Capitolo settimo
La commessa nel negozio Tutto arte H, fu licenziata. La signora Clara, la proprietaria, disse che non poteva permettersi tutto quel personale, per via del momento di crisi economica che stava attraversando. Decise quindi di tenersi Jordyn, che come già vi ho detto amava letteralmente quel lavoro. Ecco, il nostro protagonista era un tipo un po' artistico. Amava il disegno e se la cavava piuttosto bene.
La (ex) commessa si chiamava Yvonne. Non prese per niente bene il licenziamento.
Tornò più volte al negozio, pregando Clara di farla lavorare, anche a costo di non essere pagata. Ma la proprietaria rispondeva sempre con tono pacato e angelico.
"Cara, non posso farlo. Vedrai che troverai un altro posto." Poi la invitava ad uscire.
Un giorno però le carte sembrano ribaltarsi. Yvonne dopo settimane di un misterioso silenzio si affacciò alla vetrina del negozio. Erano le dieci di mattina e Clara, a quell'ora era in giro a fare commissioni. La ragazza questo lo sapeva bene.
Yvonne, infatti non era lì per cercare di convincere la proprietaria, bensì per parlare con Jordyn.
Quando lui la riconobbe sussultò, si guardò intorno e con voce abbastanza incerta la salutò.
"Ehi." Disse semplicemente lei, sembrava tranquilla.
"Posso aiutarti in qualcosa?"
"Oh, ti prego, con me puoi risparmiarti la parte del commesso. Sai, lavoro qui da sette anni." Parlava puntando i suoi occhi verdi in quelli del ragazzo che iniziò a pensare. Doveva spostarsi verso la cassa, dove c'era il suo telefono. Doveva chiamare Clara, doveva arrivare al più presto.
"O meglio, lavoravo. Ma dimmi, ti ha mai detto il vero motivo. Il perché mi ha veramente licenziata?" Jordyn annuì convinto.
"si, non poteva permettersi troppo personal-"
"Oh, ma dai! Non dirmi che ti sei bevuto questa storia! Beh, veramente anche io all'inizio ci avevo creduto. Ma poi lei mi ha detto la verità. L'ho obbligata a dirmi la verità"
"Q-quale verità scusa?" il ragazzo doveva chiamare Clara al più presto. Yvonne si fece più vicina, i suoi occhi erano come fuoco, e avrebbero bruciato Jordyn con una sola piccola scintilla.
"Ricordo perfettamente il giorno in cui sei venuto, per il primo colloquio. Coincidevi perfettamente con le descrizioni e con la versione della tua immagine nella mia mente. E se ti dicessi che io già di conoscevo?"
"Ma cosa dici? E poi le descrizioni di chi?" la mente di Jordyn si oscurò, iniziando a girare e a non capire più nulla. Poi il rumore della campanella posta sopra la porta riempì l'abitacolo ed entrambi sussultarono cercando di ricomporsi, come colti in flagranza.
"Salve, posso chiedere a te?" era un giovane tatuato. Jordyn annuì lasciando Yvonne con lo sguardo fisso davanti a sè, mentre la domanda appesantiva ancora l'aria.
Il ragazzo voleva dei pennelli particolari per dipingere.
"Amh, te li cerco subito."
Stava alzando scatole e fogli da due minuti buoni quando una voce femminile quasi lo fece saltare.
"Guarda che stanno qui." Yvonne e il suo sguardo rassegnato fecero di nuovo capolino in quel negozio. E Jordyn iniziò a ricordarsi il tempo passato con lei a scherzare nelle ore morte e nell'orario di chiusura. Poi era tutto finito. Si erano quasi dimenticati l'uno dell'altra.
I due si ritrovarono incredibilmente vicini.
Jordyn sentiva il fiato di lei solleticargli il petto e lei tremava per l'altezza di lui che la sovrastava.
"Non pensare che un cliente possa averti salvato. Tornerò. E nel frattempo farei delle ricerche su Clara, se fossi in te. Io so tutto, e tu? Sai in che posto sei capitato, e perché?" con questo annullò tutta l'atmosfera creatasi tra di loro e volò via. Jordyn rimase stordito mentre il rumore della campanella si faceva risentire e il pacco di pennelli era stretto tra le sue dita.
Cercò di riprendersi ma per tutta la giornata non riuscì a levarsi dalla testa l'immagine di Yvonne che apriva la porta e usciva dal negozio. Sapeva che l'avrebbe rivista. Ma quelle parole provocarono un certo amaro che si insinuò nella bocca del ragazzo. Iniziò a pensare di chiedere la verità a Clara appena fosse tornata. Ma poi tornò con i piedi per terra: forse erano tutte fantasie di un piano malato della ragazza bionda che da poco tempo non faceva più parte della sua vita. Ma Jordyn si sbagliava, è proprio quando smettiamo di pensare alle persone, che esse riaffiorano magicamente. Scombussolando tutto.
Nella scuola di Zoe, invece, le cose non cambiavano. Tutto era fermo sempre allo stesso punto e Madelyn stava per scoppiare. Sarebbe voluta scappare, ma in cuor suo, sapeva che non ne avrebbe mai trovato il coraggio. Era una persona molto stabile, non le piaceva viaggiare, o cambiare aria. Si abituava alla sua vita quasi monotona, ma stava bene. Poi quando succedevano imprevisti si impanicava. Il suo più peggior imprevisto era stato James.
Lui si era quasi innamorato di Madelyn. Si era innamorato della sua debolezza, e questo lo rendeva quasi un sadico. Lui si sentiva una merda. Un mostro vivente, uno schifo. E faceva bene; la situazione gli stava sfuggendo di mano. Eppure sembrava che a lui andasse bene così. Voleva toccare il fondo e Madelyn glielo faceva fare. Si era ripetuta più volte "tanto finirà, non ce la farà più, e mi lascerà in pace", ma questo non succedeva mai. E Madelyn si ritrovava con il corpo a pezzi e l'anima rotta nel bagno di casa sua, o in un qualsiasi posto dove poteva stare sola. Dove nessuno l'avrebbe cercata. Forse era per questo che Madelyn, in un certo senso, era legata a James: lui era l'unico che la calcolasse, o che la facesse sentire viva in una morte perenne. Non la faceva sentire bene, però, quel dolore la riportava sulla terra. Le faceva capire che era umana, che soffriva, gioiva, viveva. Una parte di lei si sentiva anche in debito con lui, per averle fatto capire questo. Per averle fatto aprire gli occhi, che prima la vita non se la godeva, o meglio, Madelyn aveva iniziato a vivere nel momento in cui era morta. Questo la rendeva una pazza. E un'altra parte di lei lo sapeva benissimo. Non erano sani quei pensieri, non era normale, non era da lei. Eppure non era mai stata così bene, nella sofferenza, come in quel momento. Tante volte aveva immaginato di dirglielo a James, di dirgli che nelle sue torture, lei stava bene. Che nei suoi schiaffi lei poteva di nuovo ridere. Che nel sangue che costantemente perdeva, lei risuscitava. Eppure continuava a morire. E queste cose non aveva le aveva mai pronunciate.
"Non devi dirmi cosa succede." Asserì Zoe guardando Tristan negli occhi. "So che se sta con te è in buone mani. E so che farai le scelte giuste per aiutarla, per farla uscire da tutto questo. Perciò non mi devi alcuna spiegazione. Salutamela, io ora devo andare" e con questo lo abbracciò velocemente e scappò sull'autobus per tornare a casa.
Tristan sospirò e sorrise debolmente, poi si girò verso destra e sussultò piano.
"M-madelyn" sussurrò. Lei abbassò lo sguardo e si avvicinò a lui.
"Vieni a casa mia oggi?" chiese ancora con la testa bassa.
Il ragazzo rimase spiazzato. Poi disse di sì. Nella testa di Madelyn c'era stupore, in quella di Tristan c'era sollievo. Aveva apprezzato la fiducia di Zoe e grazie ad essa aveva anche iniziato a pensare di essere all'altezza di questa situazione. Sarebbe riuscito a tirare fuori Madelyn, l'avrebbe risolta.
Salirono sulla moto di lui e tra di loro cadde ilsilenzio spezzato dal rumore del traffico.
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Love HiM
ciao a tuttiiii
ecco a voi il capitolo 7, sono molto contenta di come sia venuto!
non ho aggiornato in queste sett perché la scuola mi crea troppi problemi.
Come sempre COMMENTATE E VOTATE!
rimanete connessi per il prossimo capitolo
ciao ciao
Sara
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