32. La collina delle confessioni

Stavamo salendo sulla collina da ormai qualche minuto. Avevo implorato Judith di tenere gli occhi chiusi per prepararsi alla sorpresa, e anche se la domanda poteva sembrare un po' ambigua lei aveva accettato senza farsi problemi. La tenevo delicatamente per la mano e la aiutavo a camminare, dato che teneva l'altra mano davanti agli occhi per impedire di vedere. Sotto il mio aiuto, finalmente raggiungemmo il termine della collina.

«Okay, ci siamo quasi.» Dissi sorridendo, osservando come Judith tentava di schivare ostacoli invisibili.

«Mi stai portando nel luogo in cui mi farai fuori, per poi liberarti del mio cadavere?» domandò la ragazza.

Ridacchiai. «Può darsi.»

Giunti sopra la collina, aiutai Judith a sedersi, dopodiché mi sedetti accanto a lei. Quel posto non era per niente cambiato. Cambiate erano le cose dall'ultima volta in cui ci ero andato...

«Ci sei? Hai gli occhi chiusi?» domandai per sicurezza alla biondina.

«Sigillati.»

«Bene, ora apri la mente e cerca di immaginare quello che ti dico. Sei davanti ad una collina; accanto a te c'è un albero, le sue foglie stanno lentamente cadendo sull'erba. Davanti a te si estende un meraviglioso paesaggio. Il sole sta tramontando, le nuvole hanno un colorito rosaceo ed il cielo ha sfumature di azzurro, di lilla e di arancione. A riempire il paesaggio sono una lunga serie di edifici. Il vento è calmo, e tutto attorno a te è tranquillo. Immagina di essere davanti a tutta la città, di avere il mondo in una mano. Non la senti la sensazione di libertà?»

Judith annuì, sorridendo.

«Bene, ora immagina di fare quello che più desideri al mondo. L'atmosfera è magica, i dubbi e le preoccupazioni sono andate via, tutto è... semplicemente perfetto.»

Rimasi in silenzio e guardai Judith. I suoi occhi erano ancora chiusi, le sue labbra avevano formato un leggero sorriso, e sembrava del tutto presa dalla sua immaginazione. Era come se più la guardassi più diventasse bella. Non feci caso che la pausa era durata più del dovuto e che se non avessi detto qualcosa Judith avrebbe potuto pensare che me ne fossi andato via. Accidenti a suoi bellissimi capelli.

«Ora apri gli occhi.» Mormorai, incantato, quasi folgorato, dalla sua bellezza.

Quando Judith aprì gli occhi, ne rimase sorpresa e incantata: le avevo descritto parola per parola il paesaggio che aveva davanti.

«Wow» disse, spalancando la bocca dalla meraviglia. «È... è bellissimo.»

Sorrisi; fui contento che le piacesse. La ragazza si prese qualche momento per guardare il panorama. Dalla sua espressione piena di gioia, dedussi che non aveva mai visto una cosa simile.

«Chris...» disse poi, voltando la testa verso di me. «Perché mi hai portata qui?»

Io sospirai, ricordandomi di tutti i bei ricordi che avevo di questo posto. «Beh, qui è dove vado per pensare. Quando mi capita una cosa brutta, sono arrabbiato con qualcuno o voglio semplicemente stare da solo, io vengo qui e cerco di rilassarmi.»

«E funziona?» domandò Judith.

«Eccome» risposi io. «Ma ad essere sinceri, in quest'ultimo periodo mi sono dimenticato di andarci.»

Mi avvicinai leggermente a lei, che mi sorrise timidamente.

«Il momento migliore per venirci è prima che il sole tramonti» spiegai, invitandola a guardare l'orizzonte. «Il cielo prende sfumature di mille colori, ed è una cosa meravigliosa.»

«Già.» Fece la ragazza, con gli occhi che brillavano.

La guardai mentre ammirava con meraviglia il tramonto. Il vero panorama non era quello che avevano davanti, ma lei. Era incredibile che una creatura così bella potesse aver ricevuto dagli altri tanto dolore. Ed il primo a provocarlo ero stato io, e non mi sarei mai perdonato per quello. Come avevo potuto farle del male? Lei era sempre gentile con tutti, non diceva mai di "no" e cercava sempre di non dare problemi agli altri. Perché? Perché tutti la prendevano di mira? Quando avevo deciso di umiliarla era perché mi era sembrata una ragazza fragile e debole, facile da essere derisa e ferita. Forse era quello il problema: Judith era sempre così carina con tutti, che la gente cominciava ad approfittarsi di lei. Se solo pensavo a quante lacrime aveva versato per colpa mia... ero stato un idiota. Fin troppo pieno di sensi di colpa, decisi di approfittare di quel momento per porgerle le mie scuse.

«Santo cielo, mi dispiace tantissimo...» Mormorai, abbassando lo sguardo e parlando con difficoltà.

Judith si girò con aria confusa verso di me. «E perché mai?» domandò, con un sorriso di compassione in volto.

Io la guardai negli occhi, serissimo. «Judith, io ero una persona orribile» scandii. «Ho fatto cose che...» Non riuscii più a parlare e distolsi lo sguardo dal suo.

Mentre sforzavo me stesso di non cedere all'impulso di piangere, Judith notò la mia fatica a parlare e mi prese una mano.

«Hey...» disse, come per farmi stare bene. «Che succede?»

«Ti ho fatto del male, cazzo» risposi secco. «Io... non pensavo a tutto il dolore che provassero le persone, pensavo solo ad essere popolare e a divertirmi. Mi divertivo vedendo soffrire la gente, capisci? Mi divertivo!»

Il viso di Judith era diventato triste. Per non guardarla negli occhi, spostai lo sguardo verso il tramonto.

«Come ho potuto farti questo? Come ho potuto rubarti il ciondolo di tua madre? Come ho potuto? Dimmelo!»

La ragazza non mi rispose, teneva lo sguardo basso e fisso sull'erba. Sospirai a guardai l'albero, dietro di lei.

«Non ti biasimo se adesso vorrai andartene» mormorai, tristemente. «Non meriti di stare con un mostro che fa del male alle persone.»

Ero io il vero mostro, tutte le cose che erano successe... erano successe esclusivamente per colpa mia.

«Tu non sei un mostro» disse Judith, facendomi voltare la testa verso di lei. «Sei la persona più gentile, altruista, coraggiosa, dolce e simpatica che abbia mai incontrato.»

A quelle parole ridacchiai: erano un bel po' di complimenti!

«Mi spiace, devi aver sbagliato persona.» Dissi, con lo sguardo basso.

La ragazza non si diede per vinta e gattonò fino davanti a me, in modo che potessi guardarla negli occhi.

«Chris,» disse, posando una mano sulla mia spalla. «tutti possono cambiare.»

Rimasi in silenzio.

«Io ti ho perdonato, tutti ti abbiamo perdonato! L'unica persona che ti deve ancora perdonare, sei tu. Dimentica il passato, e lascia che le gente ti veda con occhi diversi! Puoi essere chi desideri, se solo ci metti un po' d'impegno. E, beh, direi che finora hai fatto un ottimo lavoro.»

Judith era una ragazza fantastica. Era riuscita a farmi spuntare un sorriso, impresa molto difficile, dato che avevo l'animo a terra.

«Adesso avrei proprio bisogno di un abbraccio.» Dissi, ridacchiando.

Lei rise e mi accontentò. Strinsi forte il suo esile corpo, come per non lasciarla più andare. C'era qualcosa in quella ragazza che non riuscivo a spiegarmi. La sensazione di tenerla tra le braccia durò poco, dato che la ragazza tornò al suo posto sorridendo.

«Judith, posso farti una domanda?»

La ragazza annuì, aspettando che io aprissi bocca.

Parlare mi era difficile, dato che la domanda era molto delicata. «Perché... hai provato a suicidarti?»

Gli occhi di Judith si incupirono. Ora non emanavano felicità, ma solo tristezza e solitudine. Forse avevo parlato troppo presto, ma la curiosità si era fatta più forte di me. Se volevo aiutarla con il suo problema, dovevo capire la causa del suo problema. La ragazza sospirò ed abbassò lo sguardo.

«Non mi va di parlarne.» Mormorò semplicemente.

Il piano non aveva funzionato, ma avrei dovuto capirlo. Quelle cose non erano evidentemente facili da dire, non era come raccontare una barzelletta-alla-Ed.

«Capisco» sospirai. «Allora... che ne dici di partire da una domanda più semplice?»

Judith annuì lentamente. Dovevo arrivare piano piano al mio obbiettivo principale, perciò decisi di avanzare con delicatezza, passo dopo passo. Dopo aver ottenuto il consenso della ragazza, elaborai in fretta una domanda.

«Quante volte piangi al giorno?»

Lei si prese un momento per pensare. «Beh... non saprei, non le conto.»

Annuii. «Okay, allora...» pensai ad un'altra domanda. «L'ultima volta che hai pianto?»

Judith abbassò lo sguardo, come se si vergognasse. Mi aspettavo che dicesse ieri nei bagni della scuola, ma la sua risposta fu totalmente diversa.

«Dopo pranzo.»

Era un po' prestino...

«E... penultima?»

«Stamattina.»

«...Terzultima?»

«Ieri sera.»

Cercai di non mostrare il mio sguardo perplesso, alla ragazza che si stava vergognando internamente. Judith piangeva spesso, aveva pianto ben tre o quattro volte dall'incontro di ieri!

«Oh.» Era tutto quello che ero riuscito a dire.

Mi domandavo quante bottiglie di acqua si sarebbero ricavate da tutte le lacrime che quella ragazza aveva versato. Sicuramente abbastanza da dissetare un popolo africano. Ma qual era il vero motivo? Stavo per chiederlo, quando Judith mi precedette.

«Dimmi qualcosa di te.» Disse.

Quella frase mi lasciò perplesso. «Qualcosa di me? Ad esempio cosa?»

«Non so, qualsiasi cosa!» fece la ragazza, sorridendo. «Chi si cela dietro la maschera di Chris Watson?» domandò, con voce teatrale.

Io ridacchiai. Era strano diventare d'un tratto il soggetto della conversazione... ma se volevo che lei si fidasse di me, dovevo prima imparare a fidarmi di lei.

«Okay» dissi, mettendomi comodo sull'erba. «Ehm... mi chiamo Christopher, ho diciotto anni... vuoi sapere le basi?»

«Voglio sapere tutto. Insomma, ripensandoci io non so quasi niente di te!»

«Questo non è vero...»

Judith alzò un sopracciglio. «Davvero? Da quando ci conosciamo il soggetto della conversazione sono sempre stata io. Voglio conoscerti meglio, magari troviamo anche qualche punto in comune.»

Arrossì leggermente, ma sperai con tutto il mio cuore che non si fosse notato. Quella ragazza era davvero carina, in fondo dovevo capire che voleva solo fare amicizia con qualcuno. Voleva solo un amico.

«Okay, allora...» strusciai un po' in avanti. «Vivo con mia madre e mia sorella...» Stavo per continuare, quando venni subito interrotto dalla ragazza.

«Oh, è quella bambina che si è messa ad accarezzare il gatto la volta in cui mi hai restituito il ciondolo?»

Ero stupito da come se la fosse ricordata tanto facilmente, così annuii. «Indovinato. Si chiama Clarissa, ma io e mia madre la chiamiamo spesso Clary.»

«Com'è carina...» Commentò Judith, sorridendo.

«Sì, ha preso dal fratello.»

Ricevetti subito un pugno sulla spalla da parte della ragazza, ma risposi ridendo. C'era da aspettarselo.

«Se posso chiedertelo...» il tono di Judith divenne serio. «Che fine ha fatto tuo padre?»

Io sospirai e guardai altrove. Parlare di quell'uomo di cui uguale avevo solo gli occhi e il cognome, mi turbava sempre. Ma dovevo farmi forza.

«I miei genitori si sono lasciati da un bel po' di anni, ormai» iniziai, osservando il tramonto. «Io avevo circa dodici anni, mentre Clary era molto piccola, troppo da avere ancora qualche ricordo di lui. Tutto è successo quando ho visto il cellulare di mio padre appoggiato alla scrivania. Ero appena un adolescente, la tentazione di prenderlo per me era troppa. Perciò accesi il cellulare e cominciai a giocare all'app di football che aveva sul dispositivo. Poi, a mio padre arrivò un messaggio. Lo lessi, e da lì capii che mio padre stava tradendo mia madre» feci una breve pausa. Ricordavo tutto come se fosse avvenuto ieri. «Traumatizzato, rimisi il cellulare a posto e non dissi nulla. Non volevo che i miei genitori si separassero, ma ogni volta che vedevo mio padre, i miei occhi non lo guardavano più come lo guardavano una volta. Ero estremamente deluso da lui. Ogni volta che andava dai suoi amici, che faceva viaggi di lavoro... era tutto falso, in realtà stava con la sua amante. Ogni volta che sorrideva a mia madre... falso, come lo erano i sentimenti per lei. Il segreto durò per un anno. Un anno, dovendo guardare un padre traditore e una madre inconscia di tutto quello che stava succedendo. Una notte mi svegliai sentendo dei rumori in cucina. Scesi lentamente le scale, arrivai alla porta, e quando la aprii...» sospirai e guardai Judith. «Mia madre era seduta per terra con una bottiglia di non so quale alcool in mano. I suoi occhi erano tutti rossi e il trucco sbavato. Fu un momento che mi segnò per sempre, e che non dimenticherò mai. Mio padre ci aveva lasciato. Era partito con una ragazza di circa vent'anni in meno di lui per non so quale paese. All'inizio ci sentivamo al telefono, poi abbiamo perso definitivamente ogni contatto. Non sento la sua voce da cinque anni, e non lo vedo da... non so quanto tempo. Io... proprio non so perché l'abbia fatto» abbassai lo sguardo, per poi spostarlo agli occhi di Judith, che erano diventati lucidi. «Ora so che probabilmente proverai pena per me, ma ti prego di non farlo. Sto bene, ormai è storia vecchia.»

Lei a stento riusciva a parlare. «Chris, io... non ne avevo idea...» mormorò con gli occhi pieni di compassione. La ragazza si avvicinò a me e posò la sua testa sulla mia spalla. «Mi dispiace tanto per la tua famiglia.»

Quel gesto mi fece venire i brividi. Bethany non lo faceva mai; di solito ci baciavamo e basta, non parlavamo mai della mia famiglia e non ci dimostravano affetto in alcun modo. Il nostro era un amore falso, nato dal desiderio di aumentare la popolarità. Rimasi in silenzio e insieme a lei ammirammo il tramonto. Stare lì, in quel momento, con lei, era il meglio che potessi desiderare. Riusciva a capirmi, a farmi sentire meglio.

«E invece, com'era tua madre?» domandai, per passare il discorso a lei. «Doveva essere una persona meravigliosa.»

Lei sorrise. «Lo era» la sua delicata testa era ancora sul mio petto. Sapevo che poteva sentire il mio respiro. «Lei... era la persona a cui mi ispiravo. Si chiamava Cathleen, ed era sempre buona con tutti. Aveva un cuore d'oro ed un comportamento perfetto, un comportamento che io aspiravo ad avere. Quando ero piccola giocava sempre con me e la notte mi leggeva le favole. Era sempre sorridente e allegra con tutti; io mi chiedevo come facesse a non perdere mai le staffe, giuro che non l'avevo mai vista alzare la voce o avere un serio litigio con qualcuno. Però era intelligente. Intelligente e severa quando serviva. Per esempio, mi raccomandava sempre di stare attenta a spalmarmi bene la crema solare, oppure a mettermi il casco quando andavo in bicicletta. Mio padre l'amava alla follia. E quando morì...» la ragazza abbassò leggermente lo sguardo. «A lui si spezzò il cuore.»

Le presi la mano per darle forza, e lei la incrociò dolcemente con la sua. Era un momento davvero bellissimo, avrei osato dire... che fosse quasi, ma quasi romantico. Okay, cancellate quell'ultima parola.

Intanto, Judith continuò il suo racconto. «Dopodiché mio padre diventò tutta un'altra persona. Non dimenticherò mai il giorno in cui mia madre se ne andò. Le avevano scoperto un tumore, e le rimanevano poche settimane di tempo. A me non dissero nulla, per non farmi preoccupare e per farmi godere ogni singolo istante insieme a lei. L'ultimo giorno che la vidi, avevo quattordici anni. Non avevo idea che mia madre stesse per morire. Venne verso di me, mi disse che avrebbe dovuto parlarmi in privato. Andammo in giardino e ci sedemmo sul dondolo, e lei mi disse che la vita mi avrebbe sottoposto a prove difficili. Mi disse che qualsiasi cosa sarebbe successa, io dovevo andare avanti. Dovevo imparare a spiccare il volo da sola, e infine mi disse che mi sarebbe sempre stata vicina. Dopodiché si tolse il suo ciondolo e lo mise al mio collo, dicendo che con quello una parte di lei sarebbe sempre rimasta in me. Quando si alzò e fece per andarsene, io le chiesi dove stava andando, e lei mi rispose testualmente: "Vado lontano". Io non capii il senso di quella frase, e tutt'ora non riesco a comprenderne il significato. Solo dopo realizzai che fosse morta, e non volli crederci. Mio padre non voleva avere ricordi di lei, e ci trasferimmo qui. Per fortuna i genitori di Vanessa accettarono di far trasferire anche lei vicino a noi, altrimenti non sapevo proprio come ce l'avrei fatta. Da lì... il mio carattere si è indebolito.»

Quando Judith finì la storia, non realizzai che una lacrima stava scorrendo sulla sua guancia. Ecco il perché Judith era diventata quella che era ora. Di sicuro non avrei mai pensato che avesse potuto avere un'infanzia così difficile, e con quanto coraggio avesse potuto affrontare tutto questo. Non sapevo assolutamente cosa dire per tirarla su di morale, perché sapevo sicuramente che avrei ottenuto il contrario.

«Hey, alla fine una cosa in comune l'abbiamo trovata.» Mormorai.

Judith mi guardò lentamente negli occhi e sorrise. «Sembra di sì.»

Era quello che in qualche modo ci legava; avevamo entrambi perso i nostri genitori, uno in modo e l'altra in un altro, ma il senso di solitudine che avevamo provato era lo stesso. Il modo in cui ci stavamo guardando... non sarei mai riuscito ad esprimerlo. Come d'improvviso, la ragazza si accorse dell'atmosfera che si era creata e per paura decise di interromperla, sollevando la testa dal mio petto e facendo un sorriso imbarazzato. Sentendosi a disagio si pulì la lacrima con un palmo della mano e si scostò leggermente da me, lasciando snodare le nostre mani. Aveva fatto bene, chissà come sarebbero potute precipitare le cose tra di noi...

Poi voltò la testa verso di me, e disse: «Vuoi vedere com'era mia madre?»

Io annuii, sorridendo. «Mi farebbe piacere.»

La ragazza ricambiò il sorriso e si avvicinò più a me. D'un tratto eravamo più vicini di prima. Prese il suo ciondolo e lo aprì delicatamente; dentro era stata nascosta una fotografia in bianco e nero. La mia espressione era stupita: non mi sarei mai aspettato che dentro ci potesse essere una foto! Certo, avrei potuto immaginarmelo, ma non ci sarei mai arrivato. Perciò non era importante il ciondolo, ma quello che si celava al suo interno...
La ragazza mi mostrò la foto, ed io allungai il collo per poter vedere meglio; la fotografia raffigurava una ragazza con i capelli lunghi e biondi, leggermente ondulati, e con gli occhi azzurri. Nella foto stava ridendo a qualcosa dietro all'obbiettivo, e non poteva essere più radiosa di così.

«È la mia mamma da giovane.» Spiegò Judith, sorridendo.

Io sorrisi, dopodiché guardai la ragazza che avevo davanti. «È davvero bellissima.»

Lei apprezzò il complimento e sorrise, annuendo.

«Mi chiedevo da chi avessi preso...» Affermai.

Judith ridacchiò e arrossì leggermente, richiudendo il ciondolo. «Smettila, dai.»

«È la verità!» ribattei io. «Voi due avete gli stessi occhi.»

La ragazza sembrò essere arrossita nuovamente, ma si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardò altrove per non farlo notare. Troppo tardi.

«Sarà meglio tornare a casa, si sta facendo buio.» Disse poi, osservando il cielo che si stava piano piano scurendo.

Annuii, notando la stessa cosa.

«Perfetto» dissi, alzandomi velocemente da terra. «Ti porto a casa.»

Porsi una mano a Judith, che però si alzò da sola.

«Non ce n'è bisogno, davvero.» Disse timidamente.

«Insisto» feci io. «Voglio parlare un altro po' con te.»

Lei arrossì nuovamente. «Okay, allora... andiamo.» Mormorò imbarazzata.

Era evidente che non riceveva molti complimenti di quel genere. Stavamo per andarcene, quando la invitai a dare un'ultima occhiata al panorama. Il cielo era diventato azzurro scuro, e l'arancione stava sparendo per fare spazio al blu.

«Da adesso questa collina è anche tua» le dissi. «Sentiti libera di andarci quando vuoi. Quando sei triste siediti sull'erba e guarda il panorama. Chissà, magari un giorno ci incontreremo qui.»

Lei sorrise ed annuì. «Grazie, Chris. Sei proprio gentile.»

Ricambiai il sorriso, prima di scendere insieme a lei giù dalla collina.

***

«Di cosa hai paura?» domandai a Judith, mentre percorrevamo il tragitto per arrivare a casa sua.

Il cielo era diventato completamente buio, l'unica cosa ad illuminarci la strada erano i lampioni e il bagliore della luna.

«Beh... di un po' di cose» fece lei, ridacchiando. «Degli aghi, dei serpenti, di parlare davanti ad pubblico, degli spazi troppo aperti, dei ragni, e...» all'ultima parola la ragazza si bloccò.

«E?» la incoraggiai a parlare, senza avere paura.

«...E di nuotare.»

A quella parola, i miei occhi si spalancarono. «Aspetta, tu non sai nuotare?»

Lei annuì lentamente, con lo sguardo basso. «Lo so, è umiliante.»

«Non dire così... molte persone non sanno nuotare, non devi imbarazzarti» dissi, cercando di farla stare meglio.

Judith sorrise leggermente. «Il punto è che io ho sempre amato l'acqua. Tutto quello che volevo era provare l'emozione di essere totalmente immersi in quel liquido, e così perdere ogni contatto con il mondo esterno. Dev'essere bellissimo...»

Sentivo che le sue parole erano dolci e sincere, e non sapevo cosa dire per non rovinare il momento.

«Posso sapere il perché del tuo amore per l'acqua, nonostante tu non sappia nuotare?» domandai incuriosito.

La risposta di Judith fu diversa da come me l'aspettavo. «Sinceramente? Da piccola ero una grande fan di La Sirenetta» entrambi scoppiammo a ridere, poi la ragazza continuò. «Era in assoluto la mia principessa preferita, desideravo tanto essere come lei. A volte vorrei provare a tuffarmi nell'acqua, ma poi so che andrei nel panico e che non riuscirei a raggiungere la superficie» chiuse gli occhi e scosse la testa. «Ma cosa sto dicendo? Dimentica tutto.»

«Ormai è troppo tardi, Jud.»

Quel nomignolo mi era uscito così all'improvviso che persino io mi stupivo di aver detto una cosa del genere.

Judith voltò la testa verso di me e alzò un sopracciglio. «Jud?» ripeté divertita.

«Sì, ho deciso che ti chiamerò così. È un bel diminutivo, no?»

Lei ridacchiò. «Senz'altro, è solo che nessuno mi aveva mai chiamato così. Sempre meglio di Suicidella...» e il suo sguardo tornò triste.

«Hey, lo sai che quel nomignolo è stupido» feci io, guardandola negli occhi azzurri. «Se lo sono inventati per avere qualcuno da prendere di mira, vedrai che presto quella faccenda verrà dimenticata.»

I suoi occhi brillarono, faceva quasi tenerezza. «Tu dici?» domandò con voce sottile.

Io sorrisi. «Ne sono certo.»

Tornammo con lo sguardo davanti a noi. Camminavamo lentamente e in silenzio, e speravo con tutto me stesso che dicesse qualcosa, perché a quel punto io non avrei saputo aggiungere altro.

«Potresti non dire a nessuno che non so nuotare?» grazie al cielo Judith riattaccò bottone. «Sai, non vorrei che gli altri avessero qualcos'altro per cui prendermi in giro.»

«Il tuo segreto è sigillato» Dissi, fingendo che la mia bocca fosse una zip e così chiudendola. «E poi sapessi di cosa ho paura io...»

Subito dopo mi pentii di aver detto quella frase. Lo sguardo della ragazza si catapultò verso di me. Oh, merda. Perché mi ostinavo sempre a parlare?

«Di cosa hai paura, Chris?» domandò Judith, maliziosa.

Non l'avevo mai detto a nessuno, e mai avrei pensato di farlo. Ma in fondo lei mi aveva rivelato la sua paura di nuotare, perciò emisi un respiro profondo e mi preparai all'umiliazione.

«Ho paura... delle moto.»

Lei scoppiò a ridere. «Delle moto?! Esiste?»

«Certo che sì! E non è bello, credimi.»

Nessuno avrebbe mai potuto capirmi.

«Perciò se vedi una moto scappi?» domandò Judith, trattenendosi dal ridere.

«No, ho solo paura di andarci sopra» risposi, imbarazzato. «Vedi... quando avevo quattordici anni ho fatto un incidente con la moto di un tipo e mi sono rotto una gamba e un braccio. Da lì ho paura di rimontarci sopra.»

«Ma è terribile!» esclamò Judith, dopo aver ascoltato la spiegazione.

«Ora chi è il re delle fobie?» domandai ridacchiando.

«Siete voi, grande capo.» Rispose la ragazza, facendo un piccolo inchino.

Insieme scoppiammo a ridere: eravamo proprio una bella coppia. Con lei sentivo di poter parlare di tutto, e ci capivamo al volo. In fondo mi aveva fatto bene confidarmi con lei, ora ci eravamo uniti ancora di più. Mi sembrava tutto così bello che in quel dimenticai qualsiasi altra cosa. D'un tratto ci fermammo.

«Siamo arrivati.» Disse Judith, mettendosi davanti a me.

Di già? Era incredibile di come il tempo fosse passato così velocemente. Insieme sorridemmo, non sapendo come salutarci.

«Oggi è stato bello.» Dissi, guardandola negli occhi.

«Trovo anch'io.» Disse lei, sorridente.

Di notte era ancora più bella. I capelli svolazzavano leggermente guidati dal vento che si era creato in quel momento, e gli occhi erano illuminati dal bagliore della luna. Pensai ad un modo come salutarla, ma fu lei a fare la prima mossa.

«La verità è che mi sono proprio divertita. Mi è piaciuto stare in tua compagnia, perciò... grazie.»

Non sapevo cosa dire, era stata davvero carina. Volevo dirle che lo stesso valeva per me, quando la ragazza si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla guancia. Un semplice bacio, ma in grado di farmi provare un miscuglio di emozioni diverse. In quel breve momento che le sue labbra rimasero impresse sulla mia pelle, provai brividi su tutto il corpo. Sarà stato il freddo della notte, pensai. Judith ritornò davanti a me e mi rivolse un sorrisetto imbarazzato. Continuava a rigirarsi tra le dita la margherita che le avevo dato.

«Allora... buonanotte.» Disse, con un tono dolce.

Cercai di svegliarmi dal mio stato di trance, e alla fine ce la feci. «Buonanotte, Jud.»

La ragazza mi sorrise, poi girò i tacchi e camminò verso l'uscio di casa. La guardai, ancora imbambolato dal bacio di prima, prendere le sue chiavi dalla borsetta ed aprire la porta. Successivamente entrò, e prima che chiudesse la porta, notò che la stavo guardando e mi salutò con la mano. Io ricambiai con una faccia da ebete, prima che Judith fu entrata definitivamente dentro le mura di casa sua. Rimasi immobile per qualche secondo, poi con una mano mi sfiorai la guancia che era stata baciata.

«É realmente successo?» Mormorai.

Fu lì che Ed fece il suo ritorno. «Non montarti la testa! Non puoi affezionarti troppo a qualc-»

Non volli farlo finire di parlare ed urlai: «SURICATO!»

«Ah ah, divertente.»

Sbuffai e mi voltai, per tornare verso casa. Era quasi ora di cena, e scommettevo che mia madre mi stava aspettando con le unghie in bocca. Non volevo farla preoccupare ed accelerai il passo. Nel tragitto verso casa non feci altro che pensare alla ragazza che che mi aveva completamente abbagliato con la sua bellezza e con il suo carattere adorabile. La sua dolcezza, il suo carisma e la sua incredibile capacità di farmi sciogliere... ormai era ufficiale: Judith era diventata il mio chiodo fisso.

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