3. Peter Piper
Canzoni per il capitolo:
• Kids ~ OneRepublic
• Little Lion Man ~ Mumford & Sons
«CHRISTOPHER WATSON!»
Aprii gli occhi di scatto. Sotto di me sentii una sensazione calda e morbida, e mi resi conto di essere nel mio letto. Sollevai le coperte, e sospirai, quando capii di non essere nudo. Poi mi voltai verso mia madre, che mi stava fissando con due occhi da pazza.
«Mamma?» mormorai, confuso.
«È da venti minuti che cerco di svegliarti! Arriverai in ritardo a scuola!» esclamò lei, ignorando il mio stato smarrito.
Avevo già sentito quelle parole... in poco tempo realizzai che era l'esatta frase che mi aveva detto la mattina dell'incidente in macchina. L'incidente... era tutto vero? Se stavo rivivendo veramente quello che era successo quel giorno, allora dovevo informarmi. Come potevo non dubitare che fosse tutto un brutto sogno?
«Mamma, che giorno è oggi?» domandai, con gli occhi sbarrati.
Lei mi guardò storto. «Ehm... è il 12 ottobre... ma perch-»
«SONO VIVO!»
Saltai giù dal letto, al settimo cielo. Per la gioia mi fiondai tra le braccia di mia madre, che rimase impietrita sotto la mia stretta potente.
«Oh... mamma, ti voglio bene.» Dissi, appoggiando il mio viso sulla sua spalla.
Lei ricambiò distrattamente l'abbraccio, ancora confusa.
«Va bene...» Disse, leggermente sorpresa. «Adesso vai in cucina, eh?» fece, staccandosi dall'abbraccio.
Le sorrisi; era da tanto che non le sorridevo.
«Certo.» Dissi.
Non potei resistere, e le diedi un bacio sulla guancia. Lei ci rimase di stucco, ed io la guardai con compassione.
«Papà non sa quello che si è perso.» Dissi, con tutta la sincerità che avevo.
A quelle parole lei sorrise; probabilmente non se l'aspettava. «Grazie, tesoro.»
Feci un sorriso a trentadue denti, prima di correre in cucina. Mia madre rimase ferma immobile, lì dov'era. Poi sbuffò e andò via, sorridendo. Le dovevo essere sembrato molto strano...
Appena entrai in cucina, vidi Clary seduta sulla sua sedia che faceva colazione.
«Clary!» esclamai, felice di rivederla.
Lei mi guardò male, e piegò la testa d'un lato, alquanto stranita dal mio comportamento bizzarro. Me ne fregai e corsi verso di lei, prendendola in braccio.
«Oh, la mia piccola Clarissa!» dissi, facendola volare da tutte le parti.
Lei non sembrava contenta, anzi, mi era parsa di vederla infastidita; sguazzava da una parte all'altra della stanza come un pesce nell'acquario.
«Ti senti bene?» domandò, cercando di liberarsi dalla mia presa.
La rimisi sulla sua sedia e le diedi un bacio sulla guancia. Lei se lo pulì subito dopo con la mano, facendo un'espressione disgustata.
«Se sto bene? Sto benissimo!» risposi, alzando le braccia al cielo.
Tirai un urlo di gioia e mi misi a ballare per tutta la stanza. Non mi importava del parere della mia sorellina, che mi stava guardando come se avessi ucciso qualcuno. Canticchiai una canzone, mentre aprivo il frigorifero e prendevo il cartone del latte al cioccolato. Ballai fino al tavolo e – sempre ballando – versai il latte nella mia tazza. Diedi un'occhiata a Clary, che continuava a fissarmi.
«Che c'è?» domandai, sedendomi sulla mia sedia.
«Sei strano.» Fece lei.
«Sono solo di buon umore!» ribattei io, dando un sorso al latte al cioccolato.
Era delizioso. Tutto era più buono, quel giorno. Ero vivo e felice di vivere.
«Buongiorno, amico mio!»
Dallo stupore, sputai immediatamente il latte dalla mia bocca, che andò a finire sul tavolo e un po' sul pavimento.
«Ed?!» esclamai, con gli occhi sbarrati.
Non poteva essere lui. Clary mi rivolse uno sguardo confuso.
«Sì, sei decisamente strano.» Continuò.
Io la guardai, perplesso. Probabilmente, dato che Ed era nella mia testa, nessuno poteva sentirlo tranne me. Dovevo sembrarle pazzo! Mi serviva un posto tranquillo, per chiacchierare con la mia coscienza senza che nessuno potesse sentirmi.
«Ehm...» Feci, cercando di trovarmi una scusa plausibile. «Mi scappa!» esclamai, alzandomi dalla sedia e correndo verso il bagno.
Clary rimase impassibile, poi fece le spallucce e tornò a mangiare i suoi biscotti con tranquillità. Raggiunsi il bagno e velocemente chiusi la porta. Mi guardai allo specchio, poi decisi di sciacquarmi la faccia con dell'acqua fredda, per svegliarmi un po'. Osservai nuovamente il mio riflesso allo specchio. Gli spettinati capelli castani mi ricadevano sulla fronte; sarebbe stata ora che me li pettinassi... ma non era quello il punto. Rimasi in silenzio per un po', riflettendo su quello che avevo sentito prima nella mia testa. Dopo un po' decisi di porre fine si miei dubbi e di buttarmi.
«...Ed?»
«Hey.»
Sospirai. Non era frutto della mia immaginazione, era tutto vero.
«Perché sei qui?! Me la sto cavando benissimo!» esclamai arrabbiato.
«Tecnicamente... io sono sempre con te, è solo che non puoi sentirmi.» Puntualizzò lui. «E comunque... ho il compito di aiutarti a svolgere la tua impresa. Chissà, conoscendoti potresti fare dei casini.»
«Beh, non succederà.» Dissi appoggiandomi al lavandino. «Ho tutto sotto controllo... per prima cosa, andrò dai miei amici e prenderò in giro le matricole, poi...»
«Stai scherzando, vero? Prima avevi fatto progressi, con tua madre e tua sorella. Adesso vuoi rovinare tutto?»
Abbassai lo sguardo. Forse la mia coscienza aveva ragione.
«Beh... e allora che dovrei fare?» domandai.
«Ripara. Gli. Errori.» Rispose Ed, secco. «Io rimarrò con te, e ti aiuterò qualsiasi cosa farai, tranquillo.»
Sbuffai. Quello non era proprio rassicurante. In effetti... sapere che qualcuno ti osserva 24 ore su 24, era un tantino inquietante.
Ma decisi di passarci sopra e di uscirne con un: «Va bene.»
***
Stavo attraversando il cortile della scuola, con lo zainetto in spalle e un sacco di pensieri in mente. Fare buone azioni... fare buone azioni... no, niente da fare. Con la mia famiglia era stata un'eccezione, ero felice di essere vivo. Ma adesso era come tornare alla normalità, anche se ogni volta che sentivo Ed dire qualcosa, capivo che non c'era nulla di normale.
«Mi stai ascoltando?!» fece lui, frustrato.
Sospirai e mi guardai intorno, per vedere se c'era qualcuno che potesse sentirmi. Vidi un gruppo di ragazze, ma erano troppo impegnate a bisticciare che ad accorgersi di me.
Mi diedi il via libera. «Sì, ti ascolto.» Sussurrai. «È che non voglio che la gente pensi che parli da solo, e che mi associ ad uno strano, capisci?»
«Ooh... sì, capisco.» Disse lui. «Tu sei popolare, no? Hai una certa dignità da stabilire.» Disse, con una nota di sarcasmo nella sua voce.
«Esatto.» Feci io, rovinando l'ironia.
Sospirai e mi incamminai a passo lento verso la scuola, facendo finta di ascoltare Ed che parlava. Solo quando feci un fischio ad una ragazza carina, lui si accorse della mia distrazione.
«Sei un caso perso, Chris!» esclamò.
Roteai gli occhi, stanco di avere una coscienza noiosa e pignola.
«Non potevo avere una coscienza più... fica?» pensai ad alta voce.
«Ti ho sentito!»
Sbuffai ed entrai nell'edificio. Ogni volta che uno studente posava lo sguardo su di me, si voltava dall'altra parte. Avevano tutti paura, e questa cosa mi piaceva, ma ero troppo teso per sorridere compiaciuto. In lontananza, notai i miei amici. Ero felice che fossero ancora vivi, così camminai verso di loro. Quando si accorsero di me sorrisero.
«Come va?» mi chiese Lucas, battendomi il cinque.
«Tira avanti.» Risposi io, sospirando.
Miles venne verso di me, sorridendo.
«Questa sera il party sarà spettacolare!» esclamò, dandomi una pacca sulla spalla.
Io ero confuso.
«Party?» feci con uno sguardo confuso, indietreggiando leggermente, e osservando i miei amici che mi guardavano storto.
«Sì, al Black Out.» Disse Tyler. «Te ne sei dimenticato?» domandò, sorridendo.
Io non sapevo cosa dire.
«Oh, sì. Il party leggendario che vi farà rimettere le penne!» ironizzò Ed.
La mia coscienza aveva ragione. Non dovevo permettere loro di andarci, altrimenti avrebbero tutti fatto una brutta fine, io compreso!
«Oh, sì...» Mormorai, abbassando lo sguardo. «Non posso andarci.»
Il sorriso dei miei amici sparì dalle loro facce, e mi guardarono come se avessi commesso un reato. Sapevo che quando bidonavi i miei amici non c'era più nulla da fare.
«Come?» fece Scott, deluso. «Ma era la nostra serata!»
«Non è colpa mia, okay?» mentii. «Questa mattina ho fatto arrabbiare mia madre e mi ha messo in punizione. Non posso farci niente!»
Non avrei mai pensato che tutti quegli anni di recitazione alle medie fossero serviti a qualcosa. Miles mi guardò con rabbia.
«Bene. Ci divertiremo molto di più, senza di te.» Disse.
Per un attimo fui tentato di lasciarli andare alla festa, in contro al loro triste destino. Ci pensò la mia coscienza, a farmi cambiare idea.
«Sono i tuoi migliori amici. Pensa alle loro famiglie, cavolo!» esclamò.
Sospirai, sapendo che Ed aveva ragione.
«Veramente...» Dissi, attirando la loro attenzione. «Voi non potete andarci.»
Tutti mi guardarono male; forse ero stato un po' troppo diretto.
«E perché mai?» domandò Tyler, incrociando le braccia.
Dovevo pensare in fretta. Non potevo portare alla morte i miei amici, i sensi di colpa mi avrebbero divorato, e sarei marcito all'Inferno per l'eternità.
«Perché... se andate alla festa... io mi... sentirò triste?» sembrava più una domanda, che una affermazione.
Tutti scoppiarono a ridere, mentre io volevo sotterrare.
«Dai, andiamo a lezione.» Suggerì Lucas, sempre ridendo.
Sospirai e seguii gli altri, lasciando perdere la conversazione di prima. Dovevo trovare un'altra soluzione entro questa sera, altrimenti i miei amici più cari sarebbero tutti morti. Però! Il lavoro di angelo custode era sfiancante!
«Tre anni di recitazione, eh?» ironizzò Ed.
Lo maledissi mentalmente, cominciando a camminare come uno zombie.
«Sta zitto.» Sbottai, a bassa voce.
Odiavo sentirmi preso in giro. Mentre camminavamo, scorsi un ragazzo dai capelli rossicci camminare timidamente a testa bassa; la nostra preda preferita. Infatti, Miles non ci mise molto a sogghignare e ad avvicinarsi a lui. Un altro guaio...
«Hey, pel di carota.» Disse, mentre gli altri lo spalleggiavano mettendosi di fianco a lui. «Ce li hai i soldi?»
Il rosso sospirò.
«Oh, non potete rompere il cazzo a qualcun altro? Solo per oggi!» disse.
I ragazzi sogghignarono, e Miles lo sbatté contro gli armadietti della scuola. La gente attorno a noi si accorse della situazione delicata, e si allontanò, ognuno nelle proprie aule.
«Qualcuno qui vuole essere smutandato!» esclamò Miles, afferrando il laccio delle sue mutande, e tirando più in su che poteva.
Le smorfie del dolore del ragazzo mi fecero immaginare quando dolore potesse provare. Mi faceva quasi ridere vedere quel ragazzo in difficoltà, e per un attimo fui tentato di rubargli tutti i soldi.
«Chris, fai la cosa giusta.» Disse Ed.
Sospirai, e feci un passo avanti.
«Miles» Dissi, toccandogli la spalla. «Smettila.»
Lui mi guardò male, poi mollò la presa dalle mutande di quel ragazzo, che si prese un momento per respirare. Si scostò dal mio braccio con rabbia e con due occhi iniettati di odio.
«Non ti riconosco più.» Disse. «Prima dici che non andrai alla festa, poi ci obblighi a non andarci, e infine mi fermi dal picchiare uno sfigato? Chris!» fece una pausa, per avvicinarsi a me. «Cosa ti è successo?»
Io rimasi a guardarlo, serissimo. Lui non aveva idea di quello che avevo passato, non potevo certo rivelargli tutto!
«Sono cambiato.» Dissi, fulminandolo con lo sguardo. «Ed è il momento che lo faccia anche tu.»
Lui mi guardò con rabbia. Tra i due cominciava a non scorrere buon sangue. Sapevo di averlo sfidato, e sapevo anche che lui odiava quando qualcuno lo sfidava.
«Mi fai pena.» Sputò, prima di voltarsi e di camminare via.
Gli altri ragazzi mi rivolsero uno sguardo deluso, e seguirono Miles verso l'aula di letteratura. Sapevo di avere appena spezzato una lunga amicizia, e quella cosa non poteva che rendermi triste. Abbassai lo sguardo, poi posai gli occhi sul ragazzo rosso, che era rimasto a guardarmi. Nei suoi occhi col nocciola c'era un briciolo di compassione.
«Grazie, amico.» Mi disse. «Io sono Peter Piper!»
Mi porse una mano, che io rimasi a guardare, perplesso. Non credevo ancora di stare diventando amico di uno sfigato. Peter Piper? Ma che nome era?!
«Sarà meglio che accetti quella mano.» Disse Ed con tono severo.
Sospirai e strinsi la mano di Peter.
«Sono Chris.» Dissi con una nota di stanchezza nella mia voce.
«Sei stato grande, prima!» esclamò lui.
Il suo sguardo divenne d'un tratto pensieroso.
«Un attimo.» Disse, indicandomi. «Io ti ho già visto da qualche parte...»
Strizzò leggermente gli occhi e si avvicinò a me. Io rimasi immobile, messo a disagio da quella situazione. Gli occhi di Peter brillarono, non appena si accorse di chi aveva davanti.
«Tu sei Chris Watson!» esclamò, sorridendo. «Sei un quarterback, giusto? Giochi nella squadra della scuola.»
«Ehm... sì.» Risposi.
Giocavo a football da quando avevo otto anni, mi aveva insegnato mio padre, a giocarci. Ogni volta che ripensavo ai momenti in cui giocavamo insieme, diventavo triste.
«Whoa, che figata!» fece Peter. «Sono appena stato salvato da un quarterback!»
Sembrava così realizzato che decisi di rimanere in silenzio, per non rovinargli il momento.
«Ti va di diventare amici?» mi domandò. «Saresti il mio primo amico popolare. Cioè... il mio unico amico.» Scandì, imbarazzato. «Dimentica quello che ho detto!» disse dopo, con un tono preoccupato.
Io non sapevo cosa rispondergli. Peter era di sicuro un ragazzo molto particolare, e avrei rifiutato la richiesta molto volentieri, ma dato che avevo appena perso i miei migliori amici...
«Va bene.» Dissi, leggermente titubante.
«Fico.» Fece lui, battendomi il cinque.
Ci incamminammo verso nostre aule. Peter non smetteva di farmi domande su come fosse essere "popolare", e robe del genere; volevo tirargli un pugno nel naso solo per farlo smettere di parlare. Mi chiedevo se le amicizie vere fossero così noiose...
«...Oh, e mi faresti conoscere qualche ragazza carina?»
«Sì, se chiudi la bocca.»
«Ricevuto!»
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