42. Stringere patti con il diavolo
«Ti fa male se faccio questo?»
Il dottore mi strinse delicatamente il naso. Mi aspettavo di ricevere dolere, invece non mi fece alcun effetto.
«No.»
Lui mise via la mano e si rivolse a mia madre, ansiosa di fianco al lettino su cui ero seduto.
«Non è nulla di grave. L'osso non è rotto, la botta andrà via tra qualche giorno.»
La donna emise un sospiro di sollievo. «Meno male. Grazie Dr. Collin.»
Il dottore le rivolse un sorriso, poi ritornò davanti a me.
«Cos'è successo, Chris?»
Odiavo il fatto che tutti volessero sapere dell'accaduto, ma era un dottore, perciò ero obbligato a dirgli come stavano le cose.
«Una partita a dodgeball finita male.» Risposi cercando di essere il più breve possibile.
Lui chiuse la bocca e sospirò, facendo qualche passo indietro. «La prossima volta stai più attento.»
Annuii, e lui tornò da mia madre. «La seduta è finita. Potete andare.»
Io e mia madre lo ringraziammo ed uscimmo dall'ospedale senza rivolgerci neanche una parola. Salimmo in macchina nei posti superiori e rimanemmo in silenzio. Io mi misi a guardare fuori dal finestrino le macchine che passavano, e mi misi a leggere mentalmente il nome di tutti i cartelli che passavano sul mio cammino. Mia madre non diceva una parola, e la cosa mi stava facendo innervosire. In qualche modo mi sentivo in colpa; non appena tornato a casa lei volle subito sapere cos'era successo a scuola. Le dissi la verità, senza ovviamente passare ai particolari. Sospirai e osservai il cielo cupo; con l'arrivo dell'inverno le giornate stavano diventando sempre più brevi, e il sole cominciava a scomparire dalle 18:00 di sera. Tutto questo contribuiva ad abbassare il mio umore.
«Non me la racconti giusta.» Disse improvvisamente mia madre, non togliendo l'attenzione dalla strada.
Roteai stanco gli occhi al cielo e voltai la testa verso di lei.
«Io ti ho detto la verità.»
«I tuoi compagni di classe sanno molto bene il concetto di "partita amichevole".» Ironizzò seria.
«È stato un incidente. Può capitare, in campo.»
Non avevo intenzione di dirle che qualcuno a scuola mi aveva preso di mira; avrebbe immediatamente parlato con il preside e fatto scattare la tua parte iperprotettiva. E non volevo che la gente ridesse di mia madre.
La donna scosse la testa. «Sì, certo. Un incidente» tolse per un attimo lo sguardo dalla strada e mi guardò negli occhi. «Non sono stupida, Chris.»
Sospirai e tornai a guardare il finestrino con aria distrutta. Mia madre non voleva saperne, di scuse. Restammo in silenzio tombale per qualche minuto, che sembrarono ore.
Dopodiché la donna sospirò. «Scusami. Semplicemente ho paura che qualcuno ti faccia del male.»
Apprezzai il suo lato dolce, e le sorrisi. «Mamma, nessuno mi farà del male. Io sono un guerriero, ricordi?»
Lei ridacchiò e senza perdere l'attenzione dalla strada allungò un braccio e mi scompigliò i capelli.
«Sì, tu sei il mio guerriero.»
***
Il giorno dopo tra i corridoi della scuola, sentivo ancora tutti gli sguardi su di me. L'occhio nero non era ancora guarito, ma almeno il colore si era un po' scolorito. Il dottore aveva detto che sarebbe stata solo una questione di giorni, perciò non dovevo preoccuparmi. Sospirai e aprii il mio armadietto, ma quello che trovai dentro mi fece aggrottare una fronte; erano delle fotocopie. Pensai subito che qualcuno me le avesse dentro, ma la domanda era: perché?
«Delle fotocopie?» domandai confuso, prendendole in mano.
«La cosa si fa interessante» commentò Ed, incuriosito quanto me. «Non stare lì impalato, dai un'occhiata!»
Obbedii e vidi di cosa si trattava. Rimasi stranito quando vidi che erano semplicemente dei disegni. Raffiguravamo dei paesaggi, o delle persone. Che cosa bizzarra... chi poteva avermeli dati?
I miei dubbi sparirono quando dietro di me sentii delle risate. Ovviamente potei riconoscere fin da subito di chi si trattava: quella perfida di Bethany. Mi girai e vidi la mora che rideva e che aveva un quadernino in mano. Era di fianco ad un gruppo di persone, e ridendo sfogliava le pagine.
«Ragazzi, osservate la nuova Picasso!» ridendo sventolò il quadernino all'aria, mostrandolo a tutti.
Solo dopo mi accorsi, guardandomi intorno, che tutti avevano ricevuto quelle fotocopie. Guardai i disegni, poi Bethany, poi il quadernino. Mi pareva di averlo già visto da qualche parte... non appena mi accorsi di quello che stava succedendo, i miei occhi si spalancarono.
«Il quaderno di Judith...» Mormorai realizzando il tutto.
Come aveva fatto Bethany a prenderlo? Non ci pensai e senza pensare avanzai deciso verso la ragazza con fare minaccioso.
Lei mi vide e sorrise divertita. «Christopher!» esclamò lasciandomi passare. «Ho notato che la tua botta deve ancora guarire...»
«Dammi subito quel quaderno.» Dissi saldamente.
Sapevo quanto ci teneva Judith, sicuramente in quel momento doveva sentirsi a pezzi. Bethany rise e me lo sventolò in faccia.
«Intendi questo? Spiacenti, l'ho trovato prima io.»
Le rivolsi uno sguardo pieno di odio. «Non è tuo, è di Judith. E tu gliel'hai rubato.»
«Rubato, preso in prestito... sono solo parole.»
«Dammelo. Subito.» Ringhiai arrabbiato.
«Altrimenti che mi fai?» domandò lei ridendo.
Sapevo che con lei non avrei mai potuto ragionare, perciò dovevo usare un'altra tattica. Scendere a compromessi.
«Se me lo restituisci io farò tutto quello che vorrai.»
Gli occhi di Bethany si illuminarono; forse ero riuscita ad attirare la sua attenzione.
«Tutto quello che voglio, eh?»
Roteai gli occhi al cielo, sicuro di quello che stavo facendo. «Tutto.»
La ragazza fece un sorriso malizioso e si avvicinò a me. «Mmh...» posò gli occhi in alto e a sinistra per rifletterci un attimo, poi mi guardò negli occhi. «Tu dovrai entrare nella classe di Mr. Gomez e prendere dal suo cassetto il mio cellulare. Me l'ha ritirato stamattina e devo aggiornare i miei followers.»
Spalancai gli occhi, incredulo. Mi stava chiedendo di infrangere le regole? Rimasi in silenzio, mentre Bethany e la folla intorno a noi aspettavano una risposta. La ragazza davanti a me sventolò leggermente il quadernino, ricordandomi di fare in fretta.
«Va bene, lo farò» dissi infine, facendola sorridere. «Ma voglio subito il quadernino.»
Non avrei aspettato un minuto di più prima di restituire quel quaderno al suo vero proprietario.
Bethany alzò un sopracciglio. «Cosa mi dice che tu non rispetterai i patti?»
«Se non li rispetterò potrai dire al tuo ragazzo di sistemarmi anche l'altro occhio, e io non protesterò.»
La mora sorrise. «Ci sto.»
Mi restituì il quadernino, che arraffai velocemente. «Bene. Prenderò il tuo cellulare dopo la mensa, sei contenta?»
«Un piacere fare affari con te, Chris.» Fece Bethany con un sorrisetto in volto.
Le feci una smorfia e mi girai, per poi camminare in classe. Avrei restituito il quaderno a Judith durante l'ora di pranzo, dato che non avrei avuto l'occasione di vederla fino a quel momento.
«Sei sicuro di quello che hai fatto?» domandò la mia coscienza.
Sospirai. «Veramente no. Ma era l'unico modo per farmi riavere il quadernino.»
Mi guardai intorno e notai che tutti stavano sventolando quelle fotocopie; ormai le aveva viste tutte la scuola. Avevano violato la privacy di una persona, rubandole una cosa per lei molto personale. Che cosa aveva combinato Bethany, questa volta?
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