44. Direzione Narnia

Stavo correndo più veloce che potevo, nella speranza che sarei riuscito a completare la mia missione in tempo. La mia mentre gridava: "Cellulare! Cellulare! Mr. Gomez!". O forse si trattava della mia coscienza...

«Cellulare! Cellulare! Mr. Gomez!»

Sì, era Ed. Corsi verso l'aula di storia, che per mia fortuna era aperta. I miei occhi puntarono subito verso la scrivania di Mr. Gomez, sapendo che il cellulare di Bethany si trovava dentro un cassetto. Quel professore mi aveva ritirato parecchie volte il telefono mentre lo stavo usando in classe; metteva tutto dentro il "Cassetto delle torture". Era così che lo avevamo chiamato io e i miei amici, quelli erano bei tempi. Scuotendo la testa smisi di pensare al passato e mi concentrai sulla mia missione; il cassetto era a pochi passi da me. Camminai furtivamente verso la scrivania e dopo averlo aperto notai che all'interno c'erano un enorme quantità d'oggetti; una pallina da tennis, un pacchetto di sigarette, un lettore musicale, uno smalto per le unghie, cinque dollari, il cellulare di Bethany... il cellulare di Bethany! Lo riconobbi subito perché quella ragazza era l'unica ad avere una cover rosa con tanto di glitter e perline; il suo cellulare sembrava più quello di un undicenne... Lo presi senza esitare e lo guardai vittorioso. Finalmente avevo riscattato il mio debito senza finire nei guai.

«Ce l'ho fatta!» esclamai euforico.

«Aspetta prima di...» la voce di Ed venne interrotta da delle voci in lontananza. «...Parlare.»

Colto alla sprovvista mi voltai allarmato verso la porta. Forse ero capitato sul posto troppo tardi, dato che sembrava che gli alunni stessero per entrare. Le voci e i passi si facevano sempre più vicini da secondo in secondo, e così anche la paura di venire scoperto. Non potevo più uscire dalla classe, dovevo trovare un nascondiglio al più presto. Senza pensare corsi verso l'armadio e mi ci infilai dentro, chiudendo poi le ante davanti a me. Avevo il cellulare di Bethany stretto tra le mani, quando sentii gli studenti arrivare e sedersi ai propri posti. Non potevo stare un'ora lì dentro, dovevo fare qualcosa per uscire da lì senza essere scoperto.

«Buongiorno, ragazzi» l'inconfondibile voce di Mr. Gomez mi mise sull'attenti. «Oggi ho deciso di interrogare.»

L'intera classe emise un lamento, compreso io che roteai gli occhi al cielo; odiavo quando il professore faceva così, soprattutto perché sceglieva sempre me.

«Signorina Currie, avanti, ci illustri il capitolo 10.»

Currie era il cognome di Judith, lo sapevo dall'appello che aveva fatto la signora Morris.

«Veramente avrei studiato anche il capitolo 11, professore.» Mormorò lei con la sua voce fragile.

Avrei dovuto immaginare che Judith era una di quelle ragazze che stavano sempre sui libri; una specie di topo da biblioteca.

«Mi congratulo con lei, allora» disse Mr. Gomez colpito. «Prego, cerci di mettere in queste testoline vuote un po' di conoscenza.»

Judith cominciò a parlare, ed era anche piuttosto brava. Nonostante fosse davanti a tutta la classe sembrava tranquilla e sciolta, diversa dalla ragazza che conoscevo io. A volte non sapeva cosa dire e il professore l'aiutava, cosa piuttosto carina da parte sua; in fondo Judith aveva bisogno di supporto, dopo quello che era successo.

«Bene, Currie» disse Mr. Gomez una volta finita l'interrogazione. «Si merita una A.»

L'intera classe emise un boato di gelosia, mentre io sorrisi soddisfatto.

«Brava, Jud.» Sussurrai.

«Bene, ora vado a prendere delle fotocopie che ho lasciato in aula insegnanti» disse il professore. «Voi non vi muovete.»

Era l'occasione che mi serviva per uscire da quel maledetto armadio che mi stava facendo mancare l'aria. Non appena mi assicurai che Mr. Gomez fosse uscito aprii entrambe le ante, scoprendo la mia testa. Diedi un'occhiata alla porta per vedere se c'era via libera, e non appena gli studenti mi videro scoppiarono a ridere, sorpresi. Io mi accorsi di loro e feci un'espressione imbarazzata.

«Non ci crederete, ma sono appena stato a Narnia.» Dissi uscendo dall'armadio.

L'intera classe scoppiò in una seconda risata, mentre io rivolsi l'attenzione a Judith. Mi stava guardando con un lieve sorriso sul volto, cosa che io ricambiai. All'improvviso mi accorsi che il mio tempo stavo per scadere e mi ripresi.

«Mi è piaciuta questa piccola tappa... ma adesso dovrei andare.» Così dicendo feci per fare un passo verso l'uscita, quando la sagoma di Mr. Gomez fuori dalla porta mi fece spalancare gli occhi.

D'istinto mi richiusi velocemente dentro l'armadio, mente gli studenti si stavano ormai sbellicando dalle risate. Avevo trasformato la loro lezione in un circo.

«Che avete da ridere?» domandò confuso Mr. Gomez, entrando in classe. «SILENZIO!»

L'intera classe obbedì all'ordine tacendo di colpo, anche se potevo udire ancora qualche risatina.

«Non ho trovato le fotocopie» disse il professore frustrato. «Devo averle messe nell'armadio.»

Non appena disse quelle parole il mio cuore cominciò a battere all'impazzata; mi avrebbe di sicuro scoperto! In fondo non mi sarei potuto aspettare di riuscirgli a sfuggire così facilmente. Ad ogni passo che il professore emetteva sempre più vicino al mio nascondiglio, sentivo che mi avrebbe messo in punizione per il resto della vita. Cosa avrei potuto dirgli, che avevo fatto un viaggio a Narnia? Ormai mi ero rassegnato all'idea del mio fallimento. Mr. Gomez era vicinissimo, potevo sentire il suo respiro. L'avventura era finita.

«Aspetti!» una ragazza urlò dall'ultima fila.

La voce era così famigliare che l'avrei riconosciuta tra un milione.

L'uomo si girò verso la ragazza. «Sì, signorina Currie?»

Judith rimase un attimo in silenzio. «...Ha controllato nel cassetto delle verifiche? Di solito mette sempre lì le sue fotocopie.»

Mr. Gomez dovette rifletterci. «Ha ragione.»

Quando si allontanò dall'armadio emisi un respiro di sollievo. Judith mi aveva salvato, stavo già pensando a quando ringraziarla. L'uomo frugò un attimo nel cassetto.

«Perbacco, eccole!» esclamò dopo. «Grazie, signorina Currie.»

«Si figuri, prof» la ragazza restò in silenzio per qualche secondo, poi come colpita da un lampo disse: «Oh, e mi stavo chiedendo... potrebbe indicarmi dove si trova il Lussemburgo nella cartina del mondo?»

«E come mai?»

«Me lo sono sempre chiesta... continuo a cercare ma non lo trovo.»

Mr. Gomez sospirò. «E va bene, ecco...»

Sapevo per certo che Judith l'aveva detto per aiutarmi, perché ero convinto che sapesse già dove si trovasse il Lussemburgo. La cartina del mondo si trovava appesa in fondo alla classe, e dato che il professore sarebbe stato girato mi avrebbe dato l'opportunità di scappare.

«Si trova esattamente... qui.»

La ragazza tossì più volte, cercando di farmi capire che Mr. Gomez si trovava di spalle. La mente geniale di Judith mi stupiva sempre di più. Silenziosamente aprii l'armadio, e mi accorsi che era proprio così. Corsi cautamente fuori dalla porta, e prima di sparire mandai un bacio virtuale a Judith. La ragazza arrossì leggermente, dopodiché me ne andai con un sorriso sul volto. Mentre camminavo nei corridoi vuoti della scuola mi rigirai il cellulare di Bethany tra le mani, soddisfatto.

«Missione compiuta.»

«Sì, ma in compenso hai perso quaranta minuti di lezioni» ribatté Ed, giusto per cercare il pelo nell'uovo. «Muoviti!»

«Ricevuto!» dissi io ridendo, prima di correre verso la mia aula di informatica.

Ero così contento che non riuscivo a trovare un lato negativo alla cosa.

***

Lo sguardo deliziato di Bethany fu il primo che vidi non appena finite le lezioni. Afferrò il suo cellulare come se avesse paura che qualcuno glielo rubasse e gli diede un bacio. Quando si accorse di me tornò seria.

«Sei stato leale...» commentò con un'aria annoiata. «Noi non ci siamo mai parlati, okay?»

Roteai gli occhi al cielo. «Sì, va bene. Hai così paura del tuo fidanzato?»

Lei rise. «Lo sto facendo per te, mio caro.» Disse dandomi qualche pacca sulla testa.

La guardai male e senza salutarci ognuno se ne andò per la propria strada. Stavo per andare al mio armadietto, quando a dieci passi da me vidi Judith che metteva a posto i suoi libri. La raggiunsi quasi correndo, fino a giungerle davanti.

«Eilà.» Dissi appoggiandomi all'armadietto di fianco al suo e rivolgendole un sorriso.

Lei avvampò dallo spavento, poi mi guardò e fece un sospiro di sollievo, posandosi una mano sul petto.

«Mi hai spaventato!» sbottò tornando a mettere a posto i suoi libri.

La sua reazione era stata più esagerata di quanto mi aspettassi.

«Pardon.» Ridacchiai divertito dalla sua reazione.

Lei sorrise leggermente e continuò il suo lavoro sotto i miei occhi curiosi.

«Volevo chiedertelo: cos'hai fatto al viso?» domandò poi, non togliendo l'attenzione dai suoi libri.

«È stato un incidente. Una palla pronta per essere lanciata e un Chase molto arrabbiato.»

Judith mi guardò preoccupata. «Stai bene?»

«Benissimo. E tu?»

La ragazza sospirò e abbassò lo sguardo. «Io sto bene. Volevo scusarmi per non averti parlato oggi in mensa... ero solo un po' giù di morale e volevo essere lasciata sola. Non era colpa tua, solo che... beh, sai quello che è successo.»

Mi avvicinai più a lei permettendo così di potermi guardare negli occhi.

«Tranquilla, a tutti capitano dei momenti "così così".»

Judith annuì tristemente, e per non farla stare male decisi di cambiare argomento.

«Oh, e comunque ti devo ringraziare per quello che hai fatto oggi in classe!» dissi facendola ridacchiare. «Sei stata grande, mi hai salvato la vita! Ho rischiato davvero tanto con Mr. Gomez...»

«Figurati. A proposito... che ci facevi nell'armadio?»

Quella domanda non fu tanto gradita. Non potevo dirle la verità, non volevo che sapesse del patto che avevo fatto con Bethany.

«Dovevo prendere il mio cellulare.»

A quanto pareva quello che raccontai non bastò per soddisfare la curiosità della ragazza, che alzò un sopracciglio.

«Il tuo cellulare ha le perline sopra?»

Restai un attimo in silenzio, poi mi avvicinai col viso al suo. «È glamour, mia cara.»

Judith cominciò a ridere, coprendosi la bocca con la mano. «Seriamente, di chi era quel cellulare?»

Sospirai, sapendo che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla.

«Era di Bethany. Io e lei abbiamo fatto un patto.»

«Che genere di patto?»

«Certo che sei una piccola ficcanaso!»

«Sì, e ne vado fiera!» fece lei con un sorrisetto beffardo. «Adesso dimmi tutto.»

Roteai gli occhi al cielo. Niente e nessuno avrebbe impedito a Judith di scoprire quello che le stavo nascondendo.

«Era per riavere il tuo quadernino. Ho dovuto riprendere il suo cellulare dopo che Mr. Gomez glielo aveva ritirato. Ma tranquilla, è stato un gioco da ragazzi.»

«Ho visto» disse lei con una nota di sarcasmo. «Chris, non devi cacciarti nei guai per colpa mia. Mi fai sentire troppo in colpa!»

«Ma quando l'ho visto nelle sue mani, io... ho sentito il bisogno di ridartelo, ecco.»

Lei sorrise. «È stato molto dolce da parte tua, ma la prossima volta parlane con me. Non voglio che tu ci rimetta la pelle solo per vedermi felice, posso cavarmela da sola.»

«Va bene» mi arresi a malincuore. «Ma non smetterò di starti accanto quando ne avrai bisogno.»

Judith sorrise, poi diventò improvvisamente tutta rossa. «Senti... i-io mi stavo chiedendo...» la ragazza aveva cominciato a balbettare. «Ecco... mi è venuto in mente così... m-magari se tu... non so...»

«Tranquilla, parla pure.» Cercai di tranquillizzarla con voce amorevole.

Lei mi guardò negli occhi prese un respiro profondo.

«Mia cugina Corynn oggi organizza la sua festa di compleanno. Mi ha chiesto di portare un amico e... ecco... ti piacerebbe venire con me?»

Io rimasi in silenzio, riflettendo con un sorriso in volto sulla domanda che mi aveva fatto. Non avrei mai potuto dirle di no, e poi ero sicuro che si sarebbe divertita di più con una persona che conosceva.

Judith notò il mio silenzio. «Tranquillo, non devi portare un regalo. Puoi tornare a casa quando preferisci, io non voglio obbligarti a...»

«Mi farebbe davvero piacere.» La interruppi.

Lei sorrise ed emise una piccola risata. «Grazie mille. Sai, Vanessa oggi è occupata e se non mi presento con qualcuno Corynn mi prenderà in giro a vita. E poi c'è la torta, al gusto-»

«Ti ho già detto che verrò!» la interruppi un'altra volta ridendo. «Cosa vuoi di più?»

Judith rise con me. Sembrava un po' nervosa.

«Quindi vieni volentieri? Non ti senti obbligato?»

«Assolutamente no. E poi tu hai dovuto subire mia madre che ti faceva l'interrogatorio e mia sorella che ti tirava per i capelli; ora tocca a me.»

La ragazza rise di nuovo. «Guarda che la tua famiglia è stata gentilissima. Invece Corynn ha qualche mese in più di me, e non so come ti accoglierà.»

«In qualsiasi modo andrà bene, mi basterà essere con te.» Le feci l'occhiolino.

Judith mi guardò e sorrise, serena. «Grazie, davvero.»

Le sorrisi e insieme ci incamminammo verso l'uscita della scuola. Probabilmente per Judith ero importante, se doveva avermi invitato alla festa di sua cugina. Oppure, semplicemente, aveva paura di ritrovarsi sola.

«Un attimo, a che gusto era la torta?»

«Cioccolato.»

«Allora vengo di sicuro.»

A quell'ultima frase Judith scoppiò in una sincera e spontanea risata.

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