31. Sassi e palloncini
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Era sabato, e so che di sabato avevo in programma di diventare un panda irritabile, ma Peter mi aveva implorato di vederci per uscire un po'. C'era solo un problema: Peter era in punizione. Già, a quanto pare aveva rotto la lampada del salotto mentre stava ballando per la stanza, e così i suoi genitori gli avevano vietato di uscire per il weekend. I genitori di Peter erano amorevoli, ma quando volevano sapevano essere molto severi. Perciò, il piano del rosso era il seguente: dovevo posizionarmi nel giardino di casa sua e lanciargli dei sassolini sul vetro della finestra della sua stanza. In questo modo lui si sarebbe accorto della mia presenza e avrebbe aperto la finestra, poi si sarebbe arrampicato sull'albero vicino al tetto e sarebbe riuscito a scendere. Sapevo che Peter non era una persona atletica, e quel piano mi sembrava leggermente pericoloso, ma lui mi implorò di dargli retta. Perciò finii con l'accettare la sua folle idea. Anche mia madre era contenta di vedermi uscire, nonostante le avessi ripetuto cento volte che non uscivo con una ragazza (quella donna doveva calmarsi). Giunto davanti la casa del rosso, era il momento di attuare il piano.
«Sei sicuro che sia una buona idea?» domandò Ed, vedendomi raccogliere un sassolino da terra. «Ho la sensazione che questa cosa finirà male...»
Sbuffai. «Tranquillo, so quello che faccio.»
«Come no...»
Ignorai il suo ultimo commento e lanciai il sassolino verso la finestra, ma mancai totalmente il bersaglio facendolo finire sulla parete esterna della casa. Sospirai e ritentai con un altro sasso, ma questo ultimo andò a finire sul tetto. Quanto poteva essere difficile lanciare una pietra? Feci per riprovare, quando qualcuno mi andò improvvisamente contro, facendomi perdere l'equilibrio. Caddi sonoramente per terra, mentre la persona con cui mi ero incontrato rimase in piedi.
«Oddio, mi scusi!» esclamò allarmata una voce femminile, chinandosi e prendendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi. «Scusi tanto, non so dove ho la testa...» quando si accorse di chi aveva davanti, la ragazza non finì la frase.
Anch'io riconobbi la figura e sorrisi compiaciuto. «Guarda un po' chi si rivede!»
«Chris!» anche Judith mi riconobbe. «Mi dispiace tantissimo! Lascia... lascia che ti aiuti.»
La ragazza afferrò la mia mano e mi aiutò ad alzarmi. Goffamente misi entrambi i piedi a terra, ma appena fui in piedi feci per sbaglio qualche passo di troppo e andai a finire a qualche centimetro dal viso di Judith. Lei impallidì, e così feci anch'io. Non eravamo mai stati tanto vicini da poter sentire i nostri respiri.
«Scusa.» Mormorai, ancora a poca distanza da lei.
Ed sembrava impazzito e continuava a ripetere la nostra parola d'ordine, il nostro segnale d'allarme. «Suricato suricato suricato suricato.»
«Ehm...» Judith si scosse, e così feci anch'io.
C'era mancato poco.
«Stavo correndo... e non ti avevo visto.»
Nervoso, cominciai a grattarmi la nuca. «No, tranquilla.»
Entrambi sospirammo. Tra di noi si era accesa una specie di scintilla.
«Tu... cosa stavi facendo?» mi domandò la ragazza, per interrompere quel momento di imbarazzo.
Mi voltai verso la casa del pel di carota. Mi stava aspettando.
«Stavo lanciando dei sassolini alla finestra di Peter. Oggi dovevamo vederci, ma non riesco a mirare bene.» Ammisi, ridacchiando.
«Fammi provare.»
Io la lasciai fare e mi misi da parte, sorpreso dal suo tono sicuro. Judith si chinò e prese un sasso da terra. Se lo rigirò varie volte tra le mani, prima di mirare bene la finestra di Peter.
«Ora ti mostro di cosa è capace la regina dei lanci.» Disse, concentrata sul bersaglio.
Io risi, ma poi mi accorsi delle misure del sasso. Era abbastanza grande e appuntito.
«Judith, quel sasso potrebbe...» non feci in tempo a finire la frase, che la ragazza scagliò il sasso con tutta la forza che aveva.
Il sasso volò a massima velocità fritto la finestra di Peter, ma invece di rimbalzare, quello frantumò il vetro in mille pezzi. Il rumore fu così assordante che pensavo l'avesse sentito l'intero vicinato. Le espressioni mie e di Judith erano esattamente le stesse: assoluto stupore.
«Oh... cavolo.»
Se eravamo nei guai? Sì, parecchio. I genitori di Peter ci avrebbero fatto causa, o peggio! Come avrebbe reagito mia madre? Avrebbe dovuto ripagare tutto, e io avrei dovuto mangiare il doppio dei broccoli che mi dava per cena. Presi un attacco di cuore quando sentimmo una voce provenire da dentro la casa.
«Hey! Ho un fucile!»
Era una voce maschile e ben poderosa, probabilmente doveva essere il padre di Peter. E aveva un fucile.
Il piano numero uno sarebbe stato quello di scappare, ma non potevo abbandonare Judith.
«Corri!» urlai, prima di schizzare come una molla lontano da lì.
Mentre correvo mi guardai indietro per vedere se la ragazza era dietro di me, ma poi mi accorsi che era rimasta impietrita davanti alla finestra. Aveva uno sguardo sbigottito, credo che dovesse ancora realizzare quello che era successo. Senza ripensarci due volte corsi verso di lei e la presi per un braccio.
«Su, vieni!»
Insieme scappammo lontano da quella casa. Proprio appena cominciammo a correre, dalla porta uscì il padre di Peter armato di uno di quei fucili che si usano per cacciare le oche.
«Tornate qui!» urlò arrabbiato nero, notandoci scappare.
Per fortuna non ci aveva riconosciuti. Io e Judith stavamo correndo più veloci che potevamo; quando il signor Piper sparò in aria, la ragazza di fianco a me fece un urlo di paura. La guardai in faccia, ma il suo viso non era mai stato così euforico. Il tempo correva veloce quanto noi, nell'aria si era espansa un'adrenalina incredibile. Mi ero sentito altre volte così, ma avrei scommesso che fosse la prima volta che Judith infrangeva una regola. I nostri piedi sembravano essersi alzati da terra, sapevamo che se ci fossimo fermati avremmo rischiato di essere beccati. Quando scorsi il retro di una casa pensai che sarebbe stato un bel posto per nascondersi, e allora riferii a Judith di andare lì.
Lei annuì e insieme ci andammo a nascondere lì dietro. Sgattaiolammo dietro la casa e ci mettemmo seduti contro il muro. Mi sporsi un po' per vedere se David Piper ci stava ancora inseguendo, e feci un sospiro di sollievo quando in lontananza non vidi più nessuno. Dopo aver verificato di essere al sicuro mi voltai verso Judith, che stava prendendo lunghi respiri per via della corsa.
«Oh mio dio...» disse, mettendosi le mani sul volto. «Ho fatto un disastro... e ti ho anche messo in mezzo.»
Feci un sorriso di compassione e mi avvicinai più a lei.
«Non è stata colpa tua...»
«Invece sì!»
Rimasi un attimo in silenzio, non trovando buone ragioni per darle torto. «Okay, forse è stata colpa tua.»
Lei rise ed appoggiò la sua testa al muro.
«Ma è stato divertente, no?»
Judith mi guardò per un istante, poi si arrese e sorrise. «È stata la cosa più folle che abbia mai fatto in tutta la mia vita.»
Quelle parole mi fecero, per non so quale strano motivo, sentire bene. Non chiedetemi il perché, non saprei spiegarlo. Io e Judith ci guardammo negli occhi senza dire una parola.
Poi la biondina riprese a parlare. «Ora cosa facciamo?»
«Beh... possiamo tornare indietro e porgere le nostre scuse al signor Piper, oppure andare al parco a pare una passeggiata. Ti va?»
Judith mi sorrise. Un sorriso sincero e meraviglioso.
«Non dovevi uscire con Peter?»
Scoppiai a ridere. «Io non ci torno in quella casa di matti.»
Avrei chiesto scusa a Peter più tardi, ora volevo passare un po' di tempo con Judith. Chissà, magari potevo scoprire qualcosa in più di lei.
«E allora vada per la passeggiata.»
***
Stavamo camminando per il sentiero del parco. Non faceva tanto freddo; il sole illuminava gli alberi dalle chiome arancioni, e c'era giusto un leggero venticello. Io e Judith camminavamo ad una breve distanza l'uno dall'altra, non sapendo cosa dire per non rovinare quel momento tanto sereno. Volevo sapere perché l'altro giorno stesse piangendo, ma non dissi nulla, pensando che parlare di quello non le avrebbe fatto tanto piacere. Il suo sguardo evitava il mio, e non sapevo cosa fare per rompere il ghiaccio.
«Raccontale una barzelletta» mi suggerì Ed. «Ricordi quella del caffè? Quella sì che era divertente.»
Abbassai lo sguardo, non contento del consiglio della mia coscienza. Ero pessimo con le barzellette.
«Mmh... allora parlate dei vostri interessi comuni.»
Quell'idea mi piacque più della prima. Interessi comuni, ma certo!
Mi feci coraggio ed iniziai una conversazione. «Ti piacciono... i gatti?»
Lo sguardo di Judith si spostò verso di me.
«Era il meglio che tu potessi fare?»
Almeno ci avevo provato. La ragazza si passo una mano sui capelli biondo chiaro e sorrise.
«Moltissimo. Pensa che da piccola avevo un gattino.»
Quella notizia mi fece sorridere. Da una domanda banale era nata una conversazione, ed ero felice di stare scoprendo piano piano qualcosa in più di lei.
«Ah sì? E come si chiamava?» domandai, incuriosito.
Lei guardò il sentiero. «Si chiamava Coco, perché era bianco come l'interno di un cocco. Lo so, è un po' stupido.»
«Non lo è affatto», feci io. «dimmi di più.»
La ragazza mi sorrise, poi ricominciò a parlare. «Un giorno, mentre stavo giocando al parco, ero salita su un albero. Devi sapere che io mi arrampicavo su tutto, da bambina; mio nonno mi diceva che da grande avrei scalato il monte Everest» io risi, e lei continuò. «Allora, mentre giocavo sull'albero, mi accorsi di un gatto che era rimasto sopra ad un ramo. Era un cucciolo ed aveva paura di scendere, così lo raggiunsi e lo presi. Quando lo portai giù dall'albero chiesi alla mia mamma se potevamo tenerlo, e lei acconsentì. Io e Coco eravamo amici insperabili e giocavamo sempre insieme. Lui non poteva fare a meno di me, e io di lui. Poi, un giorno...» il suo sguardo si incupì. «mi svegliai e Coco non c'era più. Era scappato. Lo cercammo per tutto il vicinato, finché mio padre lo trovò sulla strada. A me dissero che era andato dai suoi amici gatti, lassù nel cielo, hai presente? Ma sapevo che era stato investito. Mi si spezzò il cuore. Mi chiedevo: "Perché è scappato? Per caso non gli ho dato le attenzioni che si meritava?". Ora non so cosa darei per riaverlo qui con me, anche perché...» trattenne il fiato per un secondo. «era uno dei pochi ricordi che avevo della mamma.»
Era una storia tristissima. Quella ragazza ne aveva passate davvero tante... la mia storiella in confronto non era niente. Addolcito da quel racconto, le presi una mano e la feci fermare.
«Mi dispiace molto per Coco» dissi con tutta la sincerità che avevo in corpo. «Ma deve aver avuto una vita bellissima se passava ogni giorno in tua compagnia.»
Judith esibì un caldo sorriso. «È tutto okay, ormai ci sono passata sopra. Di lui mi resta solo un dolcissimo ricordo.»
Sorrisi e continuammo a camminare, mano nella mano. Mi sentivo benissimo insieme a Judith, con lei avevo conversazioni bellissime. Mi stupivo di come avessi fatto a vivere senza una persona profonda come lei. Il massimo che Bethany sapesse dire era "Ho avuto un'infanzia difficile: mia madre non mi comprava la cipria". Io e Judith camminammo per un po' ridendo e facendo battute, quando qualcosa attirò la nostra attenzione: un bambino davanti a noi stava piangendo in continuazione e con le braccia si stava dimenando come se fosse posseduto. In situazioni normali lo avrei lasciato piangere, ma attorno a lui non vidi nessuno, e cominciai a pensare che si fosse perso o una cosa del genere. In tal caso non potevo lasciarlo lì, o avrei fatto una cattiva azione. Perciò dovetti avvertire la ragazza di fianco a me.
«Vuoi scusarmi un attimo? Devo fare una cosa.» Le dissi, mollando la sua mano. La ragazza mi lasciò fare.
Mi incamminai sotto lo sguardo curioso di Judith verso il bambino capriccioso, e mi chinai davanti a lui.
«Hey, piccoletto» dissi, attirando la sua attenzione. «Che succede? Hai perso la tua mamma?»
Lui mi guardò e piagnucolò: «No, mia mamma è in bagno.»
«Ah, e allora perché stai piangendo?»
Il bambino indicò l'albero dietro di noi. «Il mio palloncino è finito su quell'albero.»
Mi voltai verso l'albero, ed effettivamente era proprio lì. Si trovava sul ramo più alto di una grande quercia. Cavolo, avrei dovuto saper volare per raggiungere una tale altezza.
«Non puoi comprarne un altro?» gli domandai, voltando la testa verso di lui.
«No.» Sbottò il bambino.
Sospirai e riguardai la quercia. No, assolutamente no. Mi dispiaceva deludere quel povero bambino, ma non sarei riuscito a prendere quel palloncino. Non facevo parte degli X-Men!
«No» fece Ed. «Fai parte dei Codardi-Men.»
Judith si diresse verso di noi e mi arrivò di fianco. «C'è qualche problema?» domandò, guardando il bambino.
«Il suo palloncino è finito su quell'albero.»
«Oh» ci fu una breve pausa. «Lo prendo io!»
«Tu prendi cosa?!»
Era una missione impossibile, nemmeno la più atletica delle scimmie sarebbe riuscita ad arrampicarsi fin lassù. Judith non mi rispose e si avviò verso l'albero insieme al bambino, che incuriosito si mise dietro di lei. La ragazza cominciò ad arrampicarsi, e le mie preoccupazioni salirono.
«No no no, non puoi farlo.»
Judith mise un piede su un ramo, e la preoccupazione che quello si spezzasse improvvisamente aumentava ogni istante di più.
«Rilassati!» fece lei, sorridendo.
«Judith, è troppo pericoloso! Dai, lascia perdere. Gli comprerò un palloncino io stesso! Ti prego, scendi!» ormai era così in alto che dovevo alzare la voce perché mi sentisse.
«Ormai sono a metà strada.»
«Stai molto attenta!»
«Sì, capo.»
Judith sembrava tranquilla, si arrampicava sugli alberi come se stesse andando in bicicletta; un'abilità che molti avrebbero invidiato. Giunta vicino al palloncino dovetti tapparmi gli occhi per paura di guardare. Tuttavia lasciai una piccola fessura con le dita che mi permise di vedere quello che stava succedendo. Judith era arrivata a qualche centimetro dal palloncino, ma era troppo lontano da poterlo prendere, e nonostante si sforzasse ad allungare il braccio più che poteva, il palloncino rimaneva distante di qualche centimetro di troppo. Mi preparai psicologicamente a chiamare il 911, per qualunque cosa sarebbe successa. All'improvviso Judith fece un balzo verso il palloncino e lo prese al volo, ma atterrò su un ramo e cominciò a perdere l'equilibrio. La ragazza urlò e cadde dall'albero, e si sarebbe rotta la schiena se non fosse stato per me. Infatti balzai sotto l'albero con uno scatto felino e la presi al volo, azzerando le possibilità che si fosse fatta del male. Judith mi sorrise, ma io non ero affatto felice.
«Ecco. Visto? Lo sapevo. Potevi farti male, sai?» la rimproverai.
«Ma alla fine tu mi hai preso, no?» fece lei, non appena la rimisi coi piedi per terra.
«Sì, ma se non fossi stato lì? Chi ti avrebbe presa?»
Judith diede il palloncino al bambino, che la ringraziò e andò dalla sua mamma. La ragazza li guardò andare via, poi rivolse la sua attenzione verso di me.
«Grazie, mio eroe.»
Quella frase mi sciolse come un ghiacciolo al sole, ma non volli farlo notare. «La prossima volta non ci sarò io a salvarti le chiappe!»
Lei rise e mi diede la mano. «Lo so, per questo mi conviene tenerti stretto.»
Non volevo perdonarla, ma come si poteva essere arrabbiati con un faccino tanto adorabile? Sospirai e lottai con tutte le mie forze a rivolgerle un'occhiataccia, ma fallii miseramente e le sorrisi.
«Seguimi» dissi. «Ti porto in un posto.»
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