53. La festa di Halloween (parte uno)

Sospirai, guardandomi un'ultima volta
allo specchio che dava all'ingresso di casa mia. Il mio costume da Michael Jackson non era così male... con i miei capelli castani ricoperti di gel e la mia giacchetta rossa e nera sembravo appena uscito dal video di Thriller.

«Ti manca solo lo stile, il fascino... il talento.»

«Grazie mille per la tua sincerità, Ed.» Ironizzai seccato.

Mi diedi un'ultima sistemata per verificare che tutto fosse perfetto. Purtroppo avevo un capello fuori posto che era riuscito a sfuggire alle grinfie del barattolo di gel, e cadeva arcuato sulla fronte. Cercai di risistemarlo, ma non voleva stare fermo. Ma perché nelle pubblicità mostravano i capelli dei modelli perfetti e lucenti come l'oro? Alla fine sospirai e mi arresi al mio capello ribelle.

«Bene... direi che è il momento di andare.»

«Vai a piedi, tesoro?» era la voce squillante di mia madre, che irruppe nel salotto.

La guardai ed emisi un altro sospiro. «Sì, mamma.» Risposi facendo due occhi frustrati.

«Sicuro?» insistette lei. «Potrei accompagnarti in macchina mentre porto Clary dalla sua amica.»

«Mamma. No.»

Se c'era una cosa che avrebbe sicuramente fatto partire la serata con il piede sbagliato sarebbe stata arrivare a casa di Bethany in una macchina con mia madre e un gruppo di bambine. Conoscevo la strada e non era tanto lontana, perciò ci sarei andato a piedi. Fine della storia.

«E tu chi dovresti essere?» domandò la vocina di Clary, che spuntò d'un tratto dalle scale.

L'ingresso era diventato una riunione di famiglia? Squadrai mia sorella e osservai i suoi capelli castani legati in due trecce e il suo vestitino bianco e azzurro. Abbassai lo sguardo e vidi che stava indossando due scarpette rosse. Se era un costume da Dorothy del Mago di Oz, era un costume ben elaborato.

«Sono Micheal Jackson.» Le risposi.

Clary si avvicinò e aggrottò le sopracciglia. «Micheal chi?»

«Jackson, piccolo genio...» sospirai inginocchiandomi all'altezza della bambina.

In mano aveva una borsetta a forma di zucca, probabilmente le serviva per farsela riempire di dolcetti e poi mangiarli fino a farsi venire il diabete. Ah, lo spirito di Halloween...

«Avanti Clary, o farai tardi.» nostra madre prese la giacca dall'attaccapanni e se la mise addosso, poi procurò un giubbotto per la bambina. «Perciò vai a piedi? Sicuro?» domandò rivolta a me.

«Sicuro.» Risposi alzandomi in piedi.

Salutai entrambe e aspettai che uscissero dalla casa, non prima che avessero verificato di non essersi dimenticate nulla. Una volta chiuso il portone guardai l'ora sul mio cellulare e decisi avrei dovuto iniziare ad incamminarmi per festa.

«Mi raccomando» disse Ed non appena feci per poggiare la mano sulla maniglia. «Una volta lì, non bere.»

Ridacchiai. «Oh, povera piccola coscienza...» feci con un sospiro. «Io? Bere?» sbuffai divertito.

«Ti ricordo che è grazie all'alcol che sei morto.»

La mia faccia divenne subito spiazzata. «Sono solo dettagli.»

***

Casa di Bethany era esattamente come me la ricordavo. Il giardino era lo stesso, e anche le decorazioni... non era cambiato nulla. Solo non c'erano tutte quelle persone davanti alla porta, le finestre che sprigionavano una miriade di colori e la musica potentissima che faceva eco ovunque, per poco non facendo ribaltare le mura della casa. Inspirando l'aria riuscivo a sentire il dolce profumo del passato.

«Se penso che neanche un mese fa visitavo questa casa quotidianamente...» Sospirai come avvolto in un velo di nostalgia.

«Eppure non hai mai voluto conoscere i suoi genitori.» Mi rinfacciò Ed.

«Non è colpa mia se partivano sempre per viaggi di lusso lasciando la figlia sola... probabilmente adesso saranno a Cuba, o alle Hawaii.»

Poche volte Bethany mi aveva parlato dei suoi genitori. Stavamo insieme da due anni e non li avevo mai visti di persona, ma solo in fotografie o in album di famiglia. Da quel che sapevo erano ricchi sfondati ed erano sempre in viaggio, probabilmente Bethany doveva sentirsi parecchio sola... ma in passato non ci avevo mai pensato. Attraversai il giardino davanti casa guardandomi bene intorno; la piscina dove una volta me ne stavo spaparanzato sul materassino a godermi la vita adesso era piena di persone che si divertivano con bottiglie di birra in mano, mentre il tavolino esterno dove spesso mangiavamo le patatine era stato completamente ribaltato. Presi un respiro per farmi coraggio e mi avvicinai all'ingresso, dove però venni fermato da un ragazzo abbastanza basso e dall'aspetto innocuo.

«B-biglietto prego.» Balbettò spaventato.

Tirai fuori il biglietto che mi aveva dato Bethany e glielo mostrai. Il ragazzo si mise a posto gli occhiali e lo controllò accuratamente. Sembrava un coniglietto smarrito.

«Per caso Bethany ti ha obbligato a fare questo incarico?» gli domandai spinto dalla curiosità.

Lui mi guardò alquanto sorpreso. «S-sì, come lo sai?»

«Mi fido del mio istinto.»

«B-Bethany ha detto che se non l'avessi fatto mi avrebbe umiliato in pubblico... e poi non sono mai stato ad una festa, perciò ho accettato» il ragazzo buttò il biglietto nel cestino di fianco a lui. «B-bene, sono dieci dollari.»

I miei occhi si spalancarono. «Come? Dieci dollari?»

Era inconcepibile. Bethany aveva parlato di un prezzo, ma non pensavo che avesse esagerato così tanto. Considerando tutte le persone che erano venute alla festa mi chiedevo quanto avesse guadagnato. Probabilmente più di quanto potessi guadagnarmi io in tutta la mia vita.

Il ragazzo era spaventato. «M-mi dispiace, è la regola...» all'improvviso sgranò gli occhi e mi guardò meglio. «U-un attimo, sei Chris Watson?»

«Ehm... sì?»

Il suo viso si illuminò. «T-tu mi hai difeso da Chase! Allora puoi passare, n-non preoccuparti dei soldi.» Disse abbozzando un sorriso che mise in mostra il suo apparecchio d'argento.

Oh, perciò era lui il tipo che avevo difeso quando avevo avuto quella lite con Chase... sembrava che alla fine il mio gesto avesse avuto una ricompensa. Ringraziai il ragazzo ed entrai nella casa. Fu come un dejavù ritrovarmi nell'atrio; era tutto come me lo ricordavo... dal divano color miele alle pareti biancastre. La stanza pullulava di persone che ridevano e si divertivano, tutte dai costumi più stravaganti. Diedi un'occhiata in giro per vedere se c'erano i miei amici, ma non ne riconobbi nessuno. Forse non erano ancora arrivati... nell'aspettarli mi fermai al balcone con i vari snack. Patatine, muffin... e una specie di ponch colore rossastro. Quest'ultimo attirò la mia attenzione.

«Non ti azzardare a bere quella roba!» mi rimproverò Ed accorgendosi delle mie intenzioni.

La mia coscienza aveva ragione, ma quella bevanda era così invitante che avrei dovuto lottare con tutte le mie forze per non prenderla.

«Magari solo un bicchiere...»

«No! Guardati intorno.»

Così feci, e mi accorsi che tutte le persone con in mano i bicchieri di quella roba avevano un aspetto strano... ridevano e facevano cose idiote. A quel punto il mio sguardo stranito ritornò sul ponch.

«Meglio di no... chissà cosa ci hanno messo dentro.» Dissi infine dopo la mia riflessione.

Ero già stato a feste di quel genere, e bevande di quel tipo erano in grado di sballarti per tutta la notte. Parlavo per esperienza.

Ed fece un respiro di sollievo. «Finalmente ragioni con il cervello.»

Sospirai e rimisi il bicchiere a posto.

«Chris!» riconobbi una voce di fianco a me.

Mi voltai e vidi Connor, che sorridente si avvicinava. Stava indossando un costume da lupo mannaro, realizzato con una camicia strappata, delle orecchie a punta e due zanne finte. In lontananza non l'avevo quasi riconosciuto.

«Hey Connor!» dovevo urlare per far trasparire la mia voce dalla musica rimbombante. «Bel costume!»

«Anche il tuo! Amico, stai alla grande!» commentò squadrandomi da capo a piedi.

Ridacchiai e lo ringraziai.

«Non ti consiglio di bere quella roba» disse poi indicandomi il ponch. «Prima ho visto un tizio che la stava vomitando dietro ad una pianta. Non è stata una bella scena.»

«Sì, l'avevo capito...» feci io leggermente disgustato. «Seriamente Bethany ha fatto pagare l'entrata dieci dollari?»

Connor sospirò. «Quella ragazza è fuori. Io me la sono cavata con nove dollari e una mentina. La cosa brutta è che qui non servono i burrito.»

Dopo la sua ultima frase non potei fare a meno di ridere. Era ancora il ragazzo che mi ricordavo, quello che aveva una macchina per i burrito nell'armadietto.

«Allora... ti stai divertendo?» gli domandai appoggiandomi al tavolino.

Il ragazzo alzò le spalle. «Più o meno... la cosa buona è che non ho ancora visto Chase o quella banda di babbuini.»

«Neanch'io, e spero proprio di non vederli per tutta la serata.»

Ed si intromise. «Le ultime parole famose...»

Oh no, ti prego non dirlo. Il pensiero che avrei potuto incontrarli mi gelò il sangue nelle vene. Avrebbero di sicuro rovinato la serata.

Fortunatamente Connor mi fece accantonare quei pensieri. «E tu? Stai aspettando qualcuno?»

«Alcuni miei amici, dovrebbero arrivare tra poco. Se vuoi te li presento, scommetto che ti starebbero simpatici.»

Credevo che se li avesse conosciuti, con il suo carattere vivace, avrebbe sicuramente fatto amicizia con tutti. Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a dire qualcosa che una voce femminile lo interruppe.

«Eccoti!» era Amanda, che sorridente si avvicinò a me. «Peter e gli altri ti stavano cercando.»

La sua pelle era più pallida del solito, indossava un vestito nero e lungo, con alle spalle un lungo mantello. I suoi capelli erano raccolti in uno chignon, anche se aveva lasciato cadere qualche capello arricciato lungo la sua fronte. Sulle labbra aveva messo un rossetto bordò, accompagnato da due canini finti. Era un ottimo costume da vampira, a parer mio.

«Lei sarebbe una degli amici di cui stavi parlando?» domandò Connor indicandola.

«Proprio così» ridacchiai. «Amanda, lui è il mio amico Connor. Connor, lei è Amanda.»

La ragazza sorrise incontrando i suoi occhi scuri. «È un vero piacere.» Disse stringendogli la mano.

«Ti avverto, la mia mano sa di burrito.»

«Oh...» dopo l'affermazione del moro, Amanda gli mollò la mano e cercò di nascondere l'imbarazzo.

Guardandoli mi scappò una piccola risata. Ero sicuro che presto Connor avrebbe presto fatto amicizia con tutti. Già, ma... dov'erano tutti?

«Chris!»

Peter mi raggiunse correndo e per prendere fiato si appoggiò al tavolo degli snack. La mia espressione era piuttosto sorpresa. Il ragazzo sembrava la versione maschile del travestimento di Amanda, per l'occasione si era pure tinto i capelli di nero. Oddio, era strano non vedere più quella chioma rossa che tanto lo caratterizzava.

Peter fece qualche respiro prima di prendermi di scatto per la giacchetta. «Ti sto cercando da secoli!»

«Mi dispiace» dissi facendolo scostare da me. «Casa di Bethany è enorme.»

«Me ne sono accorto. Sono stato in bagno, nello sgabuzzino, e nella sua camera da letto.»

A quella frase tutti sbiancammo.

Peter si avvicinò a me e mi sussurrò nell'orecchio: «Ti eri mai accorto che Bethany nasconde nel suo cassetto della biancheria intima una banconota da cinquanta dollari? Insomma, che classe!»

Ridacchiai. «Sì, me ne ero accorto.» Sussurrai a mia volta facendo un sorriso malizioso.

«Voi ragazzi siete disgustosi» commentò Amanda prendendo il suo ragazzo per un braccio. «Dopo facciamo i conti.» Gli disse severa.

Entrambi ridacchiammo.

«Piacere, sono Connor.» Disse il moro facendosi avanti.

Peter gli strinse la mano, sorridendo cordialmente. «Io sono Peter. Wow, la tua mano puzza di burrito.»

Connor sembrava colpito. «Il tuo olfatto è eccezionale! Mi stai già simpatico.»

«Che stranezza.» Mi sussurrò Amanda ad un orecchio.

Ero d'accordo con lei.

Dopo aver fatto le presentazioni, Peter cominciò a guardarsi intorno in cerca di qualcuno. «Credo che Vanessa e Judith si siano perse...»

In effetti mi stavo chiedendo dove fosse. Cioè... dove fossero. Volevo dire quello.

«Non erano con te, Pete?» domandò Amanda mettendosi di fianco a lui.

Non mi ero ancora abituato del tutto a quel nomignolo.

«Sì, ma Judith si è fermata più volte perché le facevano male i piedi» il ragazzo sospirò. «Dovevi vederla, sembrava che stesse camminando su un cactus.»

Ridacchiai al solo pensiero di quella ragazza sui tacchi. Avevo voglia di vederla, di parlare con lei... di farla divertire come le avevo promesso. Come d'improvviso dalla folla di gente sbucò fuori il corpo di Vanessa, che faticosamente stava camminando verso di noi. Indossava una parrucca a caschetto e con una frangia corta, mentre in testa aveva una piuma viola. Il suo vestitino da Charleston era corto e pieno di balze, di un colore nero pece. Anche il suo trucco era veramente elaborato, una volta vista mi stavo chiedendo quante ore avesse passato davanti allo specchio per ottenere un risultato così perfetto.

«Eccovi qui, finalmente!» urlò perché potessimo sentirla, dato che la musica sovrastava nella stanza. Poi girò la testa verso qualcuno dietro di lei. «Dai Judith, ci siamo quasi!»

D'un tratto anche il corpo di Judith uscì allo scoperchio, guidato dalla sua amica. Non appena la vidi non potei fare a meno di sorridere, era come se il mio viso si fosse illuminato. La ragazza stava indossando un vestito completamente bianco, scollato a V mentre la gonna era lunga e le arrivava fino alle caviglie. I capelli biondi erano lasciati sciolti e modellati con un po' di lacca, e il suo rossetto rosso ciliegia risaltava il tutto. In quel momento tanto pensieri mi passarono per la mente. Era bella, così bella che anche la regina di Inghilterra si sarebbe sentita impallidita.

«Wow, se quelle due sono le altre tue amiche voglio conoscerle subito...» Mi sussurrò Connor ad un orecchio, distogliendomi da ogni mio pensiero.

Le ragazze ci raggiunsero. Quando Judith mi guardò allungò le sue labbra in un sorriso, e io feci lo stesso. Era strano, nessuno di noi voleva rivolgersi la parola.

«Allora» fece Vanessa posando le mani sui fianchi. «Non è una bellissima Marilyn Monroe?» ci domandò rivolgendosi alla sua amica.

Judith impallidì ed abbassò lo sguardo. «È tutta opera sua...» Disse con sorriso imbarazzato in volto, posando il peso da un piede all'altro.

«L'ho obbligata a mettersi i tacchi» continuò Vanessa. «E direi che ho fatto un ottimo lavoro.»

Tutti i nostri occhi meravigliati erano puntati su Judith. I suoi, però, erano ancora rivolti verso di me. E sembrava che nessuno dei due volesse distogliere lo sguardo, era come se facessimo a gara a chi cede per primo.

«Ragazze, lui è Connor.» Disse Peter indicando il ragazzo rimasto di fianco a me.

A quella frase entrambi allontanammo lo sguardo di colpo e ci risvegliammo dai nostri pensieri.

«Ciao!» Vanessa gli strinse la mano amichevolmente. «Io sono Vanessa, mentre lei è Judith» disse indicandola, poi si avvicinò al suo orecchio. «Devi sapere che un po' timida con le persone che non conosce.»

«Vanessa!» l'amica, che aveva sentita, le diede uno strattone.

«Scusa.» Rise lei, la sua ironia fece ridere anche Connor.

Dopo che il moro e la bionda si ebbero stretto la mano, decisi che forse era il momento di scambiare una parola con la ragazza. Potevo farlo? Era nei momenti come quelli che mi sentivo impotente, piccolo come una formica. In passato non accadeva mai.

«Andiamo a ballare, ragazze!» esclamò Amanda alle sue amiche.

«Sì, ma viene anche Judith.» Disse Vanessa sorridendo.

La ragazza in questione cercò di allontanarsi silenziosamente , ma la cosa fu del tutto inutile.

«Dove scappi?» fece Amanda prendendola per un braccio.

«Io non...»

«Ora tu vieni con noi.» Disse Vanessa impossessandosi dell'altro suo braccio.

«Avanti, è divertente!» Insistette Amanda con un sorriso malefico in volto.

Le due complici trascinarono Judith verso la pista da ballo, mentre noi ragazzi le guardavamo divertiti.

«Ferme ragazze! No!» protestò lei dimenandosi.

Ci guardò ridendo e allo stesso tempo con un filo di rabbia in volto, prima di scomparire tra la folla. Rimasti noi tre scoppiammo immediatamente a ridere. Era divertente vedere Judith obbligata a ballare contro la sua volontà.

«Bene, ora vado a vedere se in cucina ci sono dei burrito» disse Connor. «Qualcuno viene con me?»

«Vengo io, ho fame» fece Peter alzando la mano. «Ti unisci a noi, Chris?»

«No, credo che farò un giro...» Risposi incerto.

I due ragazzi fecero le spallucce. «Come vuoi.» Dopodiché se ne andarono lasciandomi solo.

Sospirai e mi appoggiai al tavolo degli snack. Era strano ritrovarsi a casa di Bethany, quando inizialmente credevo che non l'avrei più rivista. Guardai le persone che ballavano e si divertivano, e mi chiesi che cosa avevano in più di me. Mi sentivo a disagio. Non mi ero mai sentito così prima d'ora, o almeno non ad una festa. Di solito ero io quello che ballava, si divertiva, beveva... ora mi sembrava di vedere tutto da un'altra prospettiva. Passai mezz'ora ad osservare la gente che rideva e faceva cose pazze, e più le guardavo più mi rendevo conto che quell'era era finita. Non ero più un ragazzino irresponsabile, mi sentivo più maturo e più in grado di badare a me stesso. Dopo quei lunghi e pesanti trenta minuti trascorsi a deprimermi e a bere aranciata da un bicchiere di cartone scorsi in lontananza una ragazza. Non era un angelo, era Judith che pensierosa si era messa in disparte e se ne stava seduta tutta sola sul divano color miele. Probabilmente anche lei si sentiva come me, fuori luogo. Guardandola mi convinsi che dovevo andare da lei, questa era un'ottima occasione per parlarle. Così appoggiai il bicchiere di cartone sul tavolino e mi avvicinai al divano, per poi sedermi di fianco a lei. Era così avvolta dai suoi pensieri che sembrava non essersi neanche accorta di me.

«Pensierosa?»

La ragazza ruotò immediatamente il suo sguardo verso il mio, del tutto sorpresa. Quando si rese conto che ero io fece un respiro di sollievo e sorridendo tornò a guardare il pavimento.

«Già...» Mormorò dondolando i piedi.

«Quelle scarpe non sembrano comode.» Commentai osservandole.

«Sono strumenti di tortura.»

Ridacchiai dopo la sua affermazione. «Amanda e Vanessa non sono con te?»

«Le ho abbandonate dopo dieci minuti che mi stavano obbligando a ballare. Pensavo non ce l'avrei fatta, ma...» sorrise divertita. «Alla fine sono riuscita a scappare.»

«Non ti trovavi bene, con loro?»

Judith sospirò. «Loro sono due anime da festa, io sono più... un lombrico solitario.»

Risi un'altra volta. «Beh, Lombrico, se ti fa stare meglio anch'io non sono in vena di festeggiare.»

Judith storse un sopracciglio. «Ma come? Il "grande Chris Watson" che non si diverte ad una festa?» disse con fare teatrale.

«Guarda che non fai ridere nessuno.» ironizzai, facendole una smorfia.

La ragazza ridacchiò, poi sospirai, guardando le persone che ballavano.

«La verità è che i tempi dove festeggiavo e mi divertivo sono finiti... adesso penso che niente di tutto questo abbia più un senso. Insomma, guarda. Tutte queste persone che ridono, che ballano...» abbassai lo sguardo. «Non fa più per me.»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Non ti facevo così poetico.» Commentò curiosa la biondina.

Accennai un sorriso e la guardai negli occhi.

«Sai, non te l'ho detto prima, ma... sei proprio bella.»

Non ero mai stato più sincero, non avevo mai visto cosa più bella in vita mia. Il suo viso era come un dipinto, privo di imperfezioni. E se la bellezza fosse stata una persona, avrebbe preso il nome di Judith. La ragazza mi sorrise radiosa, e potei vedere le sue gote diventare presto rosse. Prima che potesse dire qualcosa, la nostra conversazione fu interrotta da due ragazzi che si buttarono sul divano e presi dalla passione cominciarono a baciarsi con foga. Schiacciarono Judith, che sorpresa venne spintonata letteralmente addosso al me. Si aggrappò al mio petto, cercando di stare lontana dagli amanti che sembravano proprio non volersi fermare. Quando gli occhi della ragazza incontrarono i miei ci rendemmo conto della situazione imbarazzante in cui ci eravamo trovati. Eravamo un po' troppo vicini.

«Trovatevi una stanza!» urlai ai due, basito quanto sconcertato allo stesso tempo.

Niente, erano come una macchina della passione, sembrava di vedere l'inizio di un porno. Capendo che non c'era più nessuna speranza che quei due si fermassero, presi la mano di Judith e mi alzai dal divano, costringendola a fare lo stesso.

«Andiamo in un altro posto.» Le dissi cercando di farmi sentire dal volume alto della musica.

Cominciai a camminare verso la porta del retro, sorpassando le varie persone che ballavano senza freno.

«Dove mi stai portando?» domandò Judith confusa.

«Lo scoprirai!»

Quando finalmente riuscii a trovare la porta, entrambi uscimmo dalla casa e davanti a noi ci ritrovammo una lunga distesa di prato. Ricordavo quel posto, era l'unico luogo di pace di tutta casa. Di solito io e Bethany ci facevamo i picnic o giocavamo a pallavolo con gli altri, era davvero un bel luogo per stare in tranquillità. Fu come un flashback ritornarci, riuscivo a vedere me in lontananza che si arrabbiava con Scott per non aver preso la palla, o Bethany che prendeva il sole su una sdraio. Quel prato era pieno di ricordi, per me, e adesso era del tutto deserto.

Gli occhi di Judith erano meravigliati. «Wow... qui è bellissimo!» commentò camminando lentamente e guardandosi intorno.

«Già, ed il bello è che non c'è nessuno» dissi avvicinandosi. «Siamo in pace e in tranquillità.»

La ragazza ridacchiò e guardò il cielo pieno di stelle. «È meraviglioso.» Mormorò affascinata.

Le arrivai di fianco e annuii, ammirando insieme a lei il cielo stellato. Era uno spettacolo bellissimo, e non avrei voluto altro che godermelo in sua compagnia. La ragazza d'un tratto si chinò e si sfilò le scarpette bianche, stiracchiando i suoi piedi doloranti.

«Finalmente sono riuscita a togliermele...» fece un respiro di sollievo. «Mi stavano massacrando i piedi.»

Ridacchiai. «Guarda.» Dissi cominciando a fare la moonwalk, un noto passo di danza di Michael Jackson.

Judith mi guardò scoppiò a ridere. «Ma come ci riesci?»

Non risposi e feci altri passi di danza, sorridendo divertito dalla sua reazione. Mi piaceva farla ridere.

«Wow, sei bravissimo!» commentò Judith ridacchiando.

«Provaci anche tu.»

Sorpresa, la ragazza indietreggiò ridendo. «Oh no, non ti conviene vedermi ballare.»

«Dai, non essere timida.»

«Non sono capace!»

«Non ci credo.»

La ragazza sospirò. «Okay, guarda.»

Cominciò a fare una specie di danza tribale. Non sapevo esattamente cosa fosse, ma era abbastanza per farmi scoppiare a ridere. Okay, forse era veramente negata a ballare.

Judith si accorse della mia reazione e cominciò a ridere con me. «Te l'ho detto che sono una frana!»

Cercai di smettere di ridere ed emisi un respiro profondo. Era stato come vedere un bradipo che prova a fare una piroetta.

«Vieni, ti insegno.» La presi per mano e la avvicinai a me.

Inizialmente la ragazza impallidì alla vista dei miei occhi da così vicino, poi sbatté più volte le palpebre e si lasciò andare, posando una mano sulla mia spalla.

«Come si fa senza la musica?» domandò con un sorriso sulle labbra.

«Si può ballare benissimo anche senza musica.» Feci io, guidandola sul tempo da prendere.

Lei ridacchiò. «Va bene.»

Cominciammo a ballare un lento, usando l'erba come pista da ballo. I nostri piedi seguivano il ritmo che avevamo prefissato, ci stavamo muovendo dolcemente. La cosa che mi stupiva era che Judith era scalza.

«Visto? Stai imparando» dissi sorridendo. «Non sei neanche così male.»

Judith sbuffò e sorrise. «Qualsiasi ragazza risulterebbe brava ballando con te.»

Le feci fare una giravolta, la gonna del suo vestito bianco si aprì come un fiore sbocciato. Non sembrava più un bradipo, ora era delicata come una farfalla.

«Lo prendo come un complimento.» Dissi rivolgendomi alla sua frase.

Riprendemmo a ballare guardandoci dritto negli occhi. All'improvviso Judith emise una risatina imbarazzata e abbassò lo sguardo.

«Sei rigida.» Commentai.

«Come prego?» fece lei, rivolgendomi uno sguardo di sfida.

«Mi correggo: sei molto rigida. Rilassa i muscoli, lasciati andare...»

Judith sorrise leggermente, poi emise un respiro profondo e appoggiò il suo petto al mio, avvolgendo le sue braccia attorno al mio collo.

«Così...» Mormorai appoggiando delicatamente le mie mani sulla sua vita.

I nostri nasi erano talmente vicini che mancavano solo uno o due centimetri prima che si toccassero. Potevo sentire il suo petto alzarsi ed abbassarsi a seconda del suo respiro, e sì, potevo sentire anche i battiti del suo cuore. Battiti veloci, mi chiedevo se stesse bene. Nessuno sapeva cosa dire, stavamo ballando ormai da un po', e i nostri occhi erano ormai ancorati tra di loro. Riuscii a cogliere ogni sfumatura delle sue iridi azzurre, avevano colori chiari come il ghiaccio e altri un po' più scuri come l'oceano. Erano in assoluto gli occhi più belli che avessi mai visto.

«Ti mancherà questo posto?» domandò Judith per rompere il silenzio.

«Beh, è un posto che mi ricorda molte cose» risposi. «Ma no, non penso che mi mancherà.»

«Ti mancano i tuoi vecchi amici? La tua... vecchia vita?»

A quella domanda sospirai. Certamente avevo un po' nostalgia di tutto, ma insomma... ormai non importava più.

«Sei più curiosa del solito.» Commentai sorridendo, giusto per evitare l'argomento.

Lei ridacchiò. «Lo so» mi guardò. «Scusa.»

«Non scusarti... la verità è che quando sono tornato in questo posto ho avuto come un flashback...» sospirai. «Credo che mi manchi ancora.»

Judith sorrise e appoggiò la sua testa al mio petto. A quel gesto il mio cuore fece una capriola. Sentivo che finalmente qualcuno teneva a me, sapevo che quella ragazza si sentiva protetta attorno alle mie braccia. Sorrisi a quel pensiero, e la strinsi ancora più forte. Era un momento perfetto, nessuno avrebbe potuto rovinarlo.

«Suricato.»

«Cazzo.» Sussurrai risvegliandomi dal mio sogno ad occhi aperti.

«Hai detto qualcosa?» fece Judith, alzando lo sguardo.

«No, niente...»

E adesso? Dovevo assolutamente fare qualcosa, Ed aveva detto la parola d'ordine, il segnale d'allarme!

«Che dici, ci sediamo sull'erba?» domandai con un tono gentile.

Judith annuì e si staccò da me, ponendo fine al nostro bellissimo ballo. Per fortuna avevo fermato le cose prima che potesse essere troppo tardi. Un lavoraccio, ma alla fine ci ero riuscito.

«Il cielo è bellissimo.» Commentò la ragazza, sdraiandosi sull'erba.

Mi sdraiai accanto a lei e sorrisi, osservando quel capolavoro. Mi ero sempre chiesto quante stelle ci fossero nell'universo... e da piccolo le contavo sempre, solo che dopo un po' perdevo il conto e mi toccava fare tutto da capo. Voltai lo sguardo verso Judith, e nel vederla così meravigliata mi spuntò un sorriso involontario sul viso. Era lei il mio cielo stellato.

«Cosa vorresti fare nel futuro?» le domandai di getto. «Di mestiere, intendo.»

La ragazza mi guardò. «Nel futuro?»

Annuii, e lei cominciò a pensare.

«L'insegnante.»

«L'insegnante?!»

Era l'ultima parola che mi sarei aspettato di sentire da lei. Dopo quello che aveva passato a scuola pensavo che dopo gli studi non volesse rivedere quel posto mai più. Ma a quanto pare mi sbagliavo.

Judith, notando la mia reazione, scoppiò a ridere. «Lo so, è strano!»

«No, è solo che...»

«...Non pensavi che volessi avere di nuovo a che fare con la scuola e il resto.» Mi rubò le parole di bocca.

«E allora perché vuoi diventare un insegnante?»

Judith fece un sospiro e guardò il cielo. «Perché voglio educare gli studenti ad essere persone migliori. Voglio insegnare loro che non conta a quante feste vai, o che scarpe ti metti... conta quello che hai in testa» poi posò lo sguardo su di me. «Voglio che i miei studenti cambino il mondo.»

Le sue erano parole sagge.

«Di sicuro sarai un'ottima insegnante.» Dissi sorridendo.

Judith mi rivolse un sorriso sincero, giurai di aver visto un luccichio nei suoi occhi.

«E tu?»

«Io?»

Quella domanda mi colse del tutto inaspettato.

«Sì, tu» Judith si mise più comoda d'un lato, appoggiando una mano sull'erba, davanti al suo viso. «Hai qualche progetto per il futuro?»

Futuro, una parola che per me non esisteva. Non ne avrei mai avuto uno, perciò era inutile darsi false speranze.

Sospirai e guardai il cielo. «A dir la verità no. Assolutamente niente...»

«Ambizioso.» Ironizzò la ragazza.

La guardai e sorrisi. «Sei sempre così spiritosa?»

Lei ridacchiò. «Andiamo, sai che non lo sono» si avvicinò più a me e si sorresse la testa con un gomito. «Comunque, non dirmi che da piccolo non avevi nessun obbiettivo, nessun "sogno nel cassetto".»

Sembrava così felice e interessata che mi era impossibile non sorridere quando la guardavo negli occhi.

«Se te lo dicessi mi prenderesti in giro.»

Il sorriso di Judith si allungò, sorpreso. «Oh no, ormai devi dirmelo.»

Sospirai, sapendo che mi ero messo nel sacco con le mie stesse mani.

«Ero davvero molto piccolo, e...»

«Sì...?»

Feci una breve pausa. «Volevo fare l'astronauta.»

Judith non poté non trattenere una risata. Era carina mentre rideva.

«Sapevo avresti reagito così» dissi osservandola mentre cercava di riprendere fiato. «È imbarazzante.»

«Ma no,» la ragazza fece un'altra risatina «lo trovo dolce.»

Sbuffai sorridendo, prima di riposare il mio sguardo verso la sfera celeste sopra di noi.

«Avevo visto Star Wars e mi ero messo in testa che un giorno pure io sarei andato lassù» mormorai quasi affascinato da quella meraviglia. «Volevo andare sullo spazio» sospirai. «Che stupido.»

La voce di Judith mi ricollegò alla realtà. «Non sei stupido.»

Era delicata, dolce e avevo la sensazione che fosse anche sincera. Osservai la ragazza, ma non appena il mio sguardo incontrò il suo Judith si riprese subito e si alzò da terra come una molla.

«Torniamo dentro?» domandò affrettata, pulendosi la gonna del vestito.

«Sì,» mi alzai «torniamo dentro.»

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