45. Signore inquietanti

«Ecco la borsa di Clary.» Disse mia madre.

Mi porse il borsone di mia sorella, e non appena la donna abbandonò la presa la mia mano toccò quasi terra.

«Ci mette i mattoni, al posto del tutù?»

Mia madre rise, ma io ero serio. Calcolando che avrei dovuto anche portare Clarissa in spalle, il mio viaggio verso la scuola di danza non sarebbe stato dei migliori.

«Ricordi quello che devi fare?»

Sospirai con malavoglia. «Sì.»

Il piano era che mentre avrei aspettato Clary fare lezione sarei andato a parlare con Grace della cena di famiglia. La risposta che avrei ricevuto era piuttosto chiara, ma mia madre mi aspettava a casa con le dita dei piedi incrociate, sperando che sarei riuscito nella mia impresa. Non le promisi niente, ma le dissi che avrei fatto del mio meglio per ottenere una risposta positiva. Raggiunsi Clary all'ingresso e indossai una giacca. Aprii la porta e la bambina guizzò subito fuori; feci per uscire anch'io quando mia madre mi raggiunse.

«Pensi di farcela?» mi domandò speranzosa.

«Ci proverò.» Dissi prima di chiudere la porta.

La verità era che non ne ero del tutto convinto. Grace aveva un carattere tagliente, e le probabilità che mi avrebbe perdonato erano quasi sotto lo 0,1 per cento. Ma era meglio non partire scoraggiati; chissà, magari quella volta Grace sarebbe stata gentile...
A quel singolo pensiero Ed scoppiò a ridere. Era scritto nelle stelle che non ce l'avrei fatta.

***

«Tu vai a lezione, io ti aspetto qui.»

Clary annuì e dopo avermi dato un veloce bacio sulla guancia si girò e camminò via con le sue compagne di danza. Quel gesto affettuoso mi fece stare bene per qualche strano motivo; ero felice di aver ottenuto un minimo di rispetto da lei. Sorrisi e una volta solo mi guardai intorno, cercando di ricordarmi la stanza in cui avevo visto Grace ballare. Quando finalmente i miei occhi affrettati avvistarono quella che all'apparenza sembrava la porta che avevo aperto la scorsa settimana, mi avviai verso di essa a passo veloce, sperando che nessuno mi vedesse. Non volevo altri guai da aggiungere alla mia lunga lista di debiti. Una volta davanti presi un momento per riflettere, mi ripetei mentalmente una o tre volte che ce l'avrei fatta e dopo aver preso un lungo respiro aprii la porta. Fortunatamente la mia vista non mi aveva ingannato, dato che la stanza era la stessa. Chiusi la porta dietro di me e feci qualche passo in avanti, guardandomi intorno. Larsen era come al solito appoggiato alla parete della stanza, e quando si accorse di me non mi staccò lo sguardo di dosso. Lo vidi e rivolgendogli uno dei miei più teneri sorrisi lo salutai con la mano. Il bambino mi sorrise leggermente e ricambiò il gesto. Ero felice di essere riuscito a comunicare con mio cugino.

«Ancora tu?»

Una voce mi fece girare all'improvviso verso la figura che si trovava a qualche metro da me. Era Grace, che aspettava impaziente una risposta con le braccia incrociate. Mi avvicinai fino a giungerle davanti.

«Come va?» domandai sorridente.

«Prima bene, adesso mi è appena salito un conato di vomito.»

Mi misi una mano sul petto e chiusi gli occhi. «Sono colpito. Simpatica come sempre, eh?»

Lei posò le mani sui fianchi e sbuffò.

«Cosa vuoi?»

«Volevo solo passare un po' di tempo con la mia cuginetta.» Scherzai amichevolmente.

Grazie rimase seria. «Devo chiamare la direttrice?»

Allora capii che con lei era meglio non scherzare e andare subito al sodo.

«Okay, aspetta» quando attirai la sua attenzione presi un sospiro e cominciai a parlare. «Ho detto a mia madre del nostro incontro, e... beh, ecco... lei ha avuto questa folle idea di organizzare una cena di famiglia per mettere da parte le divergenze e per riprendere i contatti. Mi chiedevo se volessi venire anche tu...»

La risposta della ragazza fu diretta. «Non ci penso nemmeno.»

«Come? Perché?»

«Non ci tengo a cenare con te.» Rispose acidamente.

«Ma non vuoi neanche rivedere tua zia? O tua cugina?»

Grace rimase un attimo in silenzio. Sapevo che a Clary ci teneva, le erano sempre piaciuti i bambini e ci giocava sempre quando era ancora una neonata.

«Voglio solo che tu lo chieda ai tuoi genitori e magari...»

«No, ti ho già detto che non voglio andare.»

Grace era più testarda di quanto mi ero immaginato. Di sicuro non avrebbe cambiato idea facilmente.

«Dammi un motivo valido.» Insistetti.

«Fammici pesare... oh, sì. Io ti detesto.»

Quelle parole erano dure da digerire, ma decisi di non farmi abbattere da quello.

«Nemmeno tu sei una passeggiata nel parco...»

Quello che dissi peggiorò solo la situazione, infatti Grace si arrabbiò di più.

«Vattene. Non voglio più vederti in vita mia, hai capito?»

«Se è per quello che ho detto prima...»

«Non è per quello!» sbottò lei spazientita. «Tu, Chris, sei una persona orribile. Avrai pure salvato quella ragazza, ma questo non rimetterà a posto quello che hai fatto in precedenza. Io non dimentico.»

«So di avere sbagliato in passato, ma...» Venni interrotto una seconda volta.

«Se non te ne vai tu, me ne vado io.»

Grace camminò verso suo fratello e prendendogli saldamente la mano lo obbligò ad alzarsi.

«Grace, aspetta.» Dissi cercando di fermarla dall'uscire dalla stanza.

La presi per un braccio, ma lei si ritrasse subito.

«Non toccarmi!» urlò guardandomi con odio.

Il suo sguardo era tagliente, in quel momento riuscii ad intravedere da quelle due iridi blu tutto quello che Grace aveva passato. Aveva ragione, ero stato orribile. Rimanemmo in silenzio per qualche istante, entrambi senza parole, fino a quando la ragazza si voltò e camminò verso l'uscita quasi trascinando il povero Larsen, che obbligato a seguire i suoi ordini la seguì senza protestare. Non potevo lasciarla andare così, non un'altra volta.

«IO CI STO PROVANDO!»

Grace si fermò di scatto sentendo le mie parole. Forse avevo urlato più forte del dovuto, ma in quel momento era l'ultimo modo per farmi ascoltare da lei. La ragazza rimase voltata in silenzio, e ciò mi diede l'opportunità di parlare con voce più calma.

«Ci sto provando, okay?» mormorai. «Io so di avere fatto cose sbagliate e ingiuste, e mi dispiace per questo. Credimi, se potessi tornare indietro nel tempo lo farei, ma io non sono un mago. Quello che è fatto è fatto, ti chiedo scusa se in questi anni non ci sono stato, perché tu volevi solo un fratello e io sono stato così egoista da non accorgermi che nella mia cuginetta si nascondeva una ragazza adulta e con una grande passione. Non so se potrai mai perdonarmi, e questo lo capisco, ma non potrò mai cambiare se non mi darai l'occasione di farlo. Voglio recuperare il tempo perso. Io voglio esserci, Grace.»

La stanza rimase in un silenzio tombale. Avevo detto quello che mi stavo tenendo dentro e che le avrei sempre voluto dire, e pensavo di aver fatto la cosa giusta. Grace mollò la presa di Larsen e si voltò lentamente verso di me con due oggi lucidi.

Incrociò le braccia e disse: «Come sta Clary?»

Io sorrisi leggermente.

«Sta benissimo. Frequenta questo corso di danza, non so se lo sapevi. Vorrebbe diventare una ballerina.»

Grace rise, e una lacrima rigò sul suo viso. Poi si riprese e se l'asciugò amaramente con il palmo della mano. Era come se fossi riuscito a distruggere per un momento la sua corazza da dura.

«Va bene. Accetto la tua richiesta.» Disse freddamente, tenendo le mani incrociate.

Io sorrisi, felice di avercela fatta.

«Ma solo per Clary e per mia zia.» Aggiunse la ragazza.

«Grazie.» Dissi con un sorriso in volto.

Lei rimase in silenzio ed annuì freddamente. Sapevo che era ancora tropo orgogliosa per perdonarmi, ma avrei aspettato. Ad interrompere il silenzio fu una signora che entrò nella stanza rumorosamente. Appena realizzai che si trattava della signora inquietante che mi aveva fissato la scorsa settimana, sbiancai completamente.

«Sono qui per la mia lezione di danza!» esclamò contenta.

Un brivido di paura mi percorse tutta la schiena al solo pensiero di quella donna in tutù. Scossi la testa ed eliminai quel brutto pensiero. Grace si voltò verso di lei e si ricompose.

«Signora --, si accomodi.»

Lei obbedì e si avvicinò alle sbarre. Non appena mi vide fece un sorriso malizioso e anche piuttosto inquietane. Non potei fare altro che fingere un sorriso spaventato.

«Questo bel giovanotto resterà qui?»

A quella domanda capii che dovevo svignarmela. E in fretta.

«No! No, io adesso dovrei andare.» Dissi cominciando a camminare, quasi a correre verso l'uscita.

Aprii velocemente la porta e senza voltarmi la richiusi alle mie spalle, essendo consapevole che quella signora mi aveva osservato lungo tutto il percorso che avevo fatto. Una volta al sicuro sospirai e guardai il soffitto.

«Ce l'ho fatta.» Affermai esausto.

«Quella signora dovrebbe trovarsi un marito... o un canarino.»

«Tu dici?»

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