo marito sprofondava nel sofà con un bicchiere di cedrata per digerire. Vittorio, diversamente da Michele, sin da piccolo ha sviluppato questo trasporto per i fornelli. Si emozionava dinanzi l'estasi dei commensali, felici di aver gustato un suo piatto.
Durante gli anni dell'istituto alberghiero, svolgeva tirocinio presso un ristorante del paese e non appena i camerieri gli riferivano di aver concluso il servizio, si nascondeva in un angolo per scrutare le espressioni dei clienti.
" L'espressione è tutto, Gioia "
Ma per quanto pacato e riflessivo possa apparire, in realtà è un gran casinaro. Normalmente si agita, crea confusione. È un vortice di creatività.
Mi imbuco in una stradina a sinistra del lungomare. Tanto stretta da essere quasi una feritoia. I luoghi eccessivamente angusti mi creano disagio. Non avete anche voi timore che possa accadervi qualcosa di inaspettato? Frattanto che aspetto la vostra risposta, continuo a camminare. Forse sono io che ho troppe fobie.
Il lungo muro in mattoni di tufo viene interrotto da una scalinata. L'ennesima. Minori è un insieme di salite, discese e scalini. Non passerò la mia vecchiaia qui, già è dura ora, figuriamoci un domani.
Mi faccio coraggio e in men che non si dica, mi ritrovò dinanzi casa di Michele. Noto con piacere che suo fratello, il prodigo minore, ha già messo in chiaro le cose. Sulla placchetta della porta, compaiono i cognomi "Autieri-Scala". Il primo di Michele, il secondo di Vittorio. Il figlio che mia zia Sonia ebbe dopo essersi sposata con bambino senza padre a carico. Due fratellastri, che si adorano in modo disinteressato.
Allungo il dito verso il campanello, bloccandomi in un secondo momento. La porta è aperta. Socchiusa, per esser precisi.
Mi intrufolo, riconoscendo bene ogni dettaglio di una dimora che mi ha vista ospite per qualche giorno. Ecco, l'unica nota dolente è la musica sparata a palla. Peraltro niente di aulico, solo tanto rumore e frasi dal doppio senso di cantanti neomelodici. Eccolo, si è di sicuro destato dai suoi sogni. Cafone che non è altro. Michele glielo romperebbe in testa lo stereo.
Invoco il suo nome, incrocio le braccia. Una sedia fa da blocco per evitare che la porta sbatta. Mi ci siedo su ed accavallo le gambe. Se lo conosco tanto quanto credo, farà un ingresso magistrale. E neppure il tempo di pensare che, partito il ritornello cafonal chic, entra lui, Vittorio. Molleggia sulle punte dei piedi, piegandosi in avanti e muovendo il bacino verso destra e sinistra. Curva le braccia, portando le mani al centro dello sterno. Canticchia con vigore, immedesimandosi nell'euforia del gruppo di cantanti.
Come reagire davanti a cotanta rappresentazione? Passo da una prima fase esterefatta ad uno scoppio fragoroso di risate.
A ritmo di musica, mi attira a sé, coinvolgendomi nella sua danza. Cosa peraltro impossibile, visto il mio continuo ridacchiare.
"Quanto mi sei mancato, Vit".
"Anche tu, muchacha"- mi bacia affettuosamente- " ma ora godiamoci i Backstreet boys del Vesuvio ".
Ci abbracciamo, muovendoci in mosse improponibili. Mimiamo il lancio di una palla a volleyball, un aggiustatina ai capelli fonati e controlliamo che sulla camicia non ci siano piegature. Siamo dei ramarri nati.
Una fitta allo stomaco. Non mi divertivo così da secoli. Con Vittorio basta un niente per inscenare una festa.
La canzone termina e lo circondo con le braccia al collo.
" Vittorio mio, meno male che esisti tu".
"Lo so!"- ricambia il mio gesto-" Se la buonanima di mio padre fosse in vita, gli chiederei di darmi una sorella come te".
Dei due, paradossalmente, fu Vittorio ad accettare facilmente la morte del padre. Per quanto l'elaborazione del lutto possa essere semplice. Michele, invece, ne uscì devastato: sebbene suo fratello fosse la copia spudorata dello zio, era lui ad essergli più simile da un punto di vista caratteriale. Tra loro c'era un intesa fuori dal comune. E Sonia questo lo capí bene tanto da non rifarsi una nuova vita. Si dedicò anima e corpo ai figli, al ricordo del suo amore spirato via. Ma non tenne conto della reazione del suo primogenito. Michele si sentiva responsabile nei confronti della madre e del fratello più piccolo di dieci anni. Certo, sua madre lavorava, era sarta, ma non guadagnava molto. E i risparmi dello zio Fabrizio non sarebbero durati a lungo.
Poi entrò nella sua vita il Miluna in vendita. Fece un offerta al proprietario. Comprò il locale e tutto l'arredamento all'interno. Antonio divenne il suo aiutante ed avviò l'attività tanto di successo oggi. È un uomo che si è fatto da solo, Michele. Un uomo che ha sostenuto la madre e che ha permesso al fratello di studiare e coltivare la sua passione, investendo molto denaro pur di fargli frequentare corsi professionali in Italia e all'estero. È per questo motivo che lo definisce il fratello prodigo: sempre in giro senza meta, Vittorio se ne torna con la coda tra le gambe e con le tasche vuote. E Michele lo perdona, perché lo conosce nel profondo e sa che si fa in quattro per migliorarsi.
Per Vittorio, Michele è il padre che non ha più. Per Sonia, un eroe.
A proposito di famiglia, io sarei la sorella che non ha avuto. Strizzo gli occhi per non farmi ingannare- " spara, cosa vuoi?"
Mi agguanta, spaventato-" ti prego, liberami della cessa a sonagli!".
Io dovrei liberarlo da Martina? Perché non c'è altra donna in questa casa. Ed essendo io la tanto desiderata sorella...
Non può credere a quanto avviene sotto i suoi occhi-"non capisco cosa ci trovi di bello in quella! "
Faccio spallucce. Che ti devo dire, Vit? De gustibus non disputandum est-" farà la sua porca figura".
Dubbioso, esclama-" più porca, che figura, Gioia mia".
Gli tappo la bocca-"Vittorio, ti supplico. Evitiamo storie... "
Evitiamo un par di cavoli! Ha luogo una scena a dir poco esilarante. Martina, avvolta in un microscopico telo bianco, si introduce nell'ingresso. Complice la porta aperta, la sinfonia neomelodica, due individui baldanzosi, stringe forte a sé l'asciugamano, scongiurandone una caduta ed emana un acuto infernale.
"O mio Dio!"
Ma non finisce qui. Stramazzo completamente a terra, osservando Vittorio scalpitare e saltellare come preso da una crisi isterica. Mani all'altezza delle guance. Strabuzza gli occhi.
"O mio Dio!"
È la mattinata più bella, più divertente, più inusuale della mia vita. Come non si fa a volergli bene? Vittorio è la parte leggera, frizzante della mia famiglia. E di me stessa.
Tasto il pavimento, ancora incredula, dopo l'invidiabile imitazione dell'arpia.
Asciugo le lacrime agli occhi. Pietà, vi imploro, fatelo smettere! Almeno tempo utile per riprendermi.
Vittorio mi aiuta a risollevarmi, palesemente compiaciuto da sé stesso.
"Che diamine ci fate qui?"- chiede stizzita Martina.
Mio cugino mi osserva sgomento-" ma è pazza?"- poi si rivolge a lei-" c'è scritto "Autieri-Scala" fuori. È casa mia e di mio fratello".
Si adira ancor di più-"ed io sono la sua compagna".
"Si, fin quando non ti manda a quel paese!"- ribatte Vit.
Guadagniamo l'uscita, dopo una partita persa da Martina per 0 a 2. Questa giornata è iniziata troppo bene per permettere all'antipatica guida turistica di comprometterla.
Vittorio non le dà pace-" ci vediamo. Ciao bella!".
La lascia li, in desabillè e attonita. Mentre noi fuggiamo come due adolescenti mano nella mano, godendoci la felicità.
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Fine dodicesimo capitolo.
Alla settimana prossima!
Spero Vittorio (e il capitolo soft) vi sia piaciuto!
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