38. Stupida palla
Non c'era niente di meglio che spaparanzarsi sul divano in compagnia di una deliziosa cioccolata calda. Una cosa bella dell'arrivo dell'inverno era stare avvinghiati in casa tutto il giorno. Casa propria... l'unico riparo che godeva di un posticino caldo e di tutto il cibo che ti serviva. Beh, finché le madri facevano la spesa al posto tuo...
«Chris, spostati dal divano.» Ordinò con poco tatto Clary, mentre si buttava goffamente su di esso, di fianco a me.
Stava andando subito in cerca del telecomando della televisione, che però tenevo segregato sotto il cuscino. Non sarebbe riuscita a prenderlo, la battaglia per il telecomando stava durando da troppo tempo.
«Levati!» continuò lei, cercando con le sue braccia minute di spostarmi.
Credeva ancora di potercela fare?
«Non se ne parla» bofonchiai dando un sorso alla mia cioccolata, e non degnando mia sorella neanche di uno sguardo. «In TV c'è "Cucina da maestri". Adoro vedere i giudici che lanciano i piatti a mo' di frisbee.» Ridacchiai stupidamente, mentre mi godevo la scena.
Clary sbuffò e continuò la sua ricerca per il telecomando. Mi stupivo di come non riuscisse a trovarlo, nonostante stesse capovolgendo ogni oggetto del salotto, dalle coperte alle riviste di nostra madre. Metteva gli occhi ovunque, incosciente del fatto che quello che cercava si trovava proprio sotto il suo naso. Rimasi in silenzio, sogghignando segretamente sotto i baffi. Alla fine la bambina di arrese, e camminò con passo scocciato verso le scale per il piano superiore. Quel trucchetto funzionava da anni, e non mi aveva ancora tradito.
«Ma non ci pensi neanche un po' al momento in cui sparirai?» domandò Ed. Feci le spallucce, e notando la mia indifferenza la coscienza continuò. «Insomma, sai benissimo che una volta andato non tornerai mai più indietro.»
«Wow, quanto sei delicato.» Ironizzai, dando un altro sorso alla mia cioccolata calda.
«Sai cosa intendo dire. Se ci ripenso... nella tua vita non hai fatto un granché» commentò. «E non prenderla male!»
Alzai le sopracciglia, offeso. «Stai scherzando? Io ho fatto un sacco di cose interessanti.» Mi difesi cercando di essere convincente.
«Ad esempio?»
Quella era l'unica domanda che speravo di non sentire.
Cominciai a riflettere. «Io ho... beh... ti ricordi alla festa di Scott di circa un anno fa? Ho rotto la televisione nel salotto e ho dovuto buttarla nel fiume. È stata una bella avventura! Forse non per la madre di Scott, ma...»
«E questo ti pare avvincente?»
«Beh, è stato divertente.» Borbottai, facendo le spallucce.
«Io parlo di fare bulging-jumping, di scalare una montagna, di fare una cosa folle!» il tono di Ed mi sembrava un po' troppo entusiasmato.
Feci un espressione confusa. «Ma sei impazzito? Bulging-jumping?» sbuffai. «No, grazie. Sai, ho ancora un mese e mezzo di tempo e preferirei non morire prima della scadenza.»
«Non parlo di quello, intendo solo che se fossi nella tua situazione vorrei vivere quel poco che mi resta al massimo, al posto di stare con il didietro sul divano tutto il giorno.»
«Oggi ho fatto anche abbastanza» bevvi un sorso della mia cioccolata. «Ho aiutato Peter con il nuovo look, e ho beccato Bethany che si baciava con un altro!»
Se ci pensavo era un peccato non aver potuto immortalare quel momento in una foto; avrei potuto ricattare quella vipera in ogni momento opportuno.
«Sì, ma non ti piacerebbe fare qualcosa che non hai mai fatto in vita tua?»
Quella domanda mi fece riflettere; in effetti mi sarebbe piaciuto fare qualcosa di folle prima della mia "presunta morte". Prima dell'incidente credevo che mi sarei laureato, fatto una famiglia e avrei vissuto un sacco di avventure fantastiche, ma non avrei potuto fare nessuna di quelle cose... All'improvviso mi venne un lampo di genio, come un illuminazione.
«Beh... in realtà ci sarebbe una cosa che ho sempre voluto fare.» Dissi con un sorrisetto malizioso.
***
«Sarebbe questa la tua idea di "cosa folle"?»
Tirai la palla ma quella non mirò il canestro, bensì andò ad atterrare più in fondo. Ero uscito di casa alle sette di sera con la scusa di dover andare a dare una ricerca ad un mio amico, ma ero andato in tutt'altro posto: mi trovavo in un piccolo campo da basket dove andavo sempre da ragazzino. In tutta la mia vita non avevo mai fatto un canestro, e per questo venivo spesso deriso da gli altri Michael Jordan in miniatura. Se c'era una cosa che volevo fare prima di morire era mirare quel maledetto canestro, sentire la soddisfazione della palla che cade nel cerchio. Detta così suona un po' infantile, ma era la verità.
«Ora capisco perché tutti mi prendevano in giro. Ho una mira pessima!» ammisi, andando a raccogliere la palla da basket da terra.
Provai a ritirare, ma colpii la ringhiera che contornava il campo. Era snervante sapere che c'erano ragazzi della metà della mia età che potevano fare un canestro ad occhi chiusi. La mia statura era anche abbastanza elevata, perciò l'impresa doveva essere più facile. E invece no, sembrava addirittura che il canestro si fosse alzato dall'ultima volta che ero stato in quel posto. Sospirai e andai a raccogliere la palla. Stavo cominciando a stancarmi.
«Non può essere così difficile!» mi lamentai facendo un altro lancio, e come al solito mancando del tutto l'obbiettivo.
Cominciavo ad arrendermi. Dovevo accettare l'idea che non sarei mai riuscito a fare un canestro in vita mia.
«Concentrati, Chris!» disse Ed, mentre riprendevo la palla. «Guarda bene il canestro, pensa alla tattica da usare!»
Sospirai e feci come richiesto. Tenni la palla da basket ben stretta fra le mani ed alzai lo sguardo verso il canestro.
«Okay...» mormorai, osservandolo attentamente. «Posso farcela. Devo solo concentrarmi.»
Era come tornare ragazzino. Quando tutti attorno a me ridevano e urlavano che non ce l'avrei fatta, e ben presto tutte quelle voci si dissolsero nella mia mente. Venivano ripetute in continuazione, come tanti piccoli Ed ma con voci di ragazzini. Non potevo fare questo torto a me stesso, non potevo arrendermi solo per delle stupide voci. Dovevo fare quella cosa, farla per me stesso. Non ero più un ragazzino, ora ero una persona più matura. Ero una persona nuova. Presi un respiro profondo, feci un leggero salto e lanciai la palla con tutto l'animo che avevo. La palla raggiunse il canestro, e... lo mancò. La mia espressione divenne arrabbiata, nello stesso istante che la palla toccò terra e cominciò a rimbalzare vicino a me.
«No!» esclamai torvo. «Nei film questo non sarebbe dovuto accadere!»
La mia coscienza rise. «Rassegnati, non farai mai quel canestro.»
Ero infuriato. Non solo con il mondo, ma anche con me stesso. Purtroppo non era tutto come nei film. Raccolsi la palla da terra e invocai tutta la mia ira su di lei.
«Stupida, stupida palla!» la tirai violentemente verso il canestro, ma essa andò a rimbalzare sul tabellone e mi colpì in pieno la testa. Credo che si chiamasse karma.
D'istinto mi misi una mano sulla zona dolorante e feci una smorfia di dolore.
«Mai importunare una palla da basket.»
Rassegnato mi buttai per terra, non pensando alla sporcizia o a quello che avrebbe detto mia madre una volta tornato a casa. Volevo solo una pausa.
Il cielo stellato sopra di me era quasi ipnotizzante, e per un secondo mi fece dimenticare di tutti i miei problemi. O almeno quasi.
«Senti anche tu questo rumore?» domandò all'improvviso Ed.
Aprii bene le orecchie, curioso di sapere a cosa si stesse riferendo. Solo in quel momento mi accorsi dei piagnucolii provenienti da qualcosa alla mia destra. Voltai la testa verso un lato, ma non vidi nulla. Si trattava di una zona poco illuminata dalla luce dei lampioni, ed il buio della notte non mi permetteva di vedere quasi niente. Incuriosito mi alzai da terra e camminai verso l'origine di quei lamenti continui, a passo lento. Aguzzai la vista, e quando vidi due occhietti spuntare fuori dall'oscurità, mi resi conto che si trattava di un cucciolo. La mia espressione si addolcii, e mi inginocchiai per stare all'altezza dell'animaletto.
«Hey, vieni fuori.» Dissi con dolcezza.
L'animale non reagì, e capii che probabilmente era spaventato.
Mi avvicinai un po' di più muovendo le mie ginocchia, e riprovai. «Non avere paura, non voglio farti del male.»
Come se per qualche strano motivo l'essere parlasse la mia lingua, decise d'un tratto di venire alla luce, camminando molto lentamente. Quando finalmente vidi il volto dell'animale misterioso, rimasi inconsciamente sorpreso: era un cane, ma non credo che fosse cucciolo. Di età media, avrei detto. La misura era abbastanza piccola, ed il pelo era pieno di macchie bianche, nere e marroni chiare. Il nome della razza ce l'avevo sulla punta della lingua, ma tuttavia decisi di consultarmi con Ed.
«È un beagle, non è evidente?» fece lui con un tono ovvio.
Roteai gli occhi al cielo, poi tornai a guardare il cane indifeso. Pensai subito che doveva essersi perso, e la prima cosa che feci fu controllare con lo sguardo che avesse un collare o qualcosa per identificare che avesse un padrone. Niente, il suo collo era spoglio di qualsiasi cosa. Cominciai a pensare che fosse un randagio. In tal caso cosa avrei dovuto fare? Doveva essere debole e probabilmente molto affamato, così non potei non fare nulla per lui. Mi faceva troppa tenerezza, e sarei stato davvero malvagio se l'avessi abbandonato tra il freddo e le strade di quella pericolosa città. Avrei dovuto chiamare un canile, ma non ero molto esperto di quelle cose, non avendo mai affrontato caso del genere. Però quel cane mi sembrava così indifeso che mi sentivo obbligato a fare qualcosa per aiutarlo. Gli serviva un riparo per la notte.
«Okay» sospirai, una volta finita la mia riflessione. «Ora ti porto a casa con me.»
Mi alzai e guardai quell'animale negli occhi; mi stava praticamente implorando di portarlo a casa mia! Più lo guardavo più mi convincevo della mia decisione.
Ovviamente Ed mi portò alla realtà. «Come pensi di fare con tua madre e tua sorella?»
«Cercherò di tenerlo nascosto fino a domani. Dopodiché lo porterò in un canile e fine della storia.»
Ero piuttosto soddisfatto del mio piano, ma davvero sarei riuscito a nasconderlo dalle due iene che avevo in famiglia? Era l'unica alternativa a lasciarlo qui tutto solo.
«Okay, ora porta questo cucciolo fino a casa tua. Dici che è maschio o femmina?»
La risposta arrivò da sé, quando all'improvviso sentii una sensazione di bagnato alle mie caviglie. Abbassai immediatamente lo sguardo e notai che ero diventato la nuova toilet personale dell'animaletto.
«Maschio, decisamente maschio.»
Disgustato agitai la caviglia e feci allontanare il cane. Diedi un'occhiata alla macchia di pipì rimasta nei pantaloni e nella mia scarpa, e sospirai distogliendo subito lo sguardo da quell'orrida visione.
Ma passai oltre. «Bene, ora andiamo a casa.»
Mi inginocchiai e feci per prenderlo, ma quando toccai il suo pelo il cane ringhiò. Mi alzai in piedi e gli rivolsi uno sguardo di sfida, come per voler chiedere se stesse facendo sul serio.
«Non sfidarmi, palla di pelo.» Riprovai a prenderlo in braccio, ma ottenni lo stesso ringhio di prima.
Lo mollai e cominciai a riflettere.
«Cosa stai facendo?» mi chiese Ed.
«Mi sto grattando la barba che non ho.»
«E... ora cosa credi di fare?»
Sospirai e diedi un'occhiata all'essere che mi stava scrutando con un'aria di sfida. Era solo un cane, ma era evidente che gli stavo antipatico. Tuttavia non potevo lasciarlo in quel luogo buio, e dovevo fare qualcosa per aiutarlo. L'ultima alternativa era parlargli chiaramente e sperare che potesse capirmi, cosa impossibile, ma ormai ero disperato.
«Senti, se non vuoi collaborare mi toccherà prenderti con la forza.»
Mi chinai ed afferrai il corpo del cane, che subito mi ringhiò contro. Non m'importò e cercai di sollevarlo, ma subito si rivelò un'impresa più difficile di come avevo pensato. Infatti il cane sembrava non volersi staccare dal terreno, continuava a far presa con le zampe e a ringhiare.
«Alzati, sacco di pulci!» esclamai spazientito, finalmente riuscendo a sollevarlo da terra.
Me lo misi stretto nel mio il petto, e l'animale finalmente smise di ringhiare.
Apprezzai il gesto e lo guardai negli occhi. «È Chris che comanda, capito?»
Il cane abbaiò come risposta, e lo presi come un "Chris sei mitico". Forse non intendeva dire quello, ma dal momento che non poteva parlare avrei scelto io come interpretare i suoi segni. Mi incamminai verso casa pur sapendo di avere pipì di cane addosso, ma decisi di non pensarci per non farmi inorridire. Durante il tragitto la palla di pelo che tenevo in braccio non faceva altro che agitarsi tutto il tempo. Graffiava il mio viso e metteva le sue zampe nella mia bocca, e io dovevo ripetutamente spostare il viso per evitare i suoi artigli.
«Buono, stai buono!» dissi mentre lui scavava letteralmente sulla mia faccia.
Alla fine con fatica riuscii a giungere verso casa mia, nonostante avessi segni di artigli su tutto il viso. A prima vista quel cane mi sembrava dolce e indifeso, ora era la reincarnazione di Satana. Arrivato davanti alla porta di casa, riflettei velocemente su cosa fare, e cominciai a pensare ad un piano. Fortunatamente mi ero portato le chiavi così che non dovessi suonare il campanello, altrimenti non avrei saputo dover poter nascondere un cane così visibile a prima vista. Presi con difficoltà le chiavi dalla tasca della mia giacca, dovendo con l'altro braccio sorreggere la palla di pelo che come al solito si muoveva in continuazione. Ora dovevo pensare a come raggiungere la mia stanza senza farmi notare da nessun membro della famiglia, impresa a prima vista impossibile. Infilai la chiave nella maniglia e la girai, così sbloccando la porta. Essa venne aperta lentamente, e la mia testa fu quella a sbucare per prima, per controllare che fosse via libera. Per mia fortuna in salotto non vidi nessuno. Feci un respiro di sollievo ed entrai quattamente nella casa, chiudendo molto delicatamente la porta principale.
«Tesoro, sei tu?»
A quanto pare Bethany non era l'unica ad avere le orecchie da pipistrello. Feci finta di non aver ascoltato e mi incamminai a grandi passi verso le scale, cercando di fare meno rumore possibile.
«Chris?» fece ancora mia madre, non avendo sentito una risposta.
Roteai gli occhi e dissi: «Sono tornato!»
Dopodiché corsi su per le scale, sperando che la donna non entrasse nella stanza.
«Devo chiederti una cosa.» Sentii una volta arrivato nel piano superiore.
Continuai a correre verso la mia camera, sentendo i suoi passi salire su per le scale. Mi stava raggiungendo, dovevo assolutamente trovare un nascondiglio per la creatura che tenevo tra le braccia.
«Ti ascolto.»
Entrai velocemente in camera mia e misi con una fretta delicata il cane sotto al mio letto. Era il primo nascondiglio che mi era venuto in mente una volta entrato nella stanza, e speravo che avrebbe funzionato. Nello stesso istante in cui mia madre entrò dalla porta io mi buttai pesantemente sul mio letto.
«Ah, eccoti» disse la donna. «È andata bene dal tuo amico?»
Mi ricordai della scusa. «Ehm... sì.»
«Come si chiama?»
Pensai subito a Peter, ma dato quello che era successo la scorsa volta era meglio non usare sempre la stessa scusa.
Così il nome che mi venne in mente fu quasi spontaneo. «Patrick.»
«Ah.» Fece mia madre, abbassando lo sguardo.
Sembrava delusa, ma non me capivo il perché.
«Siamo sicuri che non si tratti un'amica?» domandò maliziosamente, alzando un sopracciglio.
«Mamma! Ancora?»
Sembrava che ogni volta che avessimo una conversazione dovesse sempre mettere in mezzo quell'argomento.
«Okay, okay» disse alzando le mani in segno di resa. Si sedette nel letto di fianco a me e sospirò. «Quando vedi Judith... falle i saluti da parte mia e di Clary» sospirò ancora. «Povera ragazza... ora come sta?»
«Sta bene, credo.»
Non capivo il perché a mia madre importasse tanto di Judith. Mi sembrava stesse meglio da quando l'avevo conosciuta, o forse quella era solo una mia impressione.
«Tu e lei siete amici, no?» mi domandò.
Le rivolsi un'occhiata interrogativa, non capendo dove volesse arrivare a parare. «Sì, amici.»
«Quanto amici?»
Ancora non capivo cosa volesse ottenere. «Amici al punto giusto.»
«Volevo chiederti... lei ti ha mai parlato della sua situazione a casa?»
Aggrottai leggermente la fronte, incuriosito da quella domanda. Situazione a casa? Judith non aveva mai neanche accennato l'argomento. La situazione si stava facendo seria. Feci per parlare, quando udimmo un leggero abbaio. Sapevo che quel cane non sarebbe rimasto fermo e in silenzio tutto il tempo, avrei dovuto cacciare mia madre quando potevo. Ma ora era troppo tardi.
«Chi è stato?» domandò lei stranita.
«Sono stato io» dissi di getto. «Mi piace imitare i versi degli animali.»
La donna mi guardò in tralice, così capii che dovevo sembrare più convincente. Imitai un verso simile a quello fatto dal cane, cercando di essere il più bravo possibile. Mia madre era ancora confusa, cosa totalmente concepibile.
«Ecco quello della gallina.» E subito dopo veci il verso di quest'ultima.
La situazione era diventata quasi comica, mia madre mi guardava come per chiedermi cosa mi fosse saltato per la testa.
«Vuoi sentire il verso della rana?»
«No, sono a posto.» Disse lei, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta.
Almeno ero riuscito a cacciarla, anche se l'argomento della conversazione si era fatto particolarmente interessante.
«Tra poco vieni per la cena.» Disse, prima di uscire definitivamente dalla stanza.
Annuii, e quando la porta si chiuse mi gettai a peso morto sul mio letto. Me l'ero cavata, più o meno. Subito mi chinai a testa in giù per vedere come stava il cane che ormai si era abituato all'odore di fumo e calzino sporco che emanava il letto. Alzai le lenzuola, ma quello che vidi mi spiazzò completamente: non c'era nessun cane.
«È scappato!» esclamai allarmato.
Ma come aveva fatto? Doveva essere uscito dalla stanza prima che lo facesse mia madre, altrimenti quel cane aveva i superpoteri. Questo voleva dire che si trovava allo scoperto in qualche parte della casa, e avrei dovuto trovarlo prima che lo facesse qualcun altro.
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