39. Un problema canino

La sensazione che un cane trovato per strada stesse gironzolando liberamente per casa mia non era delle migliori. Non appena mi accorsi che era scappato mi venne quasi un colpo al cuore. Maledizione a quel beagle combina guai!

«Porca Bethany!» esclamai quasi cadendo giù dal mio letto.

«Potresti smetterla di usare questi termini? È offensivo.» Si lamentò Ed.

«Vorrei vederti mentre la tua ragazza ti tradisce con il tuo migliore amico...» Borbottai prima di uscire correndo dalla stanza.

Il pensiero che qualcuno scoprisse del piccolo souvenir che mi ero portato a casa si fece largo tra la mia mente; mia madre odiava i cani, ricordo ancora quando da piccolo la imploravo di prendermene uno ma lei mi diceva che puzzavano e che facevano la pipì ovunque. Sull'ultima ne avevo avuto la conferma poco prima.

«Se fossi un cane, dove mi nasconderei?» domandai senza un mittente preciso, mentre scendevo con rapidità le scale che portavano al salotto.

Subito mi trovai davanti a un bivio: che strada avrei dovuto prendere? Salotto, sala da pranzo, o cucina? Quando una voce mi chiamò decisi di andare in cucina. Era il segno che mi serviva. Lì trovai mia madre che faceva da mangiare, Clary invece doveva essere in camera sua a giocare con le bambole.

«Chris, potresti apparecchiare la tavola?» mi domandò la cuoca di famiglia.

Pensai di rifiutare, ma sarei sembrato sospettoso. Perciò non potei far altro che eseguire gli ordini. I miei occhi continuavano ad ispezionare tutta la cucina; mi guardai da sinistra a destra, poi controllai sotto al tavolo. Niente, il cane era come sparito.

«Cosa stai facendo?» domandò mia madre, che intanto aveva notato i miei gesti sospettosi.

Mi voltai verso di lei. «Controllo sanitario.» Risposi senza dare altre spiegazioni.

La donna mi rivolse un'occhiata interrogativa, ma io non le feci caso e continuai ad apparecchiare senza perdere nulla di vista. Dovevo apparecchiare la tavola in fretta e rimettermi subito alla ricerca di quel cane, prima che qualcuno potesse capitare sul posto prima di me. Feci tutto velocemente, e quando finalmente posai l'ultimo bicchiere sulla tovaglia ebbi come la sensazione di essermi tolto due catene dai piedi. Ero libero, e la mia ricerca poteva continuare.

«Devo dirti una cosa.» Fu mia madre a parlare, che mi aveva colto nell'attimo in cui stavo per andarmene.

Alzai gli occhi al cielo e mi voltai lentamente verso di lei.

La donna si accorse dell'attenzione e cominciò a parlare. «Ho detto a nonna Bernise della "cena di famiglia".»

A quella notizia spalancai i miei due occhi blu.

«Davvero?»

Lei sorrise. «Sì, e mi ha detto che è una magnifica idea.»

Un sorriso involontario si formò sul mio viso. Avrei rivisto la mia nonna, quella che non rivedevo da anni. Ero felice.

«Oh, ma dovrai riferirlo tu a Grace.» Ed ecco la cattiva notizia.

Subito la mia espressione si trasformò in contrariata. «Come? Perché proprio io?»

«Non ho il numero dei tuoi zii e tu sei l'unico che ha un po' di famigliarità con lei. Ci andrai mercoledì, quando porterai tua sorella a danza.»

Era strano pensare a come mia madre avesse già programmato tutto senza nemmeno chiedere la mia approvazione. Era ovvio che non avrebbe accettato un "no" come risposta.

«Da quando sono diventato il baby sitter di Clary?» domandai frustrato.

Non avevo affatto voglia di portare quella peste sulle spalle e di spaccarmi la schiena. Mia madre mi rivolse un'occhiata di rimprovero.

«Chris...»

Roteai gli occhi al cielo e sospirai. «E va bene, la porto io. Ma sappi che Grace mi odia e non credo che vorrà parlare con me.»

La donna corrugò la fronte. «Come? Ne sei convinto?»

«Assolutamente sì. L'ultima volta che ci siamo visti sembrava che volesse strozzarmi...»

Ricordai quel giorno e sospirai.

«Hai qualche idea del perché ti odi?» domandò mia madre incuriosita.

«Non saprei.» E invece lo sapevo eccome, ma non volevo dirglielo.

Lei sospirò e posò il suo sguardo su un oggetto della stanza. «Comunque devi parlarle. È tua cugina, dovreste andare d'accordo.»

Guardai in alto e pregai Dio che tutto andasse bene. Sapevo che sarebbe stato difficile scambiare anche solo una parola con quella ballerina a sangue freddo, ma almeno dovevo provarci. Sapevo che mia madre contava su di me.

«E come la mettiamo con Clary?» domandai poi, appoggiandomi al tavolo.

Mia madre sospirò. «Io... troverò un modo. In un momento opportuno.»

Non sembrava affatto convinta. Sapevo che quel "momento opportuno" non sarebbe mai avvenuto, ma prima o poi qualcuno doveva spiegare a Clary tutta la storia. Prima o poi. Forse.

«Mamma, dobbiamo assolutamente dire a-» Mi bloccai, quando in fondo alla stanza vidi quello che stavo cercando: la palla di pelo.

D'improvviso spalancai gli occhi ed osservai il cane che si stava grattando il fondoschiena sulla moquette del salotto. Finalmente l'avevo trovato, ma ora dovevo prenderlo.

«Va tutto bene?» chiese mia madre rivolgendomi un'occhiata interrogativa.

Stette per girarsi, quando con uno scatto la presi per le spalle e la obbligai a guardarmi negli occhi.

«Più che bene!» esclamai fingendo un sorriso. «Dicevo che dobbiamo dire alla donna delle pulizie di spolverare un po' questa cucina. Insomma, è piena di polvere!»

La donna era confusa. «Ma, Chris... noi non abbiamo una donna delle pulizie!»

Mi sentivo uno stupido, ma non sapevo più cosa dire per prendere tempo.

«Sei sicuro di stare bene?» continuò mia madre, posandomi una mano sulla fronte. «Sei proprio strano...» fece per girarsi e mandare in fumo il mio intero piano, quando d'improvviso qualcuno suonò al campanello. Qualcuno lassù nel cielo doveva volermi bene.

Emisi un interiore respiro di sollievo, quando mia madre si rigirò verso di me senza aver scoperto del cane.

«Chi sarà a quest'ora?» domandò incuriosita, incamminandosi per andare ad aprire la porta.

Sospirai ed approfittai del momento per correre verso il cane steso sulla moquette. Ora non mi sarebbe più scappato.

«Vieni qua, piccolo combina guai.» Sussurrai prendendolo in braccio.

Intanto sentii le voci di mia madre e un'altra voce femminile provenire dall'ingresso, ma in quel momento ero troppo impegnato a cercare di nascondere un cane che ad identificare quella voce.

«Chris, è venuta a trovarti una tua amica!»

Oh no, mia madre stava arrivando. Dovevo pensare in fretta ad un nascondiglio per la palla di pelo.

Ed strillò: «Nel posto dei detersivi!»

Alzai un sopracciglio. Lì dentro non c'erano buchi che gli permettevano di respirare, ma lo avrei ripreso il prima possibile. Senza pensarci aprii la mensola ed inserii delicatamente il cane dentro. L'espressione dell'animale non sembrava affatto contenta, sembrava che mi stesse fulminando con lo sguardo.

«Ritornerò subito, promesso!» gli sussurrai.

Era ovvio che il cane non parlava la mia lingua, ma in qualche modo mi sentii sollevato. Chiusi lo sportello e mi girai verso le due figure che stavano irrompendo in cucina. Mamma e...

«Amanda?» domandai stupefatto, vedendo la ragazza proprio davanti ai miei occhi.

Lei sorrise e mi salutò con la mano. Io ero ancora confuso: che ci faceva Amanda in casa mia?

Come se mi avesse letto nel pensiero, mia madre disse: «Questa ragazza è venuta per farti un'intervista... dico bene, cara?» domandò rivolta lei.

«Ti ho chiamato più volte questo pomeriggio, ma non mi rispondevi» cercò di giustificarsi Amanda. «Avrei solo bisogno di farti qualche domandina... spero che per te non sia un disturbo.»

«Nessun disturbo!» esclamò subito mia madre, prima che io potessi dire qualcosa. «Hai fame? Vuoi stare da noi a cena?»

«Beh... non saprei... dovrei chiamare i miei, e...»

«Li chiamo io!» insistette la donna.

Ogni volta che riceveva ospiti faceva sempre così, e non ne capivo il perché. La situazione mi stava imbarazzando, e avrei potuto immaginare come si sentisse Amanda. Mia madre aveva il dono di far sentire le persone a disagio. Alla fine la ragazza dovette accettare la proposta, e per me era come avere una persona in più da tener nascosto l'animaletto che mi ero portato a casa.

«Vieni, ti faccio fare un giro della casa.» Disse mia madre tutta contenta.

«Veramente...» Amanda fece per controbattere, quando la donna la prese per un braccio e sorridendo la trascinò fuori dalla cucina.

«Allora, questo è il salotto.»

Una volta allontanate emisi un respiro di sollievo; per una volta ero felice che mia madre fosse fatta così. Mi precipitai davanti alla mensola ed aprii lo sportello. Presi il cane e corsi immediatamente fino in camera mia, cercando di non farmi notare da mia madre e Amanda. Mi chiusi dentro e sospirai, appoggiando il beagle sul mio letto.

«Ecco fatto.» Dissi sfinito.

Mia presi un momento per recuperare il respiro e per rielaborare i fatti. Amanda voleva farmi un intervista? Credevo che fosse bastata quella che mi aveva fatto una settimana prima... ma a quanto pare fare articoli su di me era diventato più alla moda di indossare vestiti sporchi di fango. Guardai il cane, e continuai ad avere la sensazione che mi stesse guardando male.

«Infatti ti sta guardando male.» Confermò Ed.

«Non è vero...» smentii, facendo il broncio. «Questo cane mi adora, non è vero?» provai a fargli un grattino, ma questo ringhiò.

Offeso mi ritrassi all'indietro, e la mia coscienza scoppiò a ridere.

«Beh, sappi che neanche a me piaci.» Dissi, facendogli una smorfia.

A quel punto successe una cosa del tutto inaspettata; il cane mi saltò addosso e mi face cadere all'indietro. Cominciò a graffiarmi la maglietta e a ringhiare arrabbiato.

«Vuoi la guerra, eh?» domandai serrando i denti. «E guerra avrai.»

E così cominciammo a lottare. Non avevo mai pensato di azzuffarmi con un cane, ma a quanto pare tutto era possibile. Rotolammo sul pavimento, fino a quando io mi ritrovai sopra di lui. Il cane cercava di mordermi, ma io lo tenevo incollato al pavimento impedendogli di alzarsi. Improvvisamente fece un salto e mi morse il naso. Sussultai dal dolore e mi alzai immediatamente, così permettendo a Mr. Denti-affilati di fare lo stesso. Io e lui ci scambiammo degli sguardi di odio, poi corsi in bagno seguito dalla palla di pelo. Osservai la mensola; dovevo trovare un oggetto da usare contro di lui. Improvvisamente i miei occhi vennero catturati dal mio phone, e feci un sorriso malizioso. Lo presi, attaccai la presa e lo puntai contro il cane, che avvampò. Vederlo in difficoltà mi piaceva.

«Ora non ridi più, eh?» domandai facendo un sorriso sadico.

In quel momento ebbi l'impressione di essere impazzito. Il cane indietreggiò leggermente, e io lo seguii tenendo impugnato il mio phone a mo' di pistola.

«Fine dei giochi, piccoletto.»

Prima che potessi attivare l'oggetto, una voce mi fece fermare.

«Ma che diavolo sta succedendo?!»

Io e il cane ci voltammo verso la figura che si trovava davanti alla porta. Si trattava di Amanda, che mi stava guardando con una faccia accigliata. A quel punto osservai l'arma che tenevo tra le mani e mi resi conto che forse avevo un po' esagerato.

«Amanda!» dissi sorpreso. «Ti posso assicurare che non è come pensi...»

La ragazza mi guardò storto, poi venne catturata dal cane ai miei piedi e sorrise.

«Oh, un cucciolo!» esclamò addolcita.

Corse verso l'animale e si inginocchiò davanti a lui, cominciando ad accarezzarlo amorevolmente. Rimasi sorpreso quando lui ricambiò le coccole, leccandole il viso e facendole le feste. Doveva avercela solo con me. Rimasi a guardarli con un'espressione stupita, nella stessa posizione di prima.

«Non sapevo che tu avessi un cane.» Commentò Amanda, continuando ad accarezzare la palla di pelo.

«Sì, beh...» decisi che era il momento di mettere il phone al suo posto, e così feci. «Non è mio.»

Tornai davanti ad Amanda, che mi guardò preoccupata.

«Intendi dire che... l'hai rubato?» domandò incredula, calcando bene l'ultima parola.

«Che? No!» sospirai. «L'ho trovato per strada e ho deciso di trovargli un riparo dove dormire. È un randagio.»

L'espressione di Amanda si trasformò subito in commossa. «Che gesto carino, da parte tua. Lo aggiungerò nell'intervista.»

«A questo proposito... nessuno deve sapere che tengo un cane in casa.» Dissi seriamente.

Amanda inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Perché mia madre ha sempre odiato i cani, e se scoprisse che ne ho tenuto uno in casa andrebbe su tutte le furie.»

«Mi stai dicendo che tua madre non sa nulla?»

«E neanche mia sorella.»

Rimanemmo in silenzio per qualche istante. Amanda continuò a fare le coccole al cane, che contento le scodinzolava e si metteva a pancia in su.

«Se è un trovatello, devi dargli un nome.» Disse all'improvviso la ragazza.

Quelle parole mi incuriosirono. «Un nome?»

«Sì. Come Batuffolo, o Scodinzolo.» Continuò Amanda.

«Sono i nomi più brutti che abbia mai sentito in tutta la mia vita.» Ammisi, trattenendo una risata.

Lei mi diede un pugnetto sulla spalla, poi scoppiammo entrambi a ridere. Forse avevo sbagliato a giudicare Amanda troppo presto.

«Okay, allora come pensi di chiamarlo?»

Feci un'espressione pensierosa ed alzai lo sguardo, dovendo rifletterci un po'. Poi guardai il cane, ed il nome mi venne chiaro.

«Lo chiamerò Bask.»

In fondo è così che l'avevo incontrato, in un campo da basket. Forse non era il nome più bello dei nomi, ma mi sembrò appropriato.

Amanda fece un'espressione soddisfatta. «Bask» ripeté. «Mi piace.»

Sorrisi ed osservai il cane, o meglio, osservai Bask. Mi stava ancora guardando male. Non gli piaceva il nome che avevo scelto? Peggio per lui.

«Quel cane mi odia.»

Amanda lo lasciò andare, ed esso andò a giocare con i miei calzini, mordicchiandoli e riempiendoli di saliva.

«Come mai ne sei così convinto?» chiese Amanda, confusa.

«Da quando l'ho incontrato mi ha ringhiato, fatto pipì sui pantaloni, morso il naso, e mi ha sfidato in una battaglia all'ultimo sangue.»

La ragazza era piuttosto divertita. «Wow.»

Non sapevo il perché a Bask non stessi simpatico, di solito stavo simpatico a tutti. Okay, quasi tutti. Ma in fondo lo avevo raccattato dalla strada e portato fino in casa mia, gli avevo dato un riparo dove stare.

«Magari ha solo fame.»

L'affermazione di Amanda mi fece riflettere. Probabilmente era così. Le dissi che gli avrei dato da mangiare i resti della cena, e la conversazione fu chiusa.

«Ora posso parlarti dell'intervista?» domandò Amanda, con una faccia angelica.

Sospirai ed annuii. Non potevo deluderla, non dopo quello che era successo.

La ragazza sorrise, poi cominciò a parlare. «Allora, prima di tutto devi sapere che quella che scriverò non sarà proprio un'intervista...» mi stavo già spaventando, ma decisi di farla continuare. «È un articolo. Su...» sospirò. «Ecco...» sospirò ancora, aumentando la mia curiosità. «Judith.»

A quel nome spalancai gli occhi. «Judith? Non capisco.»

«Beh... non posso non scrivere alcun articolo su di lei!» Amanda abbassò il tono di voce, e diventò seria. «Chris, stiamo parlando della notizia più interessante che sia mai avvenuta in tutta la storia della nostra scuola. Una ragazza ha tentato il suicidio, ti rendi conto?»

«Me ne rendo conto, Amanda, ma non credo che questo articolo sarà un bel biglietto da visita per gli alunni che si iscriveranno alla nostra scuola. Si parla di bullismo, quei ragazzi...» non seppi come continuare la frase e tacqui per trovare le parole giuste. «Judith ha vissuto l'inferno.»

«Ne sono consapevole, ma è dovere del giornalino scolastico illustrare le notizie più importanti, e questa eccome se lo è! Non so se lo sai, ma i soldi ricavati dalle vendite andranno alla scuola, è tutto esclusivamente per il bene della scuola.»

Sospirai e guardai altrove, poi abbassai lo sguardo. «Ne hai parlato prima con Judith?»

Amanda impallidì. «Non ancora.»

La guardai in tralice, e lei cercò di difendersi il meglio che poteva. «Non sono obbligata a dirglielo, è per il giornalino della scuola.»

«Ma non penso che questo la aiuterà a farsi nuove amicizie» ribattei in difesa della ragazza. «Judith ha bisogno di ricominciare da capo, e non penso che con quell'articolo la gente vorrà più scambiare una conversazione con lei. Per favore, evitiamo che... che "questa cosa" possa ricapitare.»

Amanda sapeva benissimo a cosa mi stavo riferendo. Non sapevo con certezza se l'episodio del suicidio sarebbe potuto ricapitare, ma in tal caso dovevo lottare con tutte le mie forze perché non succedesse più. La ragazza sospirò e mantenne uno sguardo basso.

«Devi essere molto legato a lei, non è così?» domandò flebilmente.

Io rimasi in silenzio. «Judith è una mia amica, e si farebbe di tutto per aiutare un amico.»

Amanda mi guardò negli occhi per un po' di tempo. Non volevo cantare vittoria troppo presto, ma forse ero riuscita a convincerla.

«E va bene» sospirò. «Eviterò di fare un articolo su di lei, se pensi che questo possa aiutarla ad integrarsi un po' di più con gli altri.»

Sorrisi. «Grazie.»

Lei ricambiò il sorriso, ma poi fece un'espressione disgustata e annusò più volte l'aria. «Non senti questa puzza?»

Confuso, provai anch'io a far passare l'aria delle mie narici. In effetti c'era puzza di cacca. Subito i miei pensieri si catapultarono verso Bask. Io ed Amanda ci girammo nello stesso momento verso il cane, che si era messo con aria innocente seduto per terra. Accanto a lui aveva lasciato tanti bei ricordini.

«È il pensiero che conta...» Disse Ed, cercando inutilmente di trovare un lato positivo alla faccenda.

Io e la ragazza sospirammo: la serata non sarebbe potuta andare meglio.

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