29. Storia di un bambino che se la fece nei pantaloni
Dopo le lezioni, decisi di andare a cercare Vanessa per andare insieme a casa mia. Oltre che fare la ricerca di francese, dovevo discutere con lei sul fatto di Bethany e della foto-non-postata. Non sapevo il perché di tutta quella curiosità, ma sentivo che qualcuno mi stava nascondendo qualcosa. Vanessa doveva pur essere da qualche parte, perciò passai dieci minuti buoni a cercarla per i corridoi della scuola. D'improvviso avvampai, quando avvistai Miles parlare con qualcuno a me sconosciuto. Speravo che non mi notasse, perciò decisi di stargli lontano. Stavo per camminare via, quando i miei occhi notarono una ragazza con una cuffia in testa che stava fotografando Miles con il cellulare. Non ci misi molto per capire che si trattava di Zoey. Solo ora cominciavo a rendermi conto che quella tipa aveva dei seri problemi; forse era peggio di Peter, in quanto problemi di cuore. Decisi di non interrompere il suo "lavoro" e di lasciarla fare, mentre continuai la ricerca per trovare Vanessa. Sembrava quasi di giocare a nascondino.
«Zoey e Will non sono tanto male, eh?» commentò Ed, per interrompere il silenzio.
«Già» risposi, camminando. «Sono proprio due strani personaggi.»
Non facemmo in tempo a continuare la conversazione, perché proprio davanti a me vidi una scena che mi fece fermare. Judith stava correndo verso il bagno delle ragazze, e si teneva le mani sul viso per nascondere le lacrime. Catturato da quella situazione, decisi di inseguire la ragazza dentro il bagno per vedere cosa stesse succedendo. Qualcuno l'aveva fatta di nuovo soffrire? Ci avrei pensato io.
Appena entrato trovai una ragazza dai capelli legati in una coda in piedi davanti ai lavandini, che si stava tranquillamente lavando le mani.
Appena mi vide emise un gridolino sorpreso e fece qualche passo all'indietro. «Un ragazzo! Un ragazzo nei bagni delle femmine!» urlò allarmata, indicandomi come se fossi un alieno.
Io alzai un sopracciglio, irritato. «Che c'è? Mai visto un ragazzo in vita tua?»
Lei spalancò gli occhi e urlando corse fuori dal bagno, rischiando di inciampare davanti al cartello "attenzione: pavimento bagnato". Forse avrei potuto immaginarmelo...
«Ma dai?» ironizzò Ed.
Sbuffai e mi concentrai sull'obbiettivo principale: trovare Judith. Non poteva essersi teletrasportata altrove, doveva essere qui da qualche parte. Cominciai ad aprire tutte le porte una dopo l'altra, finché non raggiunsi l'unica con la serratura bloccata. Posai un'orecchio sulla porta, per sentire meglio: Judith non faceva altro che singhiozzare. Dopo essere stato un minuto a riflettere su come comportarmi, decisi di bussare delicatamente nella speranza di essere il più cauto possibile.
«Judith? Sei qui dentro?»
Alle mie parole i singhiozzi cessarono.
«C-Chris? Sei tu?» domandò flebilmente una voce, la quale riconobbi subito.
«Sì... ma perché stai piangendo?»
Quello che sentii dopo non fu altro che il silenzio. Capii subito che non voleva parlarne, perciò decisi di non ritentare a ricevere una risposta. Judith aveva un animo timido e insicuro, ero convinto che non dicesse mai quello che pensasse.
«Puoi... puoi aprire la porta?» domandai dolcemente.
«No, perché mi prenderesti in giro.» Singhiozzò lei.
Un sorriso di compassione si formò sul mio viso. «Non ti prenderò in giro.»
«Promesso?»
«Promesso.»
Passarono brevi attimi di silenzio, prima di poter sentire la porta del bagno sbloccarsi. Dopo qualche secondo sbucò fuori la figura esile di Judith. Aveva gli occhi lucidi e leggermente rossi, mentre le lacrime salate erano ancora impresse sulle sue guance. Ma rimaneva comunque una visione bellissima. La ragazza si avvicinò lentamente a me, poi abbassò lo sguardo e cominciò a mordersi nervosamente il labbro inferiore. Allora capii di dover fare la prima mossa.
«Ti va... di sederti?» domandai, indicando il muro.
Okay, forse il pavimento del bagno non era il posto ideale dove parlare, ma pensavo che non avesse voglia di uscire davanti agli occhi di tutti gli studenti. Lei annuì, e insieme ci sedemmo per terra, con le spalle contro il muro. Dopodiché, calò di nuovo una nube di silenzio. Temevo che avessi potuto dire qualcosa di sbagliato, rovinando di conseguenza tutto. Guardandola, capii che anche lei non era da meno; l'imbarazzo si leggeva nei suoi occhi.
«Okay, ora ripeti quello che ti dico io.» Disse Ed.
Quella cosa mi sollevò molto. Per una volta da quando lo conoscevo, Ed stava facendo qualcosa per aiutarmi! Inutile dire che accettai volentieri la sua offerta.
«Ne vuoi parlare?»
«Ne vuoi parlare?» ripetei.
Lei girò lo sguardo verso di me.
«Di cosa?» domandò, asciugandosi una lacrima.
«Del motivo per cui sei corsa via piangendo.»
«Del motivo per cui sei corsa via piangendo.»
Judith sospirò e si grattò di sfuggita il naso, senza volere guardarmi negli occhi.
«Non penso di volerne parlare proprio adesso... scusami.» Mormorò, abbassando lo sguardo.
Ormai dovevo accettarlo: non aveva voglia di parlarne, e di certo non lo avrebbe fatto con me. Non mi stupii nel vedere Ed rimanere in silenzio per qualche istante; era evidente che non sapeva cosa dire.
Poi parlò. «Voglio che tu sappia che di me ti puoi fidare.»
Ripetei la frase, attirando l'attenzione di Judith, che si voltò subito verso di me.
«Grazie» sorrise, abbassando lo sguardo e guardandosi le scarpe. «È che...» la ragazza chiuse gli occhi e trattenne le lacrime, che stavano lottando per uscire. «Lascia... lascia stare.»
Il mio sguardo era triste. Non riuscivo a sopportare che si sentisse così. Una ragazza così dolce e gentile non meritava quel trattamento, aveva bisogno di qualcuno che la facesse sentire bene.
«Ora dille: sei sicura che non ne vuoi parlare?» suggerì Ed.
Non potevo seguire quel consiglio, Judith mi aveva detto più volte che non voleva trattare quell'argomento. Dirle così sarebbe stato come obbligarla a dirmi tutto, e io non volevo obbligarla.
«So come ti senti» mormorai, con lo sguardo perso in un punto impreciso del bagno. «Ti senti il mondo crollare addosso, e credi che tutti siano contro di te.»
«Ehm... questo non era nel copione.»
Judith voltò il viso verso di me. «Davvero sai come mi sento?» domandò con un tono decisamente speranzoso.
«Certo! Tutti almeno una volta nella vita ci siamo sentiti così.»
Lei abbassò lo sguardo, ma io le presi le mani obbligandola a guardarmi negli occhi.
«Ti voglio raccontare una storia.» Mormorai.
Lei si spinse più vicino a me ed incrociò le gambe, curiosa di sapere cosa volevo dirle. Le sue mani erano stranamente fredde, ma piccole e morbide.
«Allora, da dove posso cominciare...» mi schiarii bene la voce, cercando di fare un tuffo nella mia infanzia. «Era il primo giorno di elementari. Io ero eccitatissimo, avevo passato le intere vacanze estive a contare i minuti che mancavano a quel grande giorno. Non so... per me era un passaggio da bambino a piccolo uomo. Perciò, quella mattina, mi ero preparato per bene, badando ad ogni minimo particolare: capelli ben pettinati, camicetta elegante, e papillon sul colletto.»
«Addirittura?» ridacchiò Judith, divertita da quella storia.
«Sì, sì. Mia madre disse che assomigliavo ad un piccolo uomo d'affari» sorrisi leggermente, ripensando con malinconia a quei bei tempi. «Andai a scuola con il mio zainetto in spalle, la merenda pronta, la mia collezione di pennarelli... insomma, tutto il necessario. I miei genitori mi accompagnarono fino al cortile, poi fu il momento dei saluti. Io non avevo neanche un po' di paura, sapevo che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Perciò diedi un forte abbraccio a mia madre e a mio padre, e mi diressi insieme a tutti gli altri bambini all'interno della scuola. Notai che tutti si conoscevano già e si abbracciavano, mentre io non conoscevo nessuno perché io e la mia famiglia ci eravamo trasferiti qui da qualche mese, e la cosa cominciò a rendermi un tantino nervoso. Una volta che ogni bambino fu al proprio posto, la maestra ci disse di presentarci. Ogni alunno doveva alzarsi dalla sedia e dire qualche cosa di lui. Quando arrivò il mio turno, ero molto ansioso: dovevo farmi conoscere dalla classe, e non ero molto bravo a parlare in pubblico. Ma decisi di non arrendermi e di provare a dire qualcosa. Il risultato non fu tanto bello. Ricordo che cominciarono a sudarmi le mani e balbettavo parole incomprensibili. Tutti quegli occhi verso di me mi facevano troppa pressione, e così, preso dal terrore...»
«Vomitasti davanti a tutti?» domandò Judith, molto presa da quel racconto.
«Peggio.»
Lo sguardo della ragazza si fece serio.
«Non dirmi che...»
«Proprio così.»
Judith si mise una mano davanti alla bocca, per trattenere le risate. La cosa mi imbarazzava ancora, ma con lei mi sentivo stranamente a mio agio.
«Tu...»
«Sì, me la feci nei pantaloni.»
La ragazza non poté trattenersi e scoppiò a ridere. Ero felice di averle fatto dimenticare il discorso di prima. Sentire la sua risata era un toccasana per quando mi sentivo giù di morale.
«Non c'é nulla da ridere!» esclamai pur essendo divertito. «È stato umiliante. Tutta la classe scoppiò a ridere, e io scappai in lacrime.»
Judith tornò seria. «Uh, dev'essere stato terribile...»
«Lo è stato. Mi sono chiuso in bagno e ho versato tutte le lacrime che avevo. Sembrava che non finissero mai. Ero convinto che tutto il mondo ce l'avesse con me, volevo mollare tutto e tornare a casa.»
«E poi com'è finita?»
«Beh... mi sono fatto degli amici che mi difendessero da tutti, e da lì le cose sono andate bene.»
Judith sorrise e abbassò lo sguardo, contenta del finale della storia. Avergliela raccontata mi aveva tolto un peso enorme, perché, a parte i miei genitori e qualche caso eccezionale, quella storia non la conosceva nessuno.
«Hai capito perché ti ho detto questo, Judith?» domandai, giocherellando con le sue mani.
Lei alzò lo sguardo verso di me e non disse nulla.
«Ti ho detto questo perché anche se pensi che tutto il mondo sia contro di te, devi andare avanti e lottare. Ma soprattutto, devi tenerti vicino i tuoi amici. Loro ti difenderanno da tutti, non baderanno ai tuoi difetti e ti accetteranno così come sei. Perché tu vali molto, Judith. Devi solo... capirlo. Insomma, voglio che tu sappia che i tuoi amici ci saranno sempre per te, capito?»
«Capito.» Fece lei, sorridendo.
Poi mi abbracciò. Non me l'aspettavo, era un abbraccio improvviso, ma pieno di affetto. Non potei fare a meno di ricambiare, avvolgendo le braccia attorno alla sua schiena. Era tutto così bello... era la prima volta che provavo un sentimento tanto forte per una persona. Judith era diversa da tutte le altre ragazze che avevo incontrato in vita mia. Lei sapeva ascoltare con pazienza, era graziosa e impacciata in tutto quello che faceva, e sapeva come far sciogliere una persona come burro sul pane. Improvvisamente un urlo ci fece staccare improvvisamente dall'abbraccio, riportandomi alla realtà.
«Ah! Atti osceni in pubblico!»
Entrambi ci girammo verso la provenienza di quella voce. Era la stessa ragazza che avevo visto prima. Oh, dimenticavo di trovarmi ancora nel bagno delle ragazze.
«Ci stavamo solo abbracciando.» Dissi, aiutando Judith ad alzarsi.
«Bah, se lo dite voi... vi lascio soli.» Così dicendo, la ragazza se ne andò via digitando qualcosa sul suo cellulare.
La situazione era diventata imbarazzante. Di nuovo. Quando fummo entrambi in piedi, Judith si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mantenne uno sguardo basso. Le sue gote erano arrossite.
«Ehm... potresti non dire a Vanessa che ho pianto?» domandò a bassa voce. «Sai, dopo si preoccuperebbe, e io non voglio questo...»
«Tranquilla, non dirò niente.»
Lei sorrise. «Grazie mille, per tutto.»
Dopo una breve pausa fatta da sospiri e frecciatine imbarazzate, Judith tornò a parlare. «Ora dovrei andare...»
Mi scossi. «Sì, ehm, anch'io.»
Lei annuì. «Perciò...» Indicò la porta che portava al corridoio, come per chiedermi l'autorizzazione per uscire.
«Oh, ehm... sì.»
Un secondo di silenzio assoluto, poi entrambi scoppiammo a ridere.
Cavolo, eravamo proprio ridicoli.
«Ci vediamo lunedì, Chris.» Sorrise Judith, prima di girarsi ed uscire a passo veloce dal bagno.
«A lunedì!» esclamai, salutandola con la mano.
Quando capii che non poteva sentirmi, sospirai.
«Wow.» Disse Ed.
«Wow» ripetei sorridendo come un ebete, con gli occhi fissi sulla porta da dove era sparita la ragazza. «È stato...» sbattei un paio di volte le palpebre, come per riprendere conoscenza. «Wow.»
Rimasi qualche secondo immobile, ripensando ai fatti appena accaduti.
«Non ti starai mica innamorando di lei, vero?»
Le parole di Ed furono spiazzanti.
I miei occhi si spalancarono, e fu come se il mio cuore avesse fatto una capovolta.
«Cosa?» sbuffai. «Tranquillo, sto solo cercando di aiutarla. Non ho tempo... per l'amore.» Quell'ultima parola la pronunciai con un tono quasi malinconico.
«Ma questo non dipende da te, caro Chris.»
Sospirai. Non avevo mai provato amore per qualcuno, oltre a Bethany non avevo mai avuto storie serie, e di sicuro non potevo cominciare ora. Avrei provocato troppo dolore, e non me lo sarei mai perdonato. Ad interrompere i miei pensieri fu Vanessa, che entrò all'improvviso nel bagno. Quando mi vide, rimase praticamente a bocca aperta.
«Chris? Ti stavo cercando, che diavolo ci fai qui?»
E ora cosa potevo inventarmi? Dovevo assolutamente uscire da quel bagno, prima che cominciasse a farsi idee strane di me. Ah, dimenticavo che era troppo tardi.
«Ehm...» mi guardai intorno e mi strofinai imbarazzato le mani. «Perché, questo non è il bagno dei ragazzi?»
Lei scosse lentamente la testa, ancora confusa. «No...»
«Oh» ormai non sapevo più cosa dire per uscire da quella situazione. «Allora andiamo.»
Così dicendo, camminai tranquillamente fuori dal bagno. Vanessa mi seguì ancora un po' smarrita, ma fortunatamente dimenticò presto quella faccenda.
«Per caso hai visto Judith?» domandò, mentre stavamo camminando per i lunghi corridoi della scuola. «Non la vedo da stamattina, e dopo non si è fatta sentire. Ho paura che le sia successo qualcosa...»
Subito pensai di dirle tutto, ma poi mi ricordai di quello che mi chiese Judith, a proposito di non dire nulla a Vanessa. Sospirai, dovendo mantenere la promessa data.
«No, non l'ho vista» mentii. «Ma sono sicuro che stia bene.»
Dissi così per non farla preoccupare.
Vanessa sospirò. «Lo spero.»
Nel mentre che camminavamo, nella mia testa gironzolava un pensiero fisso. E se le parole di Ed scambiate nel bagno potessero essere vere? Possibile che io, Chris Watson, potessi davvero innamorarmi di Judith?
//ANGOLO AUTRICE//
Questo capitolo è una merdina, i know.
Ad ogni modo, con chi avete passato il San Valentino? Io con una pizza, il mio unico vero amore.
Ah, che bello essere forever alone :')
Bye, people👋🏻
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