Capitolo quinto
Jordyn era un po' stordito. La signora lo guardava con occhi pazienti e maturi. Occhi che avrebbero ucciso chiunque in grado di capire. Chiunque in grado di non cedere a quei modi.
"Si, grazie. Sono qui per il colloquio. Ho visto che avete bisogno di un commesso." Estrasse dalla tasca il volantino del'annuncio e la signora si illuminò.
"Oh che bello! Abbiamo bisogno di un giovane come te. Vieni, seguimi." Lo portò in una piccola stanza adattata ad un ufficio, continuando a parlare "Sai.. non si presentano in molti ai giorni d'oggi." Sulle labbra aveva ancora quello strano sorriso che mi fece rabbrividire. Per questo non li seguii nell'ufficio, anzi, uscii di corsa dal negozio non dando tempo alla giovane commessa di realizzare.
Attraversai e dall'altra parte della strada osservai la vetrina illuminata. Era un negozio piccolo e particolare, uno di quelli che si fanno notare solo da chi vuole veramente notarli.
Non volli sapere nulla su cosa successe in quel negozio. Una certa ansia mi attraversava, o forse era invidia. Perché quella donna riusciva ad avvicinarcisi e io no?
Quando Jordyn uscì, io non ero più lì ad aspettarlo. Posso solo dirvi, che uscì soddisfatto dal negozio, ma quel dolore non era ancora dentro di lui, perseguitandolo. Anzi, una volta messo piede per strada, ritornò come prima, se non peggio. Il dolore lo assalì in pieno petto. E se ne ritornò a casa, dove lo zio lo aspettava sul divano. Il ragazzo sospirò sconfitto, sapendo che una volta rientrato a casa sarebbe stata dura. Tutta quell'agonia doveva essere generata da qualcosa che io non sapevo, e che avrei voluto tanto sapere.
C'è sempre qualche aura negativa che contorna le persone. La vita è talmente intensa.
Sono venuta a conoscenza di tante persone con così tanto dolore dentro. Gente che scoppiava a piangere, che urlava o rompeva qualcosa da un momento all'altro. Però poche ne ho conosciute come Jordyn. Quel dolore diverso, che non vuole essere manifestato da lacrime o grida, un dolore che è il peggiore di tutti. Quello che logora dentro, che non fa respirare. Non so se mi spiego. Ma quel dolore è in grado di uccidere. Non siamo in grado di sottometterlo, o di mandarlo via. Solo il tempo guarisce. È il processo più angosciante perché il tempo ci porta a parlare con il nostro dolore, lo vediamo dritto in faccia e non possiamo fare niente.
Jordyn era cosciente di avere tutto il tempo del mondo per guarire, ma in effetti, non voleva. Lui non voleva tempo, avrebbe voluto finire tutto lì. Avrebbe voluto lasciare qualsiasi cosa, non aveva niente per cui lottare.
Non aveva niente da perdere, per il semplice fatto che aveva già perso tutto. E questo lo uccideva, lo massacrava e lo atterriva. Era come se qualcuno avesse messo in pausa la sua vita; e a lui non piaceva. Il vivere non vivendo. Il respirare ogni secondo come essendo costretti a farlo. L'andare giù, giù e ancora più giù, lottando fino allo sfinimento per rimanere a galla. Jordyn, non ci riusciva. Era spaventato da un dolore così grande. Il dolore lo aveva in pugno e muoveva le pedine del gioco. Era una carneficina. Un mattatoio. Una morte silenziosa e graduale. Era un odio. Respiri pesanti e grida nella sua testa spenta. Martellate sul suo cuore caldo. Era agonia nel furore più intenso. Era cercar continuamente una gioia alla quale aggrapparsi, una qualsiasi cosa. Non trovandola.
Perciò, mentre Jordyn cercava di sopravvivere, Zoe era alla ricerca di verità.
Si trovava sul letto di camera sua, mentre la sua mente cercava risposte, domande. Il padre era a lavoro, faceva il poliziotto. E la madre non c'era. Non c'era mai stata.
Zoe si ritrovava nel periodo più difficile e più pieno della sua vita: l'adolescenza. Quella parola le faceva talmente schifo. La ricollegava alla sua attuale vita, e a quella della madre, quando era rimasta incinta. E quando aveva deciso di andarsene. Quando li aveva abbandonati alla solitudine e al dolore, in una casa troppo piena di amore, ricordi, e fantasie.
Si ricordava veramente poco della madre, quasi nulla.
Solo alcune storie lette alla luce della abat-jour di libri ormai troppo vecchi. Solo qualche carezza gettata lì, senza un senso. Solo qualche sorriso e tante preghiere.
Poi il nulla. La sua mamma era volata via dalla sua vita ed era entrata nei suoi sogni, negli incubi, nel buio della notte e nelle pareti della loro casa. Si respirava ancora il suo odore di rose. Si respirava ancora l'odore di colonia che creava una scia immaginaria, che tutte le volte provocava a Zoe una fitta allo stomaco. Si poteva ancora immaginare, alle volte, i capelli biondi della mamma mentre ballava in salone cantando a squarciagola una canzone alla radio alzata a massimo volume. Non ne distingueva il volto di quell'immagine, bensì solo i contorni. Solo quei capelli biondi, una maglietta arancione, e il divano come sfondo. Poi ritornava in se. Le immagini sparivano da davanti i suoi occhi e riprendeva a respirare, come se avesse smesso per godersi al pieno quel momento. Vedeva di nuovo la mensola affissa al muro di fronte a lei, con dei libri ammatassati sopra. Distingueva di nuovo le sue coperte viola, in letto pieno di pianti e ricordi aguzzi, come delle spine che le si conficcavano nelle tempie. Poi sentiva la porta di casa sbattere, suo padre era tornato, e lei non sapeva se affrettarsi a salutarlo o cercare di asciugarsi le lacrime dal volto, il meglio possibile.
Alla fine si portava le maniche del maglioncino sul volto e scendeva le scale della loro villetta. Sorrideva al padre che tirava dritto fino alla cucina, affamato.
"Come è andata a scuola?" chiedeva.
"Bene." Rispondeva lei. Poi il padre metteva il panino su un piatto e se ne andava in salone. E così tutte le volte.
Zoe si ritornava a fissare il lavello della cucina con occhi apatici e pieni di risentimento verso nessuno, infondo.
Riusciva a capire perfettamente il comportamento del padre. Di punto in bianco si era trovato ad accudire una bambina, si era ritrovato da solo. Senza amore. Senza vita. Senza cuore.
Aveva sempre dato la colpa a Zoe il signor Edward, ma non lo aveva mai detto apertamente.
Zoe però, poteva toccarlo quell'odio che suo padre celava nei suoi confronti. E le faceva ogni volta più male. Cercava di rimandare sempre il momento nel quale sarebbe scoppiata, e nel quale, per la prima volta, sarebbe stata lei a ferirlo con parole sincere e strozzate. E chissà, forse Edward si sarebbe tolto definitivamente dalla testa che l'abbandono da parte della moglie non era mai stato causato da Zoe. Ma forse tutto questo era dato solamente dalla speranza che dormiva nel corpo della ragazza, e che non accennava mai a sparire.
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