22. In mezzo al corridoio

Arrivai a scuola sfinito, con il petto che batteva a mille e con la sensazione che qualcuno mi avesse masticato e poi sputato sul marciapiede. Mi fermai per riprendere fiato, e solo quando alzai lo sguardo verso le scalinate del mio istituto mi accorsi che il cortile era deserto. A meno che qualcuno avesse organizzato un improvviso sciopero dalla scuola, dedussi che dovevano essere già tutti entrati nelle proprie aule.

«Oh, no...» Senza neanche aver avuto il tempo di calmare il mio battito cardiaco, corsi verso l'entrata dell'edificio.

Non appena mi videro con i capelli bagnati e tutto sporco di fango, le bidelle alla reception si dovettero trattenere dalle risate. Le maledissi mentalmente e corsi all'impazzata lungo il corridoio della scuola, con la speranza di arrivare prima della professoressa. D'altronde quei momenti erano capitati svariate volte, nel corso della mia vita da studente-non-proprio-modello. Le impronte sporche di fango lasciate dalle suole delle mie scarpe avevano ormai setacciato l'intera scuola: possibile che non mi ricordassi più dove si trovava la mia aula di francese? Per caso cadendo per terra avevo sbattuto anche la testa?
Avendo avuto improvvisamente un'illuminazione divina, capii che ormai ero vicino. Girai l'angolo e in meno di un secondo andai a sbattere contro qualcuno. Seriamente, cosa c'era nel latte che avevo preso a colazione?

«È facile dare la colpa al latte...» Si intromise Ed.

Intanto io mi trovavo ancora lì, dovendo ancora realizzare della figuraccia che avevo fatto.

«Oh, scusa.» Dissi amareggiato, controllando che la persona stesse bene.

Il ragazzo si girò, ed incontrai gli occhi verdi più iniettati di odio che avessi mai visto. Per un secondo ebbi paura. Lui imprecò, cercando con le mani di pulirsi dal fango che per sbaglio era finito sulla sua giacchetta di pelle. Capii subito che non era un tipo con cui scherzare davanti ad una birra. No, non lo era affatto.

Rendendosi conto che solo una lunga lavatrice avrebbe potuto rendere la sua giacchetta come nuova, il ragazzo mi guardò con odio e con una mano mi diede uno spintone carico di potenza. Per poco non mi fratturò una spalla.

«Me la pagherai, stronzo!» esclamò, prima di girarsi camminare a passi pesanti verso il bagno.

Io lo guardai andarsene, accigliato; probabilmente non sapeva con chi aveva a che fare. Stavo per dirgliene quattro, quando una voce mi fermò.

«Chris, finiscila.»

Era la mia coscienza, che come sempre cercava di darmi una calmata. Aveva ragione, non dovevo perdere la testa. Quando perdevo la testa, non c'era più niente da fare. Probabilmente si trattava solo di un bulletto che non avrei più rivisto, perciò non avevo nulla di cui preoccuparmi.

Sospirai e ripensai che ero in ritardo, perciò ripresi a correre fino a giungere davanti all'aula di francese. Senza riflettere su nulla spalancai la porta nel bel mezzo della spiegazione della professoressa Morris, che appena mi vide entrare si zittì di colpo.

«Ehm...» Mi guardai intorno, con la sensazione di avere tutti gli occhi su di me. «Scusi il ritardo, come può vedere sono stato un po' impegnato.»

Tutta la classe scoppiò a ridere nel vedermi in quello stato. Avrei dovuto prevederlo, anche io sarei morto dalle risate a vedere qualcuno in quella stessa situazione. Però questa volta quello deriso ero io, e non era proprio una bella sensazione. Diedi un'occhiata ai miei amici; Peter era rimasto in silenzio, così come Vanessa. Più in fondo scorsi Judith, anche lei muta come un pesce. Almeno ero felice che Miles o i miei vecchi amici non frequentassero il corso di francese; almeno loro non avrebbero potuto vedermi così. Ma era chiaro che l'avrebbero scoperto lo stesso, dopo la pubblicazione della mia foto cosparso di fango scattata da Bethany.

«Watson, si sieda» Disse la prof. «E voi state zitti!» ordinò alla classe, che nonostante il suo avvertimento non smise di ridere.

Sospirai ed a passo veloce mi diressi verso il mio banco. Una volta seduto, nascosi il mio viso tra le mie braccia; non mi ero mai sentito così imbarazzato in vita mia. Riuscivo già a vedere il titolo dell'articolo in prima pagina sul giornalino scolastico: "Una mattinata alla Chris Watson". La mia reputazione stava crollando come la mia dignità. Se mio padre mi avesse visto sarebbe scoppiato a ridere: lo avevo deluso ancora una volta.

Finita la lezione io rimasi con la testa appoggiata al banco; volevo chiudere gli occhi e immaginare che sarebbe stato tutto un brutto sogno. Improvvisamente una voce lieve mi risvegliò dal mio mondo immaginario.

«Hey.»

Alzai lo sguardo ed incrociai quello innocente di Judith, che era in piedi davanti al mio banco.

«Hey.» Ricambiai il saluto, non riuscendo comunque a trasmettere gioia nel mio tono di voce.

Lei fece un piccolo passo verso di me e mi guardò con compassione. Non vorrei dire che sembrasse un angelo, ma... sì, lo sembrava veramente.

«Posso... essere d'aiuto?» così dicendo, la ragazza tirò fuori da dietro la schiena un fazzoletto.

Apprezzai il suo gesto e sorrisi. Come poteva pensare sempre agli altri prima che a sé stessa? Mi alzai e lasciai che lei mi pulisse dolcemente il fango dalla maglietta. In quel momento mi accorsi di che ragazza meravigliosa mi trovavo di fronte. Una così timida e insicura, ma che nonostante questo fosse sempre pronta per aiutare il prossimo.

«Hai fatto una bella caduta, eh?» domandò, continuando a sfregare contro la mia maglietta.

«Già.» Risposi, ridacchiando.

«Capita.»

Quella scena mi ricordò i giorni in cui passavo la giornata a giocare a football con mio padre, e quando tornavo in casa mia madre mi rimproverava e mi puliva il fango con un panno. Da piccolo ero davvero un combina guai. Lo sono anche adesso... ma mi sto divulgando troppo.

Judith diede un'ultima sfregata e tolse il fazzoletto, soddisfatta. «Ecco fatto.»

Prima che potessi parlare la ragazza si soffermò a guardare la mia guancia. Sorrise e posò il fazzoletto su di essa, per pulire una macchia di fango rimasta sul mio zigomo.

«Ora sei come nuovo.» Affermò infine, facendo un passo indietro. «Beh... quasi.» Aggiunse, ridacchiando.

Sorrisi e infilai timidamente le mani nelle tasche della mia felpa.

«Ti ringrazio.» Dissi, prima di incamminarmi insieme a lei verso l'uscita dell'aula.

«Figurati!» fece lei. «Era il minimo che potessi fare.»

Judith si fermò per buttare il fazzoletto sporco di fango ed insieme cominciammo a camminare per i corridoi della scuola. Non ci dicevamo una parola, camminavamo e... nient'altro. Ma ci bastava così.

All'improvviso due ragazze si avvicinarono a noi e mi scrutarono attentamente, con una faccia divertita. Mi morsi un labbro, non sapendo cosa fare per salvare la situazione.

«Oddio, cos'hai fatto ai vestiti?» domandò una di loro, ridendo e indicando la mia maglietta.

«Beh...»

Judith esitò. «La nuova... moda?»

A quelle parole io alzai un sopracciglio, mentre due ragazze subito avvamparono.

«Nuova moda?»

«Nuova moda.»

«Oh.» Una delle ragazze fece una risatina nervosa.

Non potevo credere che fossero veramente cadute nella trappola.

Judith, capendo di avere il vento in poppa, fece un passo verso di loro e sorrise. «Non ditemi che non ne eravate a conoscenza!»

«Certo che ne eravamo a conoscenza!» sbottarono all'unisono. «Ehm... ci vediamo!»

Così dicendo, le ragazze se ne andarono bisbigliando qualcosa fra di loro. Judith si girò verso di me e sorrise soddisfatta.

«Non. Ci. Credo.» Feci io, paralizzato. «Ci hanno creduto veramente?»

«A quanto pare...» Ridacchiò lei.

«Sei fortissima!» commentai, prima di ricominciare a camminare.

Lei sorrise ed abbassò timidamente la testa. Sentivo che mi stavo avvicinando sempre di più a lei, presto avrei potuto aiutarla. In fondo... come si faceva a non aiutare un visetto tanto angelico?

«Oh, quasi dimenticavo.» Fece Judith, fermandosi davanti a me e cominciando a frugare nel suo zaino.

La ragazza tirò fuori una scatolina e me la porse.

«I tuoi occhiali molto professionali.» Spiegò, sorridendo. «Li ho trovati sul pavimento della scuola.»

Sorrisi e accettai l'offerta. Ero stato così imbecille da non averli raccolti una volta fatto quel balzo all'indietro. Notai che li aveva curati e messi dentro ad una scatolina blu scuro, perché non si rompessero. Un gesto notevole.

«Oh, grazie.» Dissi, sorridendo e mettendomeli ironicamente. «Ora sono più professionale?»

Lei rise. «Sì, ma stai meglio senza.» Così dicendo me li sfilò via delicatamente e li rimise dentro la scatoletta. «Non sarai più professionale, ma... i tuoi occhi risaltano di più, non pensi?»

La guardai e sorrisi.

«Credevo che avessimo già assorbito abbastanza dolce a colazione...» commentò Ed, disgustato.

Non permisi alla mia coscienza di rovinare il momento e misi la scatoletta dentro il mio zaino.

«Ti accompagno a lezione?» le domandai con fare galante, porgendole il mio braccio destro.

Judith ridacchiò. «Solo se non mi sporchi di fango il maglione.» Disse, avvolgendo il suo braccio al mio.

«È la nuova moda, no?»

Insieme scoppiammo a ridere e ci incamminammo verso l'aula di scienze, ovvero dove Judith avrebbe avuto lezione. Cominciavo a sentirmi a mio agio con quella ragazza, e credo che valesse lo stesso per lei. Improvvisamente delle risate e degli sghignazzi sospetti attirarono la nostra attenzione. Speravo che la situazione non sarebbe peggiorata, e per un attimo pensai di scavalcare il problema, ma era un mio dovere aiutare gli altri e perciò non potei fare a meno di voltarmi verso l'origine degli schiamazzi. Judith fece lo stesso, ed i nostri sguardi si incupirono quando vedemmo un ragazzo che se la stava prendendo con un altro all'apparenza più giovane di lui. Una classica scena di bullismo... e più la guardavo, più capivo che sarei dovuto intervenire.

Spostai lo sguardo verso Judith, che aveva un espressione preoccupata.
«Ci penso io.» Le dissi, prima di raggiungere a passi decisi i due ragazzi.

La povera vittima tremava come una foglia, mentre il bulletto lo obbligava con un braccio a stare schiacciato contro l'armadietto.

«C'è qualche problema?» domandai serio, ormai ad un passo da lui.

Appena la figura si voltò in modo da mostrare il viso, riconobbi subito quelle due iridi verdi e malefiche; era il ragazzo con cui mi ero scontrato quella mattina. Sarà stata la sua statura, o il suo sguardo assassino, ma mi sentii subito intimorito; tuttavia cercai di mantenere uno sguardo serio e duro. Appena mi riconobbe, il biondo ridacchiò e alleviò la presa dalla felpa del ragazzino, che subito corse via fino a sparire dalla circolazione.

«E così tu sei "Chris l'eroe"...» Commentò, avvicinandosi. «Sono nuovo di qui, ma mi sono bastati pochi secondi per identificarti.»

Io sbuffai; non poteva di certo essere un veggente.

Notando la mia indifferenza lui cominciò a parlare. «Christopher Watson: fammi indovinare... un tempo eri identico a me. Avevi una vita quasi perfetta; ti divertivi a prendere in giro le persone, avevi un gruppetto solido di amici, e qualcosa mi dice che stavi insieme alla ragazza più popolare della scuola» sbuffò. «Tipico.» Poi continuò. «Ma non tutto era perfetto, perché...» D'un tratto il ragazzo chiuse gli occhi e inspirò l'aria. «Sento puzza di famiglia problematica...» Sorrise.

Come faceva a sapere tutte quelle cose? Chi era questo ragazzo? Dalla mia espressione sorpresa lui ridacchiò e camminò altrove, cominciando a fare dei giri attorno a me.

«Qualcuno se n'è andato, non è così?» domandò beffardo. «Chi è, il padre? Per caso è morto?»

Al solo pensare di mio padre il mio respiro si era fatto irregolare. Quel ragazzo mi stava facendo a pezzi.

«Stai zitto.» Mormorai, serrando i pugni e guardandolo negli occhi.

Lui fece un sorriso sfacciato e fece qualche passo all'indietro. «Non è morto.»

Ci fu un attimo di silenzio, in cui mi voltai lentamente verso Judith. Mi fissava con occhi sgranati; probabilmente non capiva quello che stava succedendo. La guardai con un'espressione cupa, prima che la mia attenzione venisse catturata dal biondo.

«Ops, era un segreto?» ironizzò, sghignazzando. «Come se non lo sapesse già tutta scuola...»

Non era un segreto; a tutti era noto di mio padre. Semplicemente non mi andava di parlarne. Detestavo parlarne. Odiavo il fatto che una volta raccontata la mia storia a qualcuno, quest'ultimo cominciasse a provare pena.

«Dio solo sa cosa ti sia successo...» continuò lui, spalancando le braccia. «...ma ad un tratto hai detto addio definitivamente alla tua vecchia vita e ti sei messo a frequentare sfigati come Peter Piper o Suicidella.» Così dicendo, il ragazzo puntò lo sguardo verso Judith, che impaurita indietreggiò di qualche passo.

«Se la chiami un'altra volta Suicidella, io giuro che ti ammazzo.» Minacciai scandendo bene ogni singola parola.

Riuscivo a vedere le fiamme spuntare dai miei occhi e il fumo fuoriuscire dalle mie orecchie. Non sapevo esattamente il perché, ma ero un miscuglio di rabbia. Il ragazzo ridacchiò e si avvicinò lentamente a me, fino ad arrivarmi davanti.

«Suicidella.» Disse per dispetto.

Era troppo, non riuscivo più a contenermi. Prima la mia famiglia, e adesso Judith? Non sapevo cosa mi stesse succedendo; l'unica cosa chiara era che odiavo quel ragazzo, lo odiavo con tutto il mio cuore. Cercai di lottare per mantenere la calma, ma la rabbia prese il sopravvento. Serrai un pugno e lo misi in aria pronto ad attaccare, quando all'improvviso una voce mi fermò.

«Chris.»

Mi voltai verso di essa, e riconobbi Miles seguito dal suo gruppetto. Oh no, anche loro?

I ragazzi si avvicinarono lentamente a me e al biondo sconosciuto. Ritrassi immediatamente il pugno, ed il ragazzo sogghignò divertito.

«Vedo che hai conosciuto Chase...» Fece Miles, con un sorrisetto beffardo in volto.

La mia espressione diceva tutto. Chase? Era così che si chiamava? Il ragazzo, o meglio "Chase", sorrise e batté il cinque al moro.

«Che sta succedendo?» mormorai visibilmente confuso, notando tutta quella confidenza tra di loro.

Miles si mise davanti a me. «Chase è il nuovo membro del gruppo, non lo sapevi? Si è trasferito qualche giorno fa dal New Jersey.»

Io ridacchiai, ma ero tutto tranne che felice. «Neanche due settimane e già mi rimpiazzate?»

Miles notò la mia rabbia e mise un finto broncio, mente Chase si posizionò di fianco a lui. «Ooh... qualcuno è geloso?»

Judith si mise d'un tratto tra di noi, e mi prese per un braccio.

«Chris, andiamo.» Disse, cercando di portarmi via da quella situazione spinosa.

«Un attimo.» Feci io, ritraendomi alla debole forza della biondina.

Judith mi guardò un attimo negli occhi. Sentivo che aveva paura per me, stava solo cercando di proteggermi.

«Devo chiarire una cosa, è tutto okay.» Le spiegai dolcemente a bassa voce, con lo sguardo dei ragazzi puntato su di me.

Lei sospirò e si rimise dietro di me, capendo quanto fosse difficile quella situazione.

«Guardate, c'è anche Suicidella!» esclamò Scott, ridacchiando.

«Avete finito di chiamarla così?!» sbottai, irritato. «Perché andiamo, è un soprannome ridicolo, come lo stupido che l'ha inventato.»

Lucas, probabilmente l'ideatore del soprannome, fece per ribattere, quando Miles lo fermò con un braccio.

«Non so a che gioco stai giocando, Chris» disse serio. «Ma ti teniamo d'occhio.»

Insieme fecero per andarsene, quando il moro si soffermò a guardare la mia maglietta e ridacchiò. Stavo pregando in mille lingue diverse che non dicesse niente riguardo al fango, ma ormai era troppo tardi. Maledizione alla mia grazia da ippopotamo!

«Ah, comunque bel look.» Commentò infine, prima di andarsene insieme a tutto il gruppo.

Rimase solamente Chase, che mi fissava compiaciuto. Non sapevo cosa volesse ancora da me, e continuai a domandarmelo finché il biondo si avvicinò con la bocca al mio orecchio.

«Ti manca papino, eh?» sussurrò, lasciandomi di pietra.

Rimasi immobile, anche mentre Chase se ne andò sogghignando lontano da me. Volevo solo sprofondare. Aveva osato parlare di mio padre, ed ogni volta che si parlava di lui... io dovevo sempre lottare contro me stesso per cacciare dentro le lacrime. Era il mio punto debole, il mio tallone d'Achille. Abbassai lo sguardo e feci per andarmene, quando sentii delle braccia avvolgersi attorno al mio busto e una testa appoggiarsi sulla mia schiena. Ci misi poco a capire che Judith che mi stava abbracciando.

«Hey, dobbiamo tornare a lezione...» dissi forzando un sorriso, che lei da dietro non poté vedere.

«Solo un attimo» mormorò lei, rimanendo immobile. «Ne hai bisogno.»

Non potevo vederla, ne ricambiare l'abbraccio, perciò mi limitai a chiudere gli occhi e ad emettere un respiro profondo. Aveva ragione, un abbraccio era tutto quello di cui avevo bisogno. Miles e gli altri mi stavano facendo impazzire; prima Bethany con la storia del fango, e adesso quel bastardo di Chase. Dove sarei arrivato? Come avrei trovato la forza di continuare? Per il momento potevo solo contare sui miei nuovi amici. Io e Judith restammo in silenzio, l'unico rumore che si sentiva erano i nostri respiri. Tutti erano nelle proprie aule, non c'era più nessuno a vagare per la scuola. C'eravamo solo io e lei, in silenzio totale, in mezzo a quel maledetto corridoio.

//ANGOLO AUTRICE//
Ce l'ho fatta yeee *applausi immaginari*
L'ho corretto praticamente tutto e ho riscritto parti che non mi convincevano... ma alla fine ci sono riuscita😅
Vi consiglio di rileggere il capitolo 19 "Parentele ritrovate" perché nella prossima parte l'argomento verrà tirato in ballo :)
Vi auguro un buon pomeriggio e ci vediamo presto!
*si sbarazza dei forconi lanciati contro di lei*

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